martedì 12 gennaio 2021
Lo sguardo di Ulisse - Solo nostalgia
lunedì 11 gennaio 2021
Un pazzo [di Alberto Carlo Lolli -1917]
Vedi se puoi persorire a quesso pazzo u ti faci carti i vindita a te e tu u si fai dei figiuoli vedi che qua di sciarriamo cu Do Luigi e cu don Ernesto dicendo che esse vogliono u pigliano posesso vedi che se esso se non face carte non passa un altro mesi u e venduto digli u faci accossì se vuole che esso no si vieni ca se no ta casa mia non guarda più e faccio così u si mentono sopra i gernale non altro ti salutano i bambini tuoi e ti baciano ti saluta Rachele ora ti saluto io e i figliuoli e sono tua aff.ma sorella Domenica Lentini
domenica 10 gennaio 2021
Il giudice e il suo boia [di Maximilian Schell -1975]
E Giuseppe Lentini fu Arcangelo, bracciale domiciliato in Platì, contumace alla prima udienza oggi comparente
L’attore ha conchiuso per la pronta consegna di un cafiso e mezzo d’olio dovutogli o al pagamento del suo importo in lire trenta e per le spese del giudizio.
Il convenuto ha riconosciuto la sua obbligazione quale ... di Ferdinando Miceli e per debito proprio.
Atteso che la confessione giudiziale fa piena prova in giudizio contro il suo ...
Comandiamo a tutti gli uscieri richiesti ed a chieunque spetti di porre in esecuzione la presente sentenza, al Ministero Pubblico di darvi mano, a tutti i Comandanti ed Uffiziali della forza pubblica di concorrervi con essa ed altri ove saranno legalmente richiesti.
ad istanza di Don Francesco Gliozzi, fu Domenico domiciliato in Platì, io Francesco Mittiga usciere presso la Conciliazione di Platì, ove domicilio, ho notificato la soprascritta sentenza e suo contenuto a Giuseppe Lentini fu Arcangelo, bracciale domiciliato ivi, acciò ne avesse piena coscienza e per tutti gli effetti di legge
Nello stesso tempo e col medesimo atto gli ho fatto precetto in nome del Re e della legge di pagare prontamente all’istante la somma di lire venticinque e centesimi cinquanta, oltre le spese liquidate e da liquidarsi, con diffidamento che e lassi cinque giorni si dovrà procedere al pignoramento de’ mobili
Copia della sopradetta sentenza e del presente atto debitamente collazionata e firmata l’ho lasciato nel domicilito di esso Lentini nelle mani di sua moglie
costa l’atto presente centesimi trenta
giovedì 7 gennaio 2021
Sette in bella scrittura [di Vincenzo Leone -1918]
mercoledì 6 gennaio 2021
Lo sguardo di Ulisse - Ricordati
Il brano di oggi è un testo con relativa melodia di Gino Paoli. Il Maestro, al suo solito, l'avvolgeva di fiori orchestrali.
martedì 5 gennaio 2021
Fatti Corsari - Tra Borboni e piemontesi
- Zappia d. Filippo (Mo. 9.5.1860) filius doctoris phisici
d. Dominici (figlio del dottor fisico don Domenico).
Don Filippo era nato il 5 novembre del 1839 e sua madre era Donna Rachele Brancatisano.
Questa famiglia, per merito dell'Istorosofo Papalia, si è già incontrata qui:https://iloveplati.blogspot.com/2019/12/racconti-dalla-tomba-di-freddie.html
- Lentini Rosario (Mo. 20.1.1860) di Francesco, infirmatus hydropico morbo.
- Delfino Mariantonia (Mo. 15.1.1861) da Molochio.
- Lobianco Elisabetta (Mo. 22.11.1861) ruris Joiosae(ell’agro
di Gioiosa).
La signora Elisabetta
Lobianco proveniva da Gioiosa; il 6 febbraio 1855, all’età di diciotto anni partorì, da padre ignoto, un maschietto di nome Rosario, a presentarlo in
municipio fu la levatrice Francesca Porzio. Quando morì aveva appena
ventiquattro anni.
