lunedì 10 gennaio 2022
La costa del sole [di John Sayles - 2002]
martedì 4 gennaio 2022
Una raffica di piombo [di Paolo Heusch - 1965]
PLATI’ - In contrada «ALATI» la
neve ha raggiunto gli 80 centimetri di neve
GAZZETTA
DEL SUD 12 gennaio 1956
Incredibile
fortunadi un
cacciatore a PlatìPlatì,
16 gennaio
(M.
F.) - La caccia ai tordi ha assunto, nelle nostre zone, sviluppi imprevisti:
migliaia e migliaia di questi volatili, cadono sotto il piombo dei cacciatori.
Incredibile
successo ha avuto un metodo sperimentato ieri l'altro da un cacciatore nostro
concittadino; questi, avendo notato come
le «Marvizze » volano a stormi
compatti, ha caricato il fucile con cartucce pesanti, usate di solito per la
caccia alla volpe: sparando sugli stormi ha uccìso con cinque colpi, ben
sessantacinque bestiole.
Non
è il numero che fa impressione, perché dato l'andamento della caccia di
quest'anno, ogni cacciatore che si rispetti, non torna casa se non ha nel carniere
almeno una cinquantina di tordi; ma è impressionante il fatto che il suddetto cacciatore
abbia potuto con un sol colpo fare cadere dieci quindici tordi per volta.
A
detta dei cacciatori anziani, un fatto simile non si era ancora verificato nel
nostri paraggi; solo una volta, nel 1939, un cacciatore sparò con un sol
colpo sei beccacce; ma i maligni dicono che una sola di queste bestie fu
colpite, mentre le altre
morirono
per sincope cardiaca. provocata dalla paura ...
Riferendosi
a questo fatto, celebre negli annali della caccia platiese, non vogliamo insinuare
nulla; ciononostante, non escludiamo
che
se si facesse l'autopsia a tutte le vittime del fortunato cacciatore di questi
giorni, si scoprirebbe che almeno una di esse è morta per la paura!!...
GAZZETTA
DEL SUD 17 gennaio 1956
sabato 1 gennaio 2022
La vita semplice [di Francesco De Robertis - 1945]
giovedì 30 dicembre 2021
Un mondo a parte [di Chris Menges - 1988]
C’era
una volta Platì/C’era una volta in Platì! Dentro questi titoli rubati al Maestro
dei Maestri si può incorniciare la “Vita di Platì”. Quella che viene fuori
dalla trascrizione dei Catasti Onciari del 1746 e del successivo del 1754. In
quelle pagine Platì non è mai riconosciuto ancora come paese ma di volta in
volta come: Terra, Tenimento, Curia, Unità, Università e, molto più spesso,
Motta. Come già altrove divulgato per Mocta, Motta, si intende un rialzo di
terreno. I due Catasti non sono molto dissimili nella loro forma, sono
differenti nel contenuto finale. Per ora e per non annoiare riportiamo la “Vita di Platì” del 1754 e con
gli occhi e la penna di Don Tolentino Oliva parroco, cui fu devoluto l’incarico
di registrare lo Stato delle Anime.
