Sicut sagittae in manu potentis, ita filii excussorum.
Salmo 126*
Sant’Ilario del Ionio 26 luglio
1872 Registro degli atti di morte N. 41
Oliva Signor
Stefano
Documenti
inclusi n. 2
CIRCONDARIO
DI GERACI MUNICIPIO DI
SANT’ILARIO DEL IONIO
oggetto: estratto
atto di morte
Al
Signor Ufficiale
dello Stato
Civile del Comune
di Platì
Per
adempimento del prescritto dell’art. 397 Codice Civile, si onora il
sottoscritto trasmettere al suo Collega del Comune di Platì copia autentica
dell’atto di morte del Signor Oliva Stefano figlio del fu Michele che aveva
costì la residenza onde se ne faccia la debita trascrizione a norma dell’art.
106 N. 4 del R. Decreto sull’Ordinamento dello Stato Civile del 15 novembre
1865. L’Ufficiale
dello Stato Civile Provincia
di Reggio Calabria Comune
di Sant’Ilario dell’Ionio ESTRATTO Del
doppio registro di Sato Civile per gli atti di Morte, tenuto in questo Comune,
ufficio unico, anno 1872, N. 36 d’ordine =Oliva Stefano =
L’anno
milleottocentosettantadue il giorno venticinque del mese di Luglio alle ore
quattro pomeridiane nella Casa Comunale di Sant’Ilario dell’Ionio, Circondario
di Geraci, Provincia di Reggio Calabria=Dinanzi a me Murdaca Bruno Assessore
Delegato alle funzioni di Sindaco ed Ufficiale dello Stato Civile del Comune
sudetto, per impedimento del titolare, sono comparsi i Signori Guida Fortunato
di Vincenzo, di anni trenta cinque,di professione maestro di scuola e Speziali
Domenico di Antonio di anni ventotto, falegname, ambi domiciliati in questo
Comune, i quali mi ànno dichiarato che alle ore dieci antimeridiane di oggi stesso
è morto in questo Comune, nella casa di abitazione del Signor Speziali Tommaso,
sita largo Cattolica al numero civico nove, il Signor Stefano Oliva marito
della Signora Speziali Elisabetta, di anni quarantotto, di professione
proprietario civile, nato e domiciliato in Platì, figlio del fu Michele proprietario
e della fu Speziali Francesca gentildonna, domiciliata in detto Comune di
Platì= Di che è formato il presente atto, inscritto nei doppi registri, che,
previa lettura a norma di legge, viene con me sottoscritto dai sudetti
dichiaranti= Guida Fortunato= Speziali Tommaso=l’ Ufficiale dello Stato Civile=
Bruno Murdaca
ATTO
DI NASCITA
Num.
A ordine 18
L’anno
milleottocento e ventitre il di diecisette
di Marzo alle ore venti avanti di Noi Domenico Oliva Sindaco ed Ufficiale dello Stato Civile del comune
di Platì Distretto di Geraci Provincia della Prima Calabria
Ulteriore è comparso D. Michele Oliva di
Domenico di anni quaranta di
professione proprietario domiciliato in questo Comune Strada Chesiolail quale ci ha presentato un maschio secondo che abbiamo ocularmente
riconosciuto, ed à dichiarato che lo
stesso è nato dalla Signora D. Francesca Speziali sua moglie legittima d’anni
trenta domiciliata con esso e da lui dichiarante, di professione come sopra,
nel giorno dodici del mese di Marzo corrente anno, nella casa di propria
abitazione situata come sopra (1). Lo stesso à
inoltre dichiarato di dare al maschio il nome di Stefano. La presentazione
e dichiarazione a me detta si è fatta alla presenza di Giuseppe Portolesi di anni trenta
sei di professione Bovaro
regnicolo, domiciliato in questo Comune Strada
sudetta e di Giovanni Fera di
anni trenta due di professione vaticale regnicolo, domiciliato ivi
testimoni intervenuti al presente atto, e da esso signor D. Michele Oliva prodotti. Il presente atto,
che abbiamo formato all’uopo, è stato iscritto sopra i due registri, letto al
dichiarante, ed a’ testimoni, ed indi nel giorno, mese, ed anno come sopra
firmato da noi, e dal dichiarante avendo
detto li testimoni di non saper scrivere.
