E' NATA
lunedì 15 febbraio 2021
domenica 14 febbraio 2021
Luv vuol dire amore [di Clive Donner -1967]
... non un'opera che fermi il tempo, invece un segno nel tempo che trascende il canone.
Disponibile qui:http://www.editrice-leonida.com/Ultime_pubblicazioni/pubblicazioni2021/410-Mittiga.htm
giovedì 11 febbraio 2021
Famiglia allargata [di Emmanuel Gillibert -2018]
HANNO DIRITTO ALL'IMPERO
I POPOLI FECONDI QUELLI
CHE HANNO L'OGOGLIO E LA
VOLONTA' DI PROPAGARE LA RAZZA M
UNIONE FASCISTA PER LE FAMIGLIE NUMEROSE
Nucleo di Platì
PLATI’ 27 Luglio 1939
=XVII= Gliozzi Luigi fu Fsco via
Fratelli Sergio 6 Platì
Per comunicazioni
che Vi interessano, Vi invito a presentarvi domenica prossima 30 Luglio, alle
ore 9, nella Sede di questo Nucleo in Piazzo Mercato.
IL
FIDUCIARIO
F Perone
mercoledì 10 febbraio 2021
Wedding Party - Gente comune
05.03.1824 = Flòccari Saverio - Violi Elisabetta di Giuseppe
Saverio nacque l’11 marzo 1797, il 5 marzo del 1824 – giusto 197 anni addietro, cosa potevano pensare i novelli sposi in quel dì felice che non sarebbero stati dimenticati – era un giovane bovaro di ventisette anni, figlio di Rocco che invece era un grado più alto, massaro di bovi, e di Caterina Taliano, la quale non poté conoscere quella felicità essendo venuta a mancare prima. L’abitazione di Saverio e Rocco si trovava nel Vico Vallone. Elisabetta era figlia di Giuseppe, vaticale, e di Teresa Molluso e di casa stavano in Vico San Nicola. Elisabetta, o meglio Bettina era una ragazzina di appena quattordici anni – era nata il 30 luglio del 1810. Al momento della sua venuta in questo universo il paese, più giusto l’Università di Mottaplatì, era sotto lo scettro napoleonico. Al Comune era stata registrata come Agata Carmela mentre al fonte battesimale fu chiamata Maria Elisabetta. Nel 1810 sindaco era Domenico Zappia mentre il giorno del matrimonio era Domenico Oliva e la notifica fu affissa sulla porta della casa comunale il primo di quel mese che, come usanza, era domenica, non ricevendo opposizioni di sorta. A firmare col sindaco furono i due già citati Filippo Tripepi e Pasquale Perri, con loro Francesco e Paolo Iermanò rispettivamente di anni cinquanta il primo e trenta il secondo. In chiesa il matrimonio fu celebrato alla presenza di Domenico Morabito e Don Vincenzo Oliva.
A questo punto, curioso come i gatti, ho dovuto sapere di più su Filippo Tripepi vista la persistenza a volerlo come testimone di nozze.
Filippo nacque l’1 ottobre del
1792 da Francesco e Giulia Pugliese. Come detto di professione era vaticale ed
abitava nella Strada San Pasquale con i genitori ed un fratello minore,
Giuseppe (15.10.1798). In quel tempo il clan Tripepi era uno sparuto gruppo - e
tale restò – proveniente probabilmente da Cirella come attesta una nota di
Ernesto Gliozzi il giovane. Il 13 maggio dell’anno 1825 egli sposò Francesca
Trimboli, anch’essa una ragazzina di quindici anni, era nata il 31 gennaio del
1807, figlia di Nicola ed Anna Sergi. La famiglia Trimboli era domiciliata
nella Strada Pietra d’Angela. Ad unirli in matrimonio fu il dotto Arciprete
Francesco Oliva con accanto Francesco Caruso e Antonio Zappia. In Comune con
loro c’erano Tommaso Morabito cinquantenne pecoraio, Francesco Zappia bracciale
di trentadue anni, Domenico Dimarco di anni tretatre e … come in un canone di Johann Pachelbel, Pasquale Perri.
Il celebre Canone contenuto nella pellicola di riferimento è dedicato a tutto il cast completo di oggi e agli sposi in foto, coniugi Ciampa, che aprono la pubblicazione, soprattutto alla Signora Anna Cusenza, che mi ha sempre accolto in casa come un figlio, da poco venuta meno.
martedì 9 febbraio 2021
Lo sguardo di Ulisse - Se questa non ha mai sorriso
l'ha fatto apposta perché sa
di meritarsi il paradiso
lunedì 8 febbraio 2021
Una gallina nel vento [di Yasujiro Ozu -1948]
BOZZETTO CALABRESELe galline
selvagge dell’AspromonteUno strano
cacciatore in una strana terra – Un carniere pieno e una contadina in pensiero
Sulle balze dell’Aspromonte, forse, c'erano cacciatori anche nell'età
del bronzo. Non cacciatori con l'arco e le frecce, ma col fucile, più o meno
perfetto, più o meno automatico.
