Sacrificio (reg. Andrej Tarkovskij - 1986)
L’inverno è trascorso, le rondini sono
arrivate e con le rondini è arrivata la primavera, questa ha portato la fine
che nessuno si aspettava, certo non in questo modo.
La casa è grande, ora è immensa per la
signora, sola. Tutto può accadere, nemmeno io lo sospettavo, avevo sentito
raccontare, era successo ad altri, ad altre signore sole.
La casa è come un dipinto, essa contiene i
segni di quanti vi hanno trascorso parte della loro vita, o tutta la vita.
Uscito l’ultimo dei fratelli la signora è rimasta circondata dal vuoto e da una
pendola che però non è la stessa di prima, quella il fratello la ricaricava
manualmente.
La signora ha dato la sua vita per tutti,
ora attende e non sospetta. Il suo sospetto è solo per chi verrà a portarla via
con sé, una altra signora, senza naso.
Rumori, strani rumori, fuori orario.
Qualcuno che è venuto senza avvisare, qualcuno in possesso delle chiavi per
entrare.
Affacciandosi sulla soglia della sua
camera la signora capisce che non tornerà più dentro quella stanza. Due,
col viso nascosto dietro delle pezze l’aggrediscono e la sospingono brutalmente
sul letto che fu di sua nonna. Loro chiedono tutto, lei offre tutto, lo offre
ben volentieri, lo sacrifica loro, chiede solo di farlo con grazia,
senza la costrizione delle armi, dimenticherà tutto, ha già perdonato.
Oggi la casa soffre la partenza di tutti e
aspetta la sua ultima aggressione che nessuno fermerà, la pendola ha consumato le
batterie.
Non ci sono colpevoli, solo una vittima,
io ho armato quelle mani.
Ad armare quelle mani è stata signora Ignoranza. Forse è facile dirlo e può suonare come una giustificazione per quelli che son partiti ma vi è tale male fra le strade. A volte sembrano zombie che camminano alla cieca col solo istinto di nutrire qualcosa che non sarà mai sazio. E cosa si fa con gli zombie? Bisogna rimandarli dentro la terra. Perchè la terra può sanificare, la terra accoglie tutto e tutti, la terra non tradisce. Troppi alberi con frutti acerbi. Serve ripiantare tutto, un seme alla volta, con cura. Vorrei che la signora non si sentisse sola, vorrei che potesse ancora sentire e custodire la voci del vicinato e i gesti di quelle ultime messe celebrate in una stanzetta!
RispondiEliminaad armare le mani è stata la tolleranza. ad armare quelle mani è stato il silenzio. ad armare quelle mani è stato il lasciar correre sperando che tutto sarebbe passato, come la piena del fiume. è stata la certezza dell’assenza della giustizia, terrena, è ovvio, quella divina non conta, è una questione privatissima, i conti si fanno solo con se stessi, forse. la sicurezza di un "perdono” non cercato, perciò inutile, il perdono è il conto che porgiamo alla nostra coscienza, per sentirci rispondere che siamo come vogliamo che ci veda chi ci dovrà, per nostra scelta, giudicare. e comunque non si offre fuggendo, ma questo è un discorso che si affronta a vent’anni, non a ottanta.
RispondiEliminagli zombie non hanno colpe. noi li abbiamo generati , pieni della nostra “superiorità”, sono le nostre “scorie radioattive”, e adesso vorremmo che scomparissero allontanandoli dalla nostra vista, e affidando ad altri (o madre Terra, i mostri siamo noi…) la responsabilità di una purificazione che noi non sappiamo offrire, per placare un senso di colpa che solo noi possiamo provare, per quello che abbiamo lasciato che accadesse, indifferenti. ad armare quelle mani siamo tutti noi, ogni giorno, quando non riusciamo a vedere oltre quello che ci viene mostrato, e quando non ci sforziamo di scorgere, nell’ignoranza e nella brutalità, il seme della vita nuova che necessariamente verrà. solo chi lo vede, può impedire che degeneri. tentare, almeno. ed è una cosa che si può fare solo amando incondizionatamente, senza pretese e senza attese. la punizione, solo terrena, come prima ovviamente, - dio, se c’è, non è sfiorato da questo umano capriccio - serve solo a garantire potenza a chi non sa, o non vuole, affrontare a testa alta le difficoltà - necessarie e utili - che, da sempre e ancora, ci affliggono. ad armare quelle mani è il nostro voltare le spalle prima e soprattutto dopo che il male si è compiuto, mascherando la mancanza di coraggio come volontà di non “contaminarsi”. il mondo cambierà solo se vorremo guardare il male con occhi diversi. forse con quelli di dio.
quanto alla casa e alla signora, che si offende a sentirsi definire così, e il perché ve lo spiego un’altra volta, possiamo leggere la vicenda da una prospettiva diversa e, arrivando ad una citazione, necessaria, considerato questo blog, “(…) essere capaci di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo. Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell'incertezza di un viaggio oscuro. I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciare, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. È un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.”
marilisa
hei hei..spero non abbiate frainteso: la signora Ignoranza è una cosa mentre la signora di cui parlo alla fine è un'altra ok? cmq son d'accordo con ciò che scrivi marilisa... quello che bisogna fare è, da vicino e da lontano, mettere del proprio. ogni piccolo gesto, ogni piccola parola possono lasciare dei segni forieri di qualcosa di bello, di nuovo. i risultati forse non li vedremo.
RispondiEliminale tue parole non hanno lasciato spazio ad alcun fraintendimento, francesco. quello che hai scritto esprime perfettamente ciò che pensi, indipendentemente dall' identità delle signore.
RispondiEliminal'unica certezza, ma anche l'unica cosa che condivido con quanto scrivi, è che non vedremo risultati.
non per questo dovremo rinunciare a cercarli.
invece io non ho capito cosa hai capito tu su ciò che ho scritto... dovremmo essere sulla stessa onda. o no?
RispondiEliminaUn'altra prospettiva diversa è quella di pensare che la signora e la casa sono una metafora per descrivere il paese e il suo abbandono, e qui, ancora, parlo di me.
RispondiEliminasiamo così esageratamente legati alle cose, o alle case, se vogliamo, da vederle come creature vive...
RispondiEliminama stanno appena spuntando i germogli.
credo, sempre di più, che sia necessario lasciare che i frutti maturino quando verrà il loro tempo: inutile spingere solo perché ci siamo accorti che ci sono... finiremmo per bruciarli...
ma, soprattutto, continuiamo a suonarcela e a cantarcela in tre.......
cicciu sona, ginu canta e marilisa balla...
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