*.*.*.
A quasi 150 dalla morte conviene ricordare un figlio dell'illustre casata Oliva.
- In apertura un particolare del Casino Oliva sito in contrada Margherita*. - La strada Chesiola oggi è via XXIV maggio. A firmare l'atto di nascita insieme al padre di Stefano è il nonno Domenico, capostipite della potente famiglia Oliva già apparso qui:
(1) Lo stesso Stefano, avvocato, sposò in Sant'Ilario il 19 ottobre del 1852 una Speziali, la sedicenne donna Elisabetta di Tommaso e Francesca Murdaca.
Tenta di
rapire nottetempo diciottenne ritenendo che
fosse sola in casa
Locri, 13 genn. (F.
T.)La popolosa frazione di Cirella --
comune di Platì - è stata messa, l'altra notte, a rumore per la boccaccesca
impresa di tale A. M. di Francesco di 19 anni, il quale, innamorato,
corrisposto pare, di una graziosa fanciulla diciottenne M. C. M. di Francesco,
aveva divisato di servirsi di una scorciatoia anziché battere la via maestra.
Infatti venuto a conoscenza che la madre della sua fiamma si era allontanata
dal paese per fare una «capatina» negli Stati Uniti d'America, ritenendo che l'amata
Carmela fosse sola nella casa paterna, cercava di rapire la bella dormiente. Ahimè,
però, perché, male gliene incorreva: la madre premurosa aveva pregato una comare
a vegliare i sonni della ragazza per cui, dato l'allarme, l'ardente Totò veniva
denunziato per tentato ratto a fine di matrimonio e tentata violenza carnale. E'
probabile che la C. non sappia resistere al pensiero che il suo spasimante sia
finito in prigione reo di avere troppo amato e che induca i propri genitori ad
affrettare le sospirate nozze, in modo che la dea Temi possa indulgere verso il
giovanotto. GAZZETTA
DEL SUD, 14 gennaio 1957
Rinuncia ad eredità L’anno milleottocentottantadue il giorno ventitre
Maggio in Ardore nella Cancelleria della Pretura ed innanzi a me Cancelliere
della stessa è comparso Gliozzi Luigi fu Domenico di Platì ed ha detto che
col presente atto rinuncia espressamente puramente e semplicemente all’eredità
del fu suo padre trapassato il di otto Ottobre 1860 in questo Comune di Ardore. Del che si è redatto il presente firmato dal
dichiarante e da me cancelliere. Firmati Gliozzi Luigi: Antonio Portaro
Cancelliere. Specifica Carta centesimi sessanta: Dritto lira una: Spedizione
centesimi venti: Toatale lire una e centesimi ottanta Quietanza N. 418 Portaro Ardore 23 Maggio 1882 Per copia conforme rilasciata al Signor Gliozzi Il Cancelliere AnPortaro
Don
Luigi (all’anagrafe Giosofatto Luigi) Gliozzi dei cugini consangunei don
Domenico e donna Elisabetta Gliozzi era nato a Platì il 12 giugno del 1841. Il
6 febbraio 1883 sposò "donna non
maritata, non parente né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento " Assunta Lopez di Angelo e Parovani Matilde tutti
provenienti dalla città di Roma. Di professione Assunta faceva la sarta mentre
il padre a Platì, stando al database compilato da Ernesto Gliozzi il giovane,
esercitò la professione di tabellarius-quirites, come dire esattore. L’
abitazione di Luigi e Assunta nei primi anni fu in piazza Duomo e successivamente
all’Ariella. Da Luigi e Assunta nacquero sei figli di cui due Cesare Augusto e
Domenico/Giulio (1) sbarcarono in America. Luigi
cessò di vivere il 25 novembre del 1898.