- Procopio Francesco Ant. (Mo.25.2.1861) di Vincenzo. e di
Naimo Elisabetta. Da Bianco, vir Annae Sergi, ruit ex arbore (marito di Anna
Sergi precipitò da un albero).
Procopio Francesco Antonio sposò Sergi Anna di Domenico e Rosa Trimboli il 24 giugno 1842 alla presenza di don Saverio Fera e don Carmelo Zappia. Francesco Antonio aveva ventidue anni ed Anna venti.
- Iermanò Caterina (Mo.19.7.1861) di Dom. uxor di Carbone
Francesco affecta hydropico morbo.
Il sei maggio 1850 in
chiesa, la signora Caterina Iermanò di Domenico ed Elisabetta Treccasi all’età
di anni venti aveva sposato Francesco Carbone di Rosario ed Elisabetta Staltari, che di anni ne aveva ventiquattro. Testimoni erano Giuseppe Strangio e Rosario
Bartone. L’atto in municipio fu firmato da don Raffaele Lentini sindaco.
- Papalia Nicola (Mo.7.8.1861) ruris S. Euphemiae, figlio di
Vincenzo, a latronibus ad hortus loco dicto Sava, spoliatus et occisus fuit
(dell’agro di Santa Eufemia, in località detta Sava fu dai ladroni spogliato e
ucciso).
- Macrì Domenico (M0.28.8.1861) vir di Femia Caterina, ruris
Aneanae (dell’agro di Agnana)
Il signor Domenico
Macrì e la sua sposa signora Femia Caterina provenivano da Agnana (RC). Il giorno
del suo decesso Domenico – ortolano - aveva trenta tre anni.
- Sansalone Giuseppe (Mo.25.9.1861) urbis Rhegii (o di
Gerace?) di Antonio, miles (forse caduto
nel conflitto avvenuto a Platì, tra i Borboni e i soldati piemontesi, mentre
faceva la sentinella sul campanile della chiesa matrice, stando rannicchiato in
una campana, in un momento che si calò giù).
- Carbone Domenico (Mo.25.9.1861) alias cucinata, di Francesco e Staltari Elisabetta (forse fucilato dai soldati piemontesi, in un conflitto avvenuto a Platì
con le forze Borboniche, in località detta "costa d' u sparàtu).
- Cuscunà Michele (Mo.30.3.1861) da Gerace - marito di Violi
Caterina.
Il muratore Michele Cuscunà di Domenico e De Leo Fortunata, sposò Caterina Violi di Giuseppe e Ciampa Elisabetta, in chiesa, il 29 agosto del 1838 presenti Rosario Bartone e Diego Pangallo. Due giorni prima erano davanti a Giosofatto Furore per il rito civile e con loro c’erano il barbiere Domenico Perri, il bovaro Pasquale Treccasi, il macellaio Giuseppe Zappia e il bracciale Rosario Perri. L’atto civile fu firmato solo dal padre dello sposo che sebbene calzolaio in Gerace sapeva leggere e scrivere.
- Taliano Domenico (Mo. 30.5.1861) di Francesco e di
Cicciarello Teresa, ruit ex arbore fagi (ruzzolò da un albero di faggio).
Quando Domenico nacque,
il 16 novembre 1837, il padre aveva venticinque anni mentre la madre di anni ne
aveva quaranta. Al comune Donenico fu presentato il diciotto di novembre.
- Lenza d. Rosa (Mo. 1.4.1863) di d. Amato, ruris Varapodii
(dell’agro di Varapodio), moglie di d. Rosario Zappia.
Lo sposo di donna
Rosa Lenza, don Rosario Zappia era un doctoris
phisici, la loro abitazione era situata nella strada S. Nicola; i due
ebbero tre figli i cui nomi erano abbastanza inusuali in Platì: Clementina -
1.01.1813 - Leopoldo Filippo Amato - 20.08.1821 - Scipione Amato – 14 giugno
1825.
- Zappia d. Pasquale (Mo. 23.6.1863) di Carlo, clericus
lector (chierico lettore).