E' tale e tanta la nostra abitudine di vederne sempre in giro su quelle
rocce, in mezzo a quelle boscaglie, che nessuno ci leverà dalla testa questa
convinzione. In ogni ora del giorno e della notte, qualcuno di essi cammina,
col freddo o col solleone, col vento o con la neve, il naso in aria a spiare
tra i rami degli olivi o delle querce il volo dei tordi o delle quaglie, o nei momenti di magra,
anche degli scriccioli. Hanno, d'inverno, il viso arrossato dal freddo, le mani
gonfie per i geloni, e i piedi doloranti; ma camminano imperterriti, e passano
sulle creste dei burroni, sempre col naso in aria; sulle spallette dei ponti,
sempre col naso in aria; sul ciglio di stradette insidiosissime, sempre col naso in aria; si
direbbero i... «pedoni dell’apocalisse»!
Uno di costoro è il mio amico Gianni. Egli ha trovato sull'Aspromonte
la sua palestra, e il suo Eden. Ci viene almeno sette volte la settimana, dopo
aver coperto col suo macinino il centinaio di chilometri, che
separa il suo paese dal nostro. Cento chilometri all'andata e cento al
ritorno, sempre in macchina; e duecento, trecento... quanti?... sempre a piedi,
col suo pesante «Browning» in ispalla e almeno tre chili di piombo disseminato sul suo corpo in lunghe- cartuccere.
Egli di solito spara tutte le sue cartucce; ma non torna mai a mani
vuote. Se non trova le pernici trova le quaglie; se non trova le quaglie trova
i tordi; e infine se non trova i tordi trova... le gallinelle selvagge!!!
Sicuro, le gallinelle selvagge.
Sono bestie che assomigliano stranamente alle galline domestiche, ma
vivono nei boschi, in libertà.
Mi trovavo un giorno in giro escursionistico su per l'Aspromonte,
quando incontrai Gianni che tornava da una battuta di caccia. Aveva il carniere
stranamente rigonfio.
Lo abbordai elogiandolo per il successo evidente. dalla giornata:
- Buona caccia, eh? Gli gridai da lontano.
- Già - mugugnò sottovoce - mica male…
E così dicendo fece un gesto di commiato.
Mi insospettì il suo strano comportamento, e cercai di trattenerlo un
poco. Pretesi di vedere la preda; ma Gianni si rifiutò energicamente di aprirmi
il carniere.
- Cosa vuoi vedere ... C'è qualche tordo e una ... una … cosa.
- Una che cosa? - mi incaponii.
- Una ... gallinella selvatica ...
Ora però debbo andare, ché sono sulle tracce di una beccaccia.
- E così dicendo, si allontanò, piantandomi in asso.
Non ci feci caso. Ma dopo circa un'ora, mentre scendevo, mi spiegai il
mistero della «gallinella selvatica» del mio amico Gianni.
A un centinaio di metri di distanza da una cascina, una contadina si
sgolava: «Cici, Cici, Cici ...»: «Cici» è il verso con cui le contadine
calabresi chiamano le galline; ma in questo caso, la contadina urlava al vento,
perché nessuna gallina rispondeva al suo verso.
E la verità mi passò in un lampo nella mente. Mi avvicinai. La donna mi
chiese subito se avessi visto la sua gallina: «Era bianca, col collo nero; si
dev'essere allontanata dalla cascina ...».
- Mi spiace, non ho visto niente - risposi. E proseguii il cammino.
Incontrai Gianni verso sera, in paese. Era in procinto di salire sul
macinino per tornarsene a casa. Aveva l'aria soddisfatta.
Mi avvicinai: - Gianni, per favore, mi fai vedere la tua «gallinella
selvatica»? – gli chiesi a bruciapelo.
E altrettanto a bruciapelo mi rispose: No!
Ma dal suo carniere. Che si appoggiava semi aperto sul sedile della
macchina, s'affacciava la povera preda, dal collo nerissimo, e dal corpo bianco
come l'avorio!! ...
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 5 Febbraio 1957
giovedì 4 febbraio 2021
L'impiegato [di Gianni Puccini -1959]
COMUNE DI PLATI’=======Il SindacoVista la Prefettizia N.3/U del 4.6.1945 circa la nomina del Segretario
del Comitato di assistenza alimentare ai bambini gestanti nutrici.ORDINA L’incarico di Segretario del Comitato Comunale di Assistenza all’Impiegato
Sig. Mittiga Michele fu Rocco il quale avrà la competenza che determinerà la
Prefettura per lavoro straordinario e dovrà attenersi alla osservanza delle
disposizioni prefettizie e del comitato. Dato a Platì lì 16
gennaio 1946IL COMMISSARIO PREFETTIZIO(G. Delfino)
In apertura un ritratto artistico dello zio Michele (1893-1962) da giovane attribuibile al fratello Giuseppino. Il documento riportato è di interesse per la rara coabitazione di SINDACO e COMMISSARIO PREFETTIZIO in un'unica figura e se poi la figura risponde al meglio conosciuto massaru Peppi l'interesse triplica. In effetti, e lo sapete, il Massaro resse il Comune per un breve periodo all'indomani della fine del Secondo Conflitto Mondiale.