Della
rinuncia all’eredità oggi pubblicata nulla si sa. Il beneficio andò al reduce
della “Guerra contro gli Agusterece” (2)Francesco, che unendosi in
matrimonio con Rosa Fera chiamò il terzogenito da loro nato Luigi, scelta già
avvenuta in precedenza quando alla nascita del primo figlio lo aveva registrato
Filippo come un altro fratello, ma il povero Filippo visse solo qualche mese. Ecco ora la discendenza di Domenico Gliozzi (1813 – 1860) di Giuseppe e Filippa Codispoti e donna Elisabetta Gliozzi (1820 - ?) di
Francesco e Carolina Mittiga: Giosofatto
Luigi 12 giugno 1841 Giuseppe
Errigo 10 novembre 1842 Francesco
27 settembre 1844 Filippo
30 novembre 1846 Michele
23 febbraio 18493 (3) Mariantonia
Giuseppa 10 marzo 1851 Carlo
26 marzo 1853 Vincenzo
9 novembre 1855 / 13 aprile 1870 Carmelo
Ferdinando 25 luglio 1858 (1)https://iloveplati.blogspot.com/2017/10/ohio-crosbystills-nash-young.html (2) https://iloveplati.blogspot.com/2012/01/correva-lanno-di-grazia-1870-reg.html (3)https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/un-dolore-improvviso-di-ubaldo-maria.html
Chi scrive queste
note piace ricordare 'Ntoni Catanzariti nella nobile arte di mastru da cardara*. Ma non era solo
questo in quanto ha speso la sua breve vita tra la famiglia, numerosa, ed il lavoro.
E’ stato, e tale rimarrà, un esempio di antico platiotu con le tradizioni da
tramandare in seno alla famiglia. Nel poco tempo che gli rimase, come una
premonizione, percorse in Australia con l’inseparabile sposa quello che sarà un
viaggio di congedo dai propri cari che in quelle terre decisero di trapiantarsi,
come cerzi aspromontani.
(…) Francesco
Oliva istituì eredi, nell' usufrutto dei suoi beni il nipote ex frate Oliva
Filippo e, nella proprietà, i figlii nascituri di lui, Filippo Oliva, prima di
passare a matrimonio, con istrumento del 26 novembre 1903, assumendo la qualità
di legale rappresentante dell'eredità, cede per L. 6233.85 a Mercurio Alberto,
in pagamento di due debiti ereditari, il fondo denominato Sfalasi o Boschetto,
compreso nell'eredità, ed il Mercurio con atto pubblico del 29 giugno 1919,
vende lo stesso tondo per L. 15000 a Gliozzi Luigi, il
quale, come le parti concordemente ammettono, dichiarò, mediante due scritture
private in data di quel
medesimo giorno di rimanere debitore di parte del prezzo, cioè di L. 2500, e di
accettare il patto di
riscatto, da esercitarsi nel termine di quattro anni. «Con
atto del 13 settembre 1919, il Mercurio dichiarò al Gliozzi che avendogli
invano fatto premura, per mezzo del Notaio Ruffo, di addivenire alla stipula del
riscatto, lo invitava a comparire nell'Albergo, Vergara Rosario, in Platì,
dinanzi al Notaio che sarebbe stato all' uopo richiesto, per procedere al
riscatto, previa ricezione delle L. 12500 e, pel caso di rifiuto, lo citava a
comparire innanzi al Tribunale di Gerace, per sentirsi
condannare all' immediato rilascio del fondo, al pagamento dei danni ed alle
spese. Il Gliozzi non si presentò
all'Albergo anzi detto nell' ora stabilita ed il Mercurio fece ciò constatare
con atto notarile, dopo di che
però non diè corso alla citazione dinanzi al Tribunale, trascurando di far
iscrivere la causa a ruolo. Successivamente
Lentini Maria, vedova di Filippo Oliva, (il quale l'aveva sposata dopo la
vendita del fondo Sfalasi e ne aveva avuto quattro figli, di cui tre viventi ed
un altro a nome Pasquale Maria Raffaele morto il 21
luglio 1906) con atto del 16 ottobre 1919, tanto in proprio nome che in qualità
di rappresentante i tre figli
viventi, conveniva dinanzi lo stesso Tribunale di Gerace il Mercurio e il
Gliozzi, e chiedeva che, in loro confronto,
si dichiarassero nulle ed improduttive di effetti giuridici le due vendite anzi
cennate del fondo Sfalasi
pel motivo che, in quella da Oliva a Mercurio, mancava la necessaria
autorizzazione del Tribunale, e nell'altra
da Mercurio a Gliozzi mancava nel venditore la qualità di proprietario; sicché
Gliozzi doveva essere condannato a rilasciare il fondo, in un termine perentorio
da stabilirsi, a pagare i frutti percepiti, dal giorno della dimanda fino al rilascio
ed a rimborsare le spese del giudizio. «Gliozzi,
con atto del 7 marzo 1920, chiamava in garenzia il Mercurio, chiedendo ch'egli
fosse condannato a rilevarlo dal peso della lite, e, in ogni caso, a restiluirgli
il prezzo di lire 15 mila ricevuto, e ciò sempre che l”istanza della Lentini,
che anch'egli intendeva contrastare, venisse accolta. (…)
- Estratto
dalla relazione del ConsigliereComm.