Erano 220 Fuochi. Per Fuoco o focatico si intendevano le singole unità
familiari comprendenti le persone soggette al pagamento delle imposte. I 220
fuochi erano comprensivi di 901 Anime: 462 donne, 439 maschi, 5 adolescenti
erano chierici, 7 i sacerdoti. Tra le donne vi erano 34 vedove e due in capillis. Con “virgines in capillis” si definivano le giovani nubili
che “per segno di illibatezza dovevano portare i capelli raccolti e non
scioglierli che il giorno delle nozze”. Altri Tempi! La vita media in Platì si
aggirava intorno ai 50 anni di età: Nicola Barbaro 90 e Filippo Cusenza 95
erano i più longevi. I ceppi più numerosi erano Agresta, Barbaro, Carbone, Cusenza,
Catanzariti, Italiano/Taliano, Perri/e, Portulisi, Sergi, Trimboli, Virgara, il
cognome più insolito è Zinnamusca. L’oligarchia che dominava era quella degli
Oliva ma c’erano anche Zappia al timone di comando. “Magnifico” era l’appellativo
che precedeva quegli Oliva e Zappia. “Magnifico” era Marzio Perre/i ed anche Francesco
Musitano il Cancelliere che siglava gli atti. Tra le donne i nomi più diffusi erano quelli di Domenica ed Elisabetta/Lisabetta, tra gli uomini Antonio, Domenico,
Francesco e Giuseppe. Lo Stato delle Anime del 1754 era comprensivo dei soli
nativi, mentre in quello del 1746 erano stati inclusi anche i forastieri. Quella
che ne esce è una ripresa grandangolare, il campo verrà ristretto solo zoomando
le “rileve” fatte dai singoli cittadini e non ci sarà distinzione tra nativi e
forastieri.
Nella foto d'apertura il dottor Giuseppino Mittiga
venerdì 24 dicembre 2021
Oratorio di Natale [di Kjell-Åke Andersson - 1997]
mercoledì 22 dicembre 2021
Never Ending Story [di Wolfgang Petersen - 1984]
La
storia di Platì è ancora tutta da scrivere.
Etimologicamente
il nome Platì, sarebbe da far risalire al termine prata (prati). Altri, invece, lo ritengono riconducibile alla voce
greca-bizantina platus (ampio). Il
riferimento, in questo secondo caso, va alle
frequentazioni dei monaci basiliani che tanta importanza ebbero in questa parte dell’Aspromonte. Altri ancora ritengono che il toponimo andasse collegato al
termine pratos, ossia “venduto”
(alludendo ai passaggi feudali), e alle successive alterazioni in protì e, poi, pratì.
La
nascita dell’abitato di Platì si crede collocabile nel XVI secolo, in
concomitanza dello spostamento di uomini dai centri più arroccati, con scarsa
possibilità di espansione, verso valle. Concausa di questo esodo pare fosse la
pratica, invisa al popolo, del fiscalismo senza scrupoli che danneggiava
proprio i ceti più deboli spingendoli lontano dall’influenza dei
feudatari.
Si ha
notizia di alcune foreste date, nel 1496, dal re Federico d’Arag0na a Tommaso
Marullo, barone di Bianco e conte di Condojanni. Quelle terre furono rivendute,
nel 1507, allo stesso conte Marullo da Ferdinando il Cattolico.
Tra
quei possedimenti ricadevano, però, alcune terre “nominatum de Plati at de Sancta Barbara” che erano state vendute
precedentemente (nel 1505) a Carlo Spinelli sempre dal re. Iniziò a questo punto
una complicata controversia sulle spettanze territoriali che durò per anni. A
derimere la lite tra gli Spinelli e i Marullo ci pensò un intervento regio che
assegnò la proprietà di Platì agli Spinelli i quali decisero di farne un centro
agricolo. Il feudo rimase nelle loro disponibilità fino all’eversione della
feudalità (1806).
Il terremoto
del 1783 colpi duramente Platì, cosi come molti altri paesi della Calabria,
provocando 25 vittime e danni ingenti.
Con l’ordinamento amministrativo del generale
Championet, nel 1799 Platì divenne autonoma rientrando nel cantone di Roccella.
I Francesi, nel 1807, ne fecero un’università compresa nel governo di Ardore.
Elevata
a comune, le vennero in seguito assegnate le frazioni di Cirella e Natile
(quest’ultima oggi è frazione di Careri). Nella prima metà dell’Ottocento venne
chiamata Mottaplati e soltanto alla fine di quel
secolo riconquistò l’antico nome.
Terminata
l’occupazione francese, gli Spinelli decisero di vendere i loro cospicui
possedimenti. I nuovi proprietari terrieri arrivarono da Napoli. Questi
edificarono grandi palazzi lungo la via San Nicola sottoponendo, però, il
popolo a ogni sorta di angheria.
