LE
ACQUE IMPETUOSE SCORRONO DOVE VOGLIONO SU UNA ZONA DI MOLTI CHILOMETRI QUADRATI
A
distanza di 6 anni dalla “grande alluvione”
il torrente Acone dev’essere ancora
bonificato
Non
sarà certo il tempo a fornire il denaro necessario perché i fiumi tornino nei loro letti primitivi e l’agricoltura rifiorisca sulla sterile distesa di pietre
e sabbia.
Platì,
25 marzo
I
fatti di Villapiana ci hanno improvvisamente riscoperto la realtà calabrese.
Quanti di noi non si erano inconsciamente convinti che il tempo riesce a sanare
anche piaghe delle alluvioni?
Un
antico motto afferma che «il
tempo è denaro».
Qualcuno avrà forse creduto che abbandonando la Calabria a sé stessa ci penserà
il tempo a fornire il denaro necessario perché i torrenti tornino nei loro
letti
primitivi e l'agricoltura rifiorisca sulla sterile distesa di pietre e di
gabbia che a noialtri calabresi regalò l’anno di grazia
millenovecentocinquantuno.
Il
materiale alluvionale trasportato dalle piene dei torrenti non ha ricoperto «tutto»
il territorio calabrese:
ne ha ricoperto solo una parte. Ma la distruzione di quella parte dell’agricoltura
calabrese è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E doveva trattarsi
del vaso di Pandora se ne sono usciti solo fame, miseria e disoccupazione.
Non è
stato mosso un solo dito per la bonifica dei torrenti che hanno seminato questi
mali in Calabria nel 1951 e nel 1953; e che continuano a seminarvi il panico e
l'avvilimento.
Non è
stato mosso un solo dito per la bonifica dell'Acone, il torrente responsabile
del mal di fegato di quelle migliaia di persone che ogni anno durante lunghi
mesi, cercano invano di contendergli palmo a palmo l’arida terra degli
antenati.
Lungo
il corso superiore del torrente Acone, sono stati posti in essere tempo fa i
soliti palliativi, i soliti «specchietti
per allodole»
consistenti nella costruzione di qualche briglia che avrebbe la pretesa di infrangere
le impetuose piene autunnali del torrente medesimo.
Nel
corso inferiore, nemmeno questi palliativi sono stati attuati. Ma i
messaggi-fantasma che riferiscono di interrogazioni al Governo da parte di
qualche parlamentare, di mozioni, etc., continuano ad illudere la povera gente
delle zone interessate.
L'Acone
non ha più un letto. Scorre dove vuole, in una vastissima zona «tabù» che si stende per molti
chilometri quadrati.
Abbiamo
impiegato venti buoni minuti di marcia per attraversare da un capo all'altro
questa impervia regione di pietre acuminate e di vecchi tronchi inservibili.
«Se ci passerete l’anno venturo ne impiegherete venticinque, di minuti» - ci assicura un capraio del
luogo.
Ce lo
dice con una tranquillità olimpica, come se non glie- ne importasse niente. Non
gliene importa, infatti, perché è capraio. Se l'Acone gli leva il pascolo in
questa zona è dispostissimo ad andarsene altrove col suo gregge.
Appunto
perché non ha interessi diretti alla bonifica: del l'Acone, gli chiediamo di
dirci obiettivamente cosa ne pensa della indifferenza del Governo a questo
importante problema delle popolazioni di Natile, Platì, eccetera.
Da una
intervista con un capraio non ci si possono aspettare grandi cose; tuttavia il
parere del capraio è lineare, primitivo, ma tagliente.
-
«Quand'ero in America - ci dice - pagavo molte tasse, ma vivevo comodamente;
adesso che sono tornato in Italia, a fare il capraio pago le tasse e vivo male».
Non ci
meraviglia il fatto che il capraio sia stato in America. Così come il suo caso
ce ne sono a centinaia qui da noi. Ci meraviglia però che nella sua mente sia
così chiaramente delineato il concetto giuridico di prestazione e
controprestazione che dovrebbe sussistere tra lo Stato e i cittadini
contribuenti. E ci tornano alla mente le parole di un nostro concittadino, il
quale, proprietario di un fondo posto su una riva dell'Acone, si lagna di dover
pagare annualmente i contributi di bonifica, mentre la bonifica è sempre di là
da venire.
E ci
pensiamo, seguendo il corso del torrente fino al suo punto di confluenza col
Ciancio.
Per
questo punto di confluenza, l'Acone ha creduto bene di utilizzare il terreno di
due vaste estensioni di proprietà privata; e per rendere questa proprietà ancora
più «privata», l'Acone le ha tolto tutti gli alberi esistenti; in più l'ha
privata delle case coloniche, delle stalle, etc. Il letto dell'Acone doveva per
forza finire in bellezza.
Dalla
confluenza, con il Ciancio, nasce un nuovo torrente: il Careri. Di quest'ultimo
si è interessata la Cassa per il Mezzogiorno, la quale vi ha promosso una
specie di bonifica. E' meglio non parlarne, però, di questa bonifica.
Per
esempio sul letto del Careri, abbastanza ricco d'acque da non permettere il
guado se non nelle stagioni di magra, non esiste un ponte che allacci gli
abitati di Natile Vecchio e di Natile Nuovo. Il ponte è stato compreso, pare,
nel piano della Legge Speciale per la Calabria; ma non sappiamo in quale anno.
Comunque. bonificando l'Acone la costruzione di detto ponte sarebbe oltremodo
più facile e si potrebbe levare finalmente mezzo quella vecchia carcassa tenuta
insieme a forza di fil di ferro e detto «passarella» che crolla ad ogni piè
sospinto bloccando traffico per mesi e mesi ogni volta.
Un
concittadino di Natile ci ha detto, a proposito della passarella che cade
sempre: «Perché quelli del governo si convincessero della necessità di costruire
il ponte, bisognerebbe farli abitare per un mese
a
Natile Vecchio e fagli attraversare a guado il torrente due volte al giorno;
così gli verrebbero i reumatismi alle gambe, e allora provvederebbero subito». Questa frase a prima vista
non dirà niente a qualche lettore; per comprenderla appieno bisogna esserci
passati, a guado nel Careri.
Noi ci
siamo passati, costretti dalle circostanze, nel dicembre del 1953. Eravamo
passati dall'altra sponda a, cavallo di un mulo; il quale, al ritorno, forse per
dimostrare di essere dotato di una intelligenza superiore, non ne volle sapere
di entrare di nuovo in acqua, e ci costrinse ad entrare noi stessi, tenendo la
bestia per le redini. E possiamo assicurare che quando l’acqua ci mulinò
intorno alla cintola, non fu davvero un bel momento.
Ricordando
l’episodio guardiamo, istintivamente, la tarlata passerella che cigola maledettamente
e traballa.
Non
impieghiamo più di dieci minuti a raggiungere l’altura dove passa la Statale
112, e quando finalmente ci siamo. seduti su uno dei suoi muretti impolverati,
ci sembra di essere usciti dal mondo selvaggio o
primitivo
dell'Acone, con lo stesso animo di Dante quando tornò a «riveder le stelle».
E
attendiamo sollevati la sconquassata corriera che ci riporterà a casa.
MICHELE
FERA
GAZZETTA
DEL SUD, 26 marzo 1957
Nella foto il torrente Acone è visibile alla vostra sinistra.