ZAPPAROLI nella causa Gliozzi contro Broussard discussa il 17 novembre 1924
presso la Corte di Cassazione del Regno –2a Sezione.
- Ricordo ancora una volta che l'umiliante causa tra il nonno Luigi e l'avvocato Mercurio si trascino per oltre un trentennio.
- Da oggi ho inserito nel blog una nuova etichetta chiamata Storia dell Famiglia Oliva che a breve aggiornerò con quanto fin qui pubblicato.
- La foto in apertura ritrae la facciata della calzoleria del nonno Rosario trasformata nella metà degli anni 50 in bar. Attività che papà svolse fino alla metà degli anni 60 con annessa ricevitoria del Totocalcio.
Devo le copertine in apertura al Gentilissimo Signor Saverio Liardo che continua con accanimento le sue ricerche su Mons. Mario Sturzo (1861-1941) già vescovo di Piazza Armerina EN e fratello del fondatore del Partito Popolare Italiano. Il Signor Liardo era intervenuto con un commento qui:
interessato alla recensione del libro Rivali da parte di Francesco Portolesi (1883-1951) apparsa sulla rivista LA SCINTILLA di Matera il giorno di San Valentino del 1904.
È tempo di demitizzare un’era e un luogo onde costruire un nuovo mito. James Ellroy
Signore oppure brigante?
Caci e il suo Aspromonte
Rachele Gerace
Non
c'è ricchezza più grande dell’appartenenza e non c'è storia di platiese che
possa essere descritta da altro sangue». Raccontare la storia di una terra - al
di là dei luoghi comuni e di quei “pregiudizi” che rischiano di distogliere l’attenzione
da una realtà fatta di tradizioni e suggestioni, fra colori, sapori e suoni –
non è cosa semplice; ci vogliono passione e tanto coraggio. “Sull'onore nostro.