Dopo
l’Unità d’Italia, Platì fu al centro di un duro scontro, generato dall’insoddisfazione
del popolo continuamente vessato dai ricchi proprietari. La sollevazione fu capeggiata
da Ferdinando Mittiga, un ex sergente borbonico che si fece aiutare nell’impresa
dal generale spagnolo don Jose Borjes. Circondata Platì, la battaglia durò per
ore. Alla fine, pere, ebbero la meglio i bersaglieri e gli uomini delle Guardie
Nazionali Civiche intervenuti. La repressione fu dura e provocò molti morti.
Mittiga, rifugiatosi sui monti, fu tradito e ucciso in un mulino nei pressi di
Natile Vecchio.
Nel
1908 un altro devastante sisma colpi Platì, distruggendo gran parte del paese.
Fu l’inizio dell’emigrazione verso l’America che registrerà la sua punta
massima negli anni Cinquanta.
Nel
1951 una paurosa alluvione (ce ne saranno altre nel ’53 e nel ’58) provocò
pericolosi movimenti franosi che
portarono gravi conseguenze alla viabilità.
La
chiesa parrocchiale fu edifica verso ii 1550, ed era governata da economi,
mantenuti dall’università. Fu elevata a parrocchia nei 1704, e primo parroco fu
il Sac. Francesco Perre; il Sac. Stefano Oliva, fu nominato primo Arciprete dal
Vescovo Scappa l’8 marzo 1774 in tempo di S. Visita.
La
chiesa era situata nel primo rione abitato.
Nel 1783 fu totalmente distrutta dal terremoto
e dopo alcun tempo fu riedificata sul posto stesso dove oggi è piantata, perché
più centrale e più stabile per la natura del terreno.
La
chiesa parrocchiale, rimasta vacante ii 5 dicembre 1817 per morte dell’investito,
finalmente, eliminate le cause che avevano determinate il provvedimento, fu provveduta
nella persona del Sac. Francesco Oliva.
Per lo
stato indecente in cui, era stata
lasciata la chiesa, fu restaurata dopo il terremoto del 1894 a spese e
cooperazione del Cav. Uff. Francesco Oliva fu Arcangelo. Trenta anni dopo la
cappella della titolare fu restaurata dalla generosità del Cav. Michele Oliva, e nel 1926, dalla pia signora
Maria Lentini vedova Filippo Oliva, fu decorata la navata di S. Francesco.
In
Platì, oltre alla chiesa parrocchiale, vi è quella di S. Pasquale, che è stata
eretta dai fedeli nel 1720. Vi era inoltre la cappellania dell’Immacolata, i
cui beni, anch’essi furono aggregati alla parrocchia.
Nella
chiesa di S. Pasquale l’1 giugno 1888, fu eretta la confraternita del Santo
Rosario, il cui statuto fu approvato dal Vescovo Mangeruva nello stesso anno,
e, per volontà del popolo la chiesa pigliò il titolo di Maria SS. del Rosario.
Tale chiesa fu riparata nel 1924 e nel 1926, con l’obolo dei fedeli per
iniziativa della Confraternita.
Il
terremoto del 1908 quasi distrusse la chiesa parrocchiale.
La
costruzione del1’attuale chiesa venne iniziata nel 1944, con molto entusiasmo dell’Arciprete
Mons. Giuseppe Minniti e con la collaborazione attivissima di tutta la
popolazione.
La costruzione
andò avanti in tal modo, fino verso il 1952, quando fu emanata la Legge n. 2522
del 19-12-1952, che diede modo di avere contributo dello Stato.
Emanuele
Maggioni e Lino Tagliani, Padri Missionari della Consolata
Testo
e foto, Dedicazione
della Chiesa “Santa Maria di Loreto” in Platì, 2006
domenica 19 dicembre 2021
La festa perduta [di Piergiuseppe Murgia - 1981]
A PlatìPlatì, 25 nov.
(M. F.) In
modo particolarmente solenne si e svolta quest’anno a Platì la festa degli alberi.