Don Pasquale di
Carlo, vaticale, e Morabito Giuseppa era
nato il 10 novembre 1844
- Micò d. Carmela (Mo. 26.8.1863) di d. Davide da Casignana e
d. Giuseppa Zappia.
- Empoli d. Gaetana (Mo. 29.9.1863) da S. Stefano, moglie di
d. Michele Oliva.
Quando venne meno
donna Gaetana aveva settantadue anni. Con don Michele Oliva, civile, ebbe in
tutto sette figli. Erano domiciliati nella strada S. Nicola.
- Garreffa Caterina (Mo.9.10.1863) da Cirella, moglie di
Trimboli Nicola.
Quando morì donna Caterina aveva quaranta anni e con Nicola Trimboli alias pejaru ebbe quattro figli.
^.^.^.^.^.^.^.
Notizie riportate nel V° vol. dei Libri dei morti a firma
del parroco Filippo Oliva. In corsivo note di Ernesto Gliozzi il giovane, le
stesse rimandano al libro di Michele Papalia Caci il brigante, 2016 – 2020. In grassetto , dove possibile, atti ripresi
dai registri comunali.
Con la pubblicazione odierna terminano i fatti corsari estratti da Ernesto Gliozzi il giovane dai Libri dei morti della parrocchia S. S. Mariae Lauretanae di Platì
domenica 3 gennaio 2021
La storia dei tredici [di Carmine Gallone -1917]
Platì, 3 aprile
(M. F.) - In questa settimana, nel nostro centro si è registrata la più eccezionale somma di giocate al totocalcio.
La cosa è dovuta alla fortuna di alcuni platiesi che nella settimana scorsa hanno vinto un “tredici” e due “dodici” con un unico sistema. Una folla immensa di persone è sostata a lungo davanti alla locale ricevitoria, nel pomeriggio di domenica nella vana speranza che la dea bendata volesse sostare ancora una volta nel nostro centro.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 4 aprile 1957
Platì, 19 aprile
(M. F.) - In questa settimana la fortuna ha favorito molti nostri concittadini facendo loro realizzare un tredici e diversi dodici; il tredici è stato realizzato da alcuni “sistemisti”. Uno dei dodici è stato realizzato dai numerosissimi giocatori di un unico “sistema”, i quali hanno in tal modo intascato la considerevole somma di lire... centododici ciascuno!
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 20 aprile 1957
L’unica ricevitoria che ricordo è quella di papà, nel bar - nella foto d'apertura il suo ingresso - sito la via XXIV maggio, ed il corso Umberto. I suoi attrezzi erano un righello di latta per dividere la schedina in due parti di cui la prima, detta figlia, rimaneva al giocatore. Usava anche una spugna bagnata d’acqua per inumidire le dita ma anche per bagnare il bollo, come le sigarette e gli alcolici era un prodotto del Monopolio dello Stato, apposto nella parte superiore della schedina che attestava il gioco. Il maggior numero di schedine venivano giocate nel pomeriggio di sabato e se non ricordo male la domenica mattina fino a mezzogiorno.
martedì 29 dicembre 2020
Speriamo bene [di Camillo Mastro5 -1945]
Poesia
IL CIANCIO PLATI' Anno I N. 1 ottobre-dicembre 1980
lunedì 28 dicembre 2020
La educación prohibida [di German Doin - 2012]
Se stai cercando risultati diversi, non fare sempre la stessa cosa. Albert Einstein
Il nostro problema nel comprendere la scuola dell'obbligo nasce da un fatto inopportuno: il danno che fa da una prospettiva umana, è una risorsa dal punto di vista del sistema. John Taylor Gatto
Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e
ricrearle. Paulo Freire
Pasqualino Perri continua e continuerà ad essere misconosciuto dalla comunità in cui è nato, dalla regione che ha amato e dalla stessa Scuola per cui ha vissuto. E l’orizzonte non è roseo né per la Scuola dell’obbligo, né per gli insegnanti, nè per gli allievi, dalle primarie alla scuola secondaria di secondo grado.
martedì 22 dicembre 2020
The Grandmother [di David Lynch -1970] a short story in streaming
Le verità contenute in Nonna Peppina sono due: quella relativa al paese di Palì (Platì) e quella che riguarda personalmente Palì (Pasqualino Perri). Pino Perri
Era
sabato e in casa c’era aria di festa: sveglia antelucana, odori di sapone,
talco, ferro da stiro, e lucido di scarpe; seguivano al via vai, il «fai presto
che debbo entrare io», lo «sbrigati altrimenti fai tardi», il «dove sono le mie
scarpe».
