Accostarmi alla cucina per prepararmi il pranzo diventa un rituale che si rinnova di volta in volta. Il rito propriamente sacro del ricordo. E’ il momento in cui tutte le tradizioni che riguardano l’allestimento del cibo riemergono per ricordare dei momenti trascorsi insieme a chi non c’è più.
Tutte le donne della famiglia, dalle nonne, alle mamme alle figlie, erano eccellenti cuoche, a volte specializzate nelle più varie pietanze della tradizione paesana. La zia Rosina la ricordo accanto al forno di casa sua a preparare il pane o i biscotti, le “gute”, la mamma eccelleva nel cuocere i legumi o le verdure, la zia Amalia i timballi di patate o la pasta fatta in casa. La zia Amalia e la mamma erano maestre nel fare la jiotta di pesce stocco, del tutto diversa da quella che poi ho visto preparare dalle massaie messinesi, quel sugo io lo assaggiavo come uno sciroppo. Ancora erano magiche quando per la preparazione del ragù di carne soffriggevano aglio e cipolla nell’olio d’oliva proveniente dalla Rocca o dai Ssalis. Ciò avveniva sempre di domenica: dopo la messa sapevamo che correndo a casa c’era u jancareiu i pani che ci aspettava, ammorbidito e intinto, ancora senza pomodoro, in quel soffritto e cosparso di cipolla e di pezzettini di carne.
Queste donne erano le antiche sacerdotesse del passato, o ancelle accanto all’altare dove avveniva il sacrificio. Allora sedersi a tavola , in specie in quei giorni di feste con conseguente processione, per noi bambini diventava, aldilà del peccato di gola che ci veniva ricordato ogni momento, un accostamento sacro, l’approssimarsi all’altare e prendere la comunione. A questo proposito venivano anche ripetuti dei proverbi, che sarebbero tabù di popoli silvani: “ cu mangia e parla conversa ca morti” è quello che mi torna nella mente con più terrore.
Ora alle volte, quando pulisco un bicchiere o un piatto, è anche il momento dello zio Ernesto, quando alla fine della comunione puliva la patena e il calice: la cura e l’attenzione per non lasciare tracce di particole o di vino, il suo “preghiamo”, subito dopo, detto come da chi si è nutrito di vera manna caduta dal cielo, partecipando di tutto questo i fedeli che alzandosi rendevano le lodi a Dio.
SDG Soli Deo Gloria
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RispondiEliminasublime, veramente eccelsa questa descrizione. Mi piace tantissimo forse perchè mi ci ritrovo. Mia madre continua la tradizione del pane fatto in casa e con lei, da quanto so, siamo alla quarta generazione di donne dello stesso ceppo che si dedicano a questo rito che lancia l'inizio nella leggenda della Madonna che si mischia fra le ancelle della saggia Sibilla, per scoprire il segreto del lievito e passarlo alle altre, come oggi si passa ancora da vicina a vicina...
RispondiEliminaSpero che qualcuna delle mie sorelle voglia farsi custode, portatrice, di tale patrimonio o forse sarebbe giusto dire matri - monio accostandosi al concetto di MATER.