Alla cerimonia svoltasi nelle ore antimeridiane, erano presenti le autorità
cittadine e gli insegnanti elementari accompagnati dalle rispettive classi. Non
mancavano rappresentanti di tutti gli strati della popolazione.
Oratore ufficiale
è stato il prof. Giuseppe Gelonesi, che in un breve, commosso discorso ha
ricordato all’uditorio quale enorme importanza rivesta per Platì il rimboschimento
delle montagne straziate dalle alluvioni.
Unica risorsa, infatti, per la sicurezza del
nostro paese sono gli alberi: che fortificano con le loro radici e arrestano il
corso delle frane ovviando in tal modo, alla incuria dimostrata finora dai vari
governi per la terra calabrese.
La coreografia
era stupenda: Su un lunghissimo tratto della statale 112, si stendevano infatti
le file composte degli scolari che alla fine del discorso riprendevano la via,
sotto l’attenta guida degli insegnanti, cantando inni patriottici, seguiti dal
numerosissimo pubblico
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD,
26 novembre 1954
giovedì 16 dicembre 2021
Mare lento [di Michele D'Ignazio - 2009]
Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e ricrearle. Paulo Freire (1921 – 1997)
… questi giovani hanno avuto occasione di pensare, di confrontarsi. Soli e insieme. Danilo Dolci (1924 – 1997)
Facendo ricerche su Danilo Dolci Mr. Google mi ha condotto verso questo video intitolato Mare Lento di Michele D’Ignazio. Il titolo è spiegato verso la fine del lavoro con una didascalia su sfondo nero: “Nel linguaggio dei nativi americani, la parola “insegnante” non esiste. È la vita che insegna: sono le circostanze, come il susseguirsi delle onde, in un unico grande mare”. Anche la citazione di Danilo Dolci è contenuta nel video in questione. Quella di Paulo Freire invece proviene da un lavoro più sostanzioso già apparso su queste pagine: La Educacion Prohibida*. Paulo Freire è stato un educatore brasiliano che molto ha in comune con il nostro Danilo Dolci. Mare Lento, del 2009, ritrae la vita e il percorso educativo di una classe del Liceo Classico “Vincenzo Gerace” di Cittanova. I ragazzi ad un anno dalla maturità erano guidati dal professor Fabio Cuzzola(1). Proprio nel lavoro del professor Cuzzola e nelle impressioni dei suoi allievi è la parte più interessante del video: “Ho scelto l’insegnamento come possibilità lavorativa per restare al sud, in Calabria, poi via via una scelta lavorativa è diventata una passione, la migliore delle esperienze attraverso la quale si può coniugare la possibilità di restare in questa terra e di poterla cambiare anche restandovi”. Da parte loro gli allievi vanno esprimendo le loro impressioni sulla scuola e sui loro docenti: “… non è questione se sono bravi o se sono capaci … sono attaccati ai punteggi, ai concorsi, alle graduatorie … alla 104”. Essi hanno anche un futuro incerto che li aspetta ed alcuni di loro già pensano di affrontarlo con l’emigrare al Nord. Nel frattempo grazie alla professionalità del professor Cuzzola, che non disdegna il teatro o le conferenze, i ragazzi sono indotti a pensare con la loro testa: Danilo Dolci usava la maieutica con i braccianti e i “banditi” di Partinico. Noi di Platì abbiamo avuto Pasqualino Perri come educatore e l’abbiamo sprecato come sprechiamo tante risorse che dal paese derivano. I docenti della locride pensano anch’essi alla 104?
E i domani verranno anche se oggi non par vero. Danilo Dolci
(1) Fabio
Cuzzola, classe 1970, è anche autore di Cinque
anarchici del Sud. Una storia negata (Città del Sole Edizioni, 2001) e REGGIO
1970: Storie e memorie della rivolta (Donzelli, 2007).
* https://iloveplati.blogspot.com/2020/12/la-educacion-prohibida-di-german-doin.html