Saluti da Platì Aspromonte" (Città del Sole Edizioni) è la seconda prova
narrativa di Michele Papalia, avvocato 35enne di Platì con la passione
smisurata per la lettura e la scrittura. Quattro
anni dopo la pubblicazione di “Caci il Brigante”, l'autore torna a 'raccontare
del suo paese, Platì, nel cuore dell'Aspromonte, attraverso le vicende di
Ferdinando Mittica detto “Caci” ricostruite grazie a una capillare ricognizione
di documenti, saggi e poche testimonianze degli anziani del posto. Protagonista
di storie inverosimili, pronto a essere tutto e il contrario di tutto - signore
o brigante, filoborbone o liberale, galantuomo o malandrino - Caci simboleggia
la Calabria de- gli anni 20, del secolo scorso, un “topos” storiografico,
sociale e letterario che l'autore tenta di trasfigurare. E sembra esserci riuscito
attraverso un'attenta e rispettosa analisi, grazie alla quale riscopre luoghi e
leggende, muovendosi abilmente tra i palazzi e le vie del paese, i passi e le
rocche fra i boschi dello Zillastro. Amante
appassionato della letteratura, Papalia non fa mistero della sua devozione ad
autori come William Faulkner e Roberto Bolaño, a cui cerca di ispirarsi per uno
stile narrativo (soprattutto nei dialoghi) asciutto e senza orpelli. Come
afferma l'amico e cultore Luigi Mittiga, “Sull'onore nostro” è «anche il diario
del processo di emancipazione di un popolo che lascia il passato per affrontare
l’integrazione nell'età contemporanea». Il sottotitolo, “Saluti da Platì
Aspromonte”, incastonato in una cartolina, è il riscatto “in termini" di
un paese simbolo della frugalità dell'epoca, con le classi sociali racchiuse
nell'immagine dei signori “dal ventre grasso”, dai loro vizi privati e dalle
virtù pubbliche, alla quale si antepone un popolo che
sopravvive tra gli stenti. Eppure quell' “onore”, declinato in tutte le forme,
onnipresente, faceva apparire ogni cosa straordinariamente normale. GAZZETTA
DEL SUD, 1 dicembre 2020
Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla.
BOZZETTO CALABRESE
Gita
sull’Aspromonte
Platì, 21 aprile Dopo molti giorni di pioggia
ininterrotta bruscamente spuntò il sole. Naturalmente ci ritrovammo tutti sulla
strada a godercelo quel sole caldo che ti liberava dalla prigionia delle pareti
domestiche e tutta la valle si beava con noi di quell’improvvisa inondazione di
luce. Seduto sul muro d’un ponticello
Ciccio Donarom canticchiava tra sé con un perfetto senso del ritmo: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a
cirimindòla». A un tratto proruppe: farei
volentieri una mangiata di funghi! E ci guardò in faccia illuminato; il dado
era tratto: la gita ai funghi si organizzò lì per lì. Un’ora dopo eravamo in
marcia verso le alture dell’Aspromonte. Superato il primo momento di stanchezza
camminammo automaticamente sul ritmo che Ciccio Donarom ci segnava gentilmente:
«Natatinni natatonni natatinni tonni tà». Ci arrestammo soltanto quando udimmo: il grido del
maestro X che si accompagnava «- Rrigàmundi, cotrari, ca ncignaru
a cumpariri!!». E si Ianciò con sacro
zelo verso una grande macchia bianca, che si intravedeva nell'erba, a qualche
passo di distanza, tornò deluso «- Era, nu pitaraci!». Non avemmo tempo di ridere del
suo insuccesso perché già si era impadronita di noi la febbre del fungo. La zona era infestata di quei;
«Pitaraci. Si chiama così nei nostri luoghi una qualità
di fungo che pur non essendo velenoso non è raccolto da nessuno perché di gusto
sgradevole al palato; Cicclo Donarom per la stizza aveva smesso di
canticchiare. Ad un tratto lo vedemmo guizzare
come un’anguilla verso un branco di mucche che pascolavano poco lontano: strappò
qualcosa dal muso di una di esse urlando: «Pòsa, sdisonesta, pòsa!!». Intuimmo la tragedia e accorremmo all’arrembaggio;
riuscimmo a ricuperare solo tre o quattro chili dell’enorme fungo porcino che
la mucca aveva trovato e li distribuimmo equamente nei vari panieri, secondo il
merito che ognuno di noi aveva avuto nel... combattimento. Le mucche sono ghiottissime
dei funghi e li scovano con un’abilità sorprendente. Avvistammo poco più in là