Palì
era triste perché quella festa non gli apparteneva. Il giorno prima aveva
pianto perché gli era stato detto che non poteva partecipare alla sfilata. –
Solo i grandi! Tu sei troppo piccolo; quando sarai figlio della lupa…
Sulla
piazza, gli altoparlanti gracchiavano già inni e canti. Cata, Giusa, Rosi,
vestiti di bianco e nero, erano sulla strada quando arrivò nonna Peppina.
Le
andò incontro:
- Nonna, voglio stare con te!
Con il suo viso sempre sorridente, lo
prese in braccio: - Andiamo sulla terrazza. La sfilata stava per cominciare:
bandiere nere, tamburi, gagliardetti, cappelli luccicanti, fucili, baionette.
- Sembrano i morti della notte del
primo venerdì di novembre, solo che i beati morti sono più seri dei vivi!
Quella frase lo incuriosì a tal punto
che subito le chiese il significato. Non rispose, come del resto era il suo
solito. Ritornò alla carica. Solo dopo una settimana soddisfece la sua
curiosità:
- Il primo venerdì di ogni novembre, a
mezzanotte, tutti i morti del nostro cimitero escono in processione per il
paese e, alle due, dopo aver percorso tutte le strade s’incontrano al centro
della piazza, formano una gran croce per poi scomparire. Ognuno può affacciarsi
alla propria finestra e rivedere, per qualche minuto, i suoi cari. È così che
rivedo, ogni anno, mio marito, mio figlio, i miei genitori e tutti coloro che
ora sono nel regno verità. Non si può parlare con loro perché non vedono e non
sentono. Qualche lacrima scorreva sui solchi del suo viso.
- Perché non mi fai vedere nonno e zio?
Io di loro non ho paura.
Questa volta gli rispose senza
esitazione:
- Solo i vecchi possono vederli, i
bambini e i giovani, anche se si affacciano al balcone, non possono vederli;
quando sarai vecchio li vedrai.
In quel momento Palì avrebbe dato
chissà che cosa per diventare vecchio.
Lei continuò:
- L’incontro con i morti mi dà la
possibilità di ricordare tutto il mio passato è farlo rivivere in me come
presente.
Non capiva il significato di
quest’ultima frase e le chiedeva spiegazioni, ma lei:
- Quando sarai vecchio, capirai,
capirai, capirai! Ora pensa ad andare a “maistra” da donna Bice.
Fu così che Palì venne a sapere che,
dopo tante raccomandazioni di persone importanti (parroco, levatrice, medico e
sacrestano), donna Bice lo accettava tra i suoi discepoli.
Donna Bice “teneva” l’unico “asilo” del
paese, frequentato dai figli delle famiglie che contavano. Andare da donna Bice
era privilegio di pochi e, perciò, prestigio sociale.
Il suo metodo era semplice: la calza,
per maschi e femmine, fiabe e favole popolari, preghiere, catechismo; dentro
una stanzetta, quattro per quattro, circa trenta bambini.
L’aria,
in estate e in inverno, “profumava” di odori umani, di olio d’oliva, aglio e
cipolla, pecorino, frittata, soppressata. I cestini, con le loro forme e i loro
contenuti “graduavano” la realtà sociale dei frequentanti. I più “ordinati”
venivano sempre additati come esempio e, diventavano, di conseguenza,
antipatici agli altri.
Chi non andava a “maistra” da donna
Bice trascorreva le sue giornate, d’estate e d’inverno, nelle strade e le
“rughe” pullulavano di piedi scalzi e di piccoli visi neri o bianchi, a seconda
della zona del paese.
