Il mio paese
a cura di Trimboli Maurizio 5a B
Il paese dove sono nato e dove
abito si chiama Platì.
I suoi abitanti sono circa 4.000
e diminuiscono continuamente a causa dell’emigrazione.
Molti abitanti si trasferiscono
con le famiglie a Milano e Torino; altri in America e in Australia, dove
possono trovare un posto sicuro di lavoro.
A Platì non ci sono industrie e
gli abitanti si dedicano alla pastorizia ed all’agricoltura. Altri cittadini