un’altra del branco che mangiava qualcosa molto soddisfatta; ci precipitammo: era
un enorme fungo, come avevamo previsto; solo che la presunta mucca era un toro
il quale ci guardò con occhi tutt’altro che amichevoli: inducendoci a desistere
da ogni tentativo bellicoso. Ci dovemmo contentare di assistere all’ingloriosa
fine di quel povero fungo, standocene a rispettosa distanza. Quando le mucche
abbandonarono il campo, questo era... sgombro nel vero senso della parola. Continuammo il cammino verso
mete più alte; arrivammo sui piani Aladi, e da qui ci trasferimmo sui piani di Zervò
dalle fittissime faggete. Appunto in una cli queste faggete ci accorgemmo che
nel gruppo non c’era più ’Ntoni Conio; lo cercammo per ogni dove sapendo che in
mezzo a quegli alberi foltissimi era facilissimo spedersi ma senza risultato. Chiamammo;
gridammo ma di ’Ntoni Conio nessuna traccia. Ce lo vedemmo tornare tutto
allegro dopo una mezz’oretta, e tutto... infungato dalla testa ai piedi: funghi
gli spuntavano dalla giacca, dal cappello e perfino dai pantaloni, Aveva
trovato una macchia letteralmente coperta di funghi q aveva pensato bene di non
farne parola con nessuno; Ci promise di indicarcela solo se gli avessimo ceduto
due delle nostre ceste per riporvi tutto quel ben di Dio dato che non sarebbe
potuto tornare a Platì conciato in quel modo, che pareva una fungaia. Dovemmo capitolare, sul luogo
che ci indico erano rimasti molti funghi velenosi che riconoscemmo subito perché
non erano morsicati dalla limaccia. Il segno inconfondibile dal quale noi
riconosciamo la qualità mangereccia o no dei funghi, è il morso della limaccia
che si trova solo sui funghi buoni; ’Ntonl Conio questo non lo sapeva e rimase
molto male quando gli svelammo, tra le grandi risate che le sue ceste erano
piene di funghi avvelenati. Dovette vuotarle tutte e tre; e noi per vendicarci
lo lasciammo tornare a Platì con la cesta vuota. Una fame impreveduta, intanto
comincio ad attanagliarci le budella; dovemmo fermarci presso un recinto di
capre a chiedere qualcosa ai pastori. Ci diedero del pane nero e secco che c'i
sembro ambrosia e continuammo il cammino addentandolo con avidità. S’era fatto tardi, ma chi
se ne accorgeva? Si badava solo ai funghi; era come una specie di competizione,
a chi ne raccoglieva di più. La sera ci sorprese a molti
chilometri di distanza dal paese e solo alle dieci di notte potemmo rientrarvi;
Ma prima di salutarci, dividemmo fraternamente tra noi gli ottimi funghi che Ntoni
Conio aveva buttato via dalle ceste credendoli avvelenati. Ciccio Donarom canticchiava soddisfatto: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a
cirimindòla». Michele Fera GAZZETTA DEL SUD, 22 aprile
1956
Accompagnata dai miei due “Virgilii”
Mimmo Catanzariti e Mimmo Criaco, ho visitato alcune case di Africo Nuovo per
fare delle interviste. Ho così conosciuto delle persone squisite: Andrea Stilo,
classe 1932, e sua moglie Giovanna Criaco, classe 1936; Antonia Leggio, classe
1939; Gian Battista Strati, classe 1946 e infine Costantino Criaco, professore
di matematica, che ha insegnato anche a Platì, appassionato poeta e storico del
proprio paese. Abbiamo conversato e ascoltato il professore per più di un’ora
durante la quale ci ha mostrato anche i tre libri che ha scritto sulla storia
antica e recente del paese:
“Africo - Storia e tradizioni, leggenda
e fantasia, per amore e cortesia, di Africo terra mia”, storia in versi.
“Africo: terra mia”, storia del paese.
“Africo: terra mia. Parte Seconda” con
racconti, storia e ricordi.
Con mia grande sorpresa, ha voluto
omaggiarmi dei tre volumi che ho scorso velocemente e che leggerò con grande
interesse. La storia di Africo che certamente risale al neolitico, visti alcuni
interessanti reperti ritrovati dopo l’alluvione del 1972 fra cui un rosone di
pietra, si ferma, almeno nel suo sito originale, nel 1951 a seguito
dell’alluvione.
Testo Rosalba Perri
Le foto di apertura e quella di Africo Vecchia appartengono a Costantino Criaco e sono incluse nei testi citati.