All’ “Ariella”, la parte alta
aggrappata alla roccia che difende il paese dall’impeto del torrente, tutti
biondi e con occhi celesti; nella parte bassa, “la Figureja”, bruni, levantini,
con marcati tratti greci, arabi, albanesi, saraceni.
Due mondi distinti. Due realtà storiche
che testimoniano le vicende umane di un passato/presente costrette a vivere la
storia sempre come oggetto.
I loro giochi preferiti: birilli,
trottola, cerchio, quattro cantoni, fionda e… la guerra continua tra le due
zone. Guai a chi si permetteva di oltrepassare i confini.
Spesso i “capi” organizzavano progetti
d’invasione dopo profondi studi. Ogni tentativo diventava una vera e propria
guerra. Dalla guerra-gioco a quella sociale: i matrimoni tra le due zone erano
una rarità che veniva additata come qualcosa di profano, come scandalo davanti
agli uomini e davanti a Dio.
La Pasqua, quell’anno, cadeva l’ultimo
giorno di marzo.
Nonna Peppina lo portò a visitare i
Santi-Sepolcri, alla processione del Venerdì Santo e al Calvario: quel monte
alto come un gigante, che nasconde il paese alla vista dei forestieri e chiude
gli orizzonti marini ai suoi abitanti. Destava sempre un senso di mistero:
d’inverno, le tre grandi croci si piegavano al vento, d’estate, si stampavano
sul cielo azzurro.
Palì, finalmente, andava al Calvario e
non avvertiva la fatica, perché non solo era la sua prima giornata trascorsa
interamente con la nonna, ma aveva conosciuto, tutto il paese.
- Sei stanco? Disse nonna Peppina. – Ti
prendo in braccio. – No! – Sei contento? Ti piace la processione al Calvario?
Quando arriveremo in cima potrai vedere il paese dall’alto e saprai perché i
briganti l’hanno costruito in questa valle. Per noi di Panduri il vostro paese
è la terra dei briganti, maledetta da un vescovo.
- Dov’è Panduri?
- Al di là del Calvario. Da Panduri si
vede il punto dove si uniscono il cielo e il mare. Qualche giorno ti porterò
con me e da casa mia potrai guardare lontano lontano e vedere tutti i paesi
della marina. Quando sarai grande, anche tu prenderai la corriera: uscirai da
questa valle maledetta e conoscerai tanti posti belli e tante città. Ma prima
devi imparare a leggere e a scrivere, perché tutti quelli che sanno leggere e
scrivere possono andare in giro senza la paura di perdersi; in settimana andrai
da donna Bice, dopo, a scuola, andrai a Roma.
Il sole, il cielo, gli alberi, le
rondini, i giochi dei bambini, il fruscio della pialla, il tintinnio del
martello sull’incudine, il canto romantico del barbiere, l’odore degli
eucalipti e delle acacie, i passi svelti delle donne vestite di nero, il
campanello delle mandrie di pecore e di capre, l’odore del pesce stocco, il
dondolio dei carri, i richiami delle mamme, gli sguardi diffidenti dei vecchi,
il ritmo dei telai, i panni stesi ai balconi come bandiera, la lenta melodia
dell’armonica a bocca del vecchio garibaldino cieco, le bestemmie di Rocco il
calzolaio, il parlare ieratico dei vecchi massari, il rumore della fiumara.
Mattina d’aprile.
Fu sua sorella Cata che ebbe l’onore,
quella mattina, di accompagnarlo, dopo che suo padre lo passò in rassegna dalla
testa ai piedi, facendogli le ultime raccomandazioni.
Palì
si sentiva al centro dell’universo ed era felice non perché, finalmente, poteva
uscire di casa ogni giorno o perché poteva vantarsi, con gli altri, di “andare”
da donna Bice.
Avvertiva, forse, dentro di sé, che
iniziava a percorrere il lungo viale che lo avrebbe portato alla vecchiaia, al
tempo in cui avrebbe potuto vedere, il primo venerdì di novembre, a mezzanotte,
la processione dei morti.
La foto è del giorno della sua partenza per gli Stati Uniti scattata all'aeroporto. Con lei sono la prima figlia, Rosa, e l'ultima, Caterina (Cata).
For Christmas day