mercoledì 3 febbraio 2021
10 [di Blake Edwards -1979]
In apertura l'immagine - nessuna immagine, se non quella - con cui debuttavano in sordina queste pagine, il 4 febbraio del 2011. Il lavoro era tutto da impostare, il blogger quasi tutto da sperimentare: foto, citazioni di autori in lettura, la decisione di avere il cinema come punto di riferimento per svolgere in dramma storie e documenti che riguardavano la prima parte della testata, quel Platì, assurto a luogo mitico. La seconda parte, Ciurrame, era solo un pre testo, per definire l’altra metà in cui mi dibattevo allora. Quella metà col tempo è andata dissolvendosi per l’lasciare il campo libero di Platì. La benevolenza di quanti hanno cominciato a seguirmi non è mancata e le visualizzazioni sempre in crescita. Il lavoro ha portato riscoperte e nuove amicizie - last but not least il sen. Giuseppe Beniamino Fimognari - forse anche qualche inimicizia. A poco a poco le entrate quasi tutte italiane lasciavano il posto a quelli che stavano in quell’altrove, in particolare di lingua inglese, in cui si erano trasferiti i platiesi. Grazie a quelle pubblicazioni, il luogo d’origine è stato rivissuto. Se c’è un merito quello è stato il vizio di famiglia a conservare tutto, tutto è stato spolverato e rimesso alla luce del sole, o se preferite, del monitor. Negli ultimi tempi, per finirla con questa autocelebrazione, la collaborazione con Rosalba Perri ha dato un nuovo corso, dove il confronto è diventato un maggior impulso alla ragione del lavoro.
lunedì 1 febbraio 2021
La prova del fuoco [di John Huston - 1951]
Quando passa trionfante il carro falcato della MORTE, i nostri cuori tremano, le nostre fronti s'incurvano.
Lacrime e gemiti accompagnano il rombo del carro funesto che s'invola dietro la soglia misteriosa d’un camposanto dove l’Angelo della Fede conforta i superstiti con la dolce musica della speranza. Perché si piange, perché si geme quando una creatura chiude gli occhi al sole per riaprirli alla luce eterna di DIO?
Si piange e si geme perché la nostre debole natura è così fatta: sgorga irresistibile il sangue da una ferita corporale, sgorgano irrefrenabili le lacrime da una ferita ideale.
Ma, l'anima nostra deve rimanere ferma e serena nella sublime certezza che il trapasso non rappresenti la fine ma solo il principio dell'immortalità.
Signori,
noi siamo qui per onorare un uomo prematuramente scomparso che condusse la sua non lunga esistenza nel sacro tempio della famiglia, lavorando tenacemente amando fedelmente soffrendo crudelmente ma confortato da quella pacata rassegnazione che sorregge i credenti e che deriva dalla profonda convinzione che la vita terrena altro non sia che un periodo di prova per meritarsi una vita migliore e imperitura.
E questa prova, che per tutti è dura, per Francesco Miceli fu durissima.
Due stelle accompagnarono sempre senza mai velarsi i 64 anni del suo terrestre pellegrinaggio: la stella del dolore, la stella del dovere!
Dolore
Quando ancora è bambino, scoppia sul suo capo la folgore della sventura, perché gli occhi di sua madre si chiudono, perché il cuore di sua madre si spegne e il piccolo resta nel buio nel freddo - solo - all' inizio di une strada che sarà un calvario!
Le necessità dell'esistenza costringono il padre e sposare un'altra donna, la carezza della matrigna acuisce nel cuore dell’orfano il tormento della mamma perduta. Perché se ogni altro vuoto può colmarsi, il vuoto che lascia una madre è un abisso che nessuno immensità potrebbe riempire.
Quando e appena adolescente, in una notte di terrore, sopra uno sfondo di tenebre impenetrabili, tra gli urli di una moltitudine impotente, la sua casa arde come una fornace.
Un essere umano è sottratto a quel rogo crepitante.
II povero corpo affumicato e nero vien deposto all'aperto sulla piazza ...
Ma l'aria fresca, ma l’aria pura della notte non trovano più la via …
Il testo pubblicato in apertura è stato concesso gentilmente da Pina Miceli
figlia di Nino e Maria Strangio. Di padre in figlia è attribuito a don Giacomo
Tassoni Oliva, ma ad un’attenta lettura - sebbene dattiloscritto e tronco - equiparandolo
ad altri dello stesso genere e tenore, il testo potrebbe essere legittimamente
ricondotto ad Ernesto Gliozzi il vecchio.
Conviene ricordare ancora una volta, al di là delle attribuzioni
autoriali, la vivacità intellettuale che attraversava il paese in quel periodo
storico che va dai primi del secolo all’inizio del secondo conflitto mondiale.
domenica 31 gennaio 2021
La linea di demarcazione [di Claude Chabrol -1966]
Platì 14 ottobre 1923
Luigi Gliozzi fu Francesco