Signori
Non siete qui venuti per
accompagnare la salma d'una madre, morta di dolore?
E non debbo io rappresentare colui che è assente e che domani si
aggirerà per le stanze vuote in traccia di sua madre?
Oh dolente per sempre il figlio, a cui non è dato di tergere con
ardenti baci, la fronte gelida della morente genitrice e che dovrà piegare la
fronte stanca sopra una muta croce che custodisce un tesoro e questo tesoro è
invisibile! …
Io so bene che i morti si fanno accompagnare dai vivi verso l’ultima
dimora; so pure che questo tributo di ossequio è l’indice della loro virtù, il
termometro che misura il grado di stima che essi godettero in vita.
Se così non fosse voi non sareste venuti in largo stuolo a salutare la
Signora Grazia Fera né io mi permetterei di profferire verbo che suonasse
malamente o che stridesse come una finzione.
Se forti legami di parentela non me lo impedissero, vi direi come la
morta che piangiamo fosse d’una tempra forte, alla maniera evangelica,
intemerata nella fede sino allo scrupolo, sollecita e zelante nelle pareti
domestiche, sino all’eroismo, paziente nei dolori sino al martirio. Vi
svolgerei questi tre punti del mio tema, ma il tempo incalza né voi siete
disposti a sentirmi. Come un avvocato che difende una causa giusta, come un
oratore che parta ad una comunità devota, voi mi dispensate di tracciare nuovi
argomenti e mi spingete sopra un altro tema; sopra il tema della guerra, che è
assillante, vivo, palpitante … Ebbene anche Grazia Fera è vittima di una
guerra.
Quante madri muoiono di dolore!
Se alla lunga lista dei delitti commessi dai nostri nemici dovessimo
aggiungere anche le madri dal cuore spezzato, che si vedono rapiti i figli per
lunghi anni, che vivono una lenta agonia nelle case deserte, attorno ai focolari
spenti, e tendono l’orecchio ad ogni rumore di passi, e tremano ad ogni
notizia, sotto l’incubo della sciagura imminente. Se il martirio di questa
madre si potesse descrivere si vorrebbe altro che un discorso funebre … si vorrebbero dei volumi! Voi sapete che, in
mezzo a noi la Signora Grazia Fera fu una delle più provate dal dolore.
Non appena il maggiore dei figli conseguì la laurea, viene chiamato
alle armi, scoppia la Guerra Libica e là è mandato; ritorna dopo circa due anni
e non ha tempo ancora di riposarsi che scoppia la Guerra Mondiale. Questa
assorbisce tutti, parte anche il secondo e la povera madre rimane a piangere da
sola con le figlie.
Chi può dire le giornate di ansie, di trepidazione, di sconforto? Si
ammala e viene chiamato dal fronte ad assisterla il medico, viene anche
chiamato il maestro,, ma essa non li riconosce! Inutilmente si esprimeranno
tutti i ritrovati della scienza: ella è già freddo cadavere!
Questa è la storia breve e dolorosa. E questo è il mio pensiero. Che se
il giorno della Giustizia umana ed eterna, i colpevoli di questa immane
tragedia dovranno pagare le vittime delle sanguinose battaglie, delle
incursioni barbare degli areoplani, dei crudeli disastri marittimi, si dovrà
giungere anche la lunga lista delle
madri che ebbero il cuore trafitto dalla spada del dolore e morirono di una
morte lenta, lenta inesorabile come Grazia Fera. O voi tutti che accompagnate
questa morta, scopritevi. Salutate in lei la madre di tutti i soldati, perché
tutte le madri la rassomigliano. Salutate la buona, la pia, l’affettuosa madre
e pregate Iddio perché la riceva nella sua gloria.
Addio, dunque, o Madre, permetti che ti chiamo così, perché mi sento
affratellato ai tuoi figli, dall’amicizia tenera e anche dalla comunanza del
dolore. Addio Madre, riposa in pace. Ci giunga, lassù la gioia d’una Pace che
ci auguriamo vicina.
Platì 29 – 8 –1918
Sac. Ernesto Gliozzi sen.
Mi piace perché senza sfoggio di paroloni racchiude tutta quanta la sublime poesia di un dolore muto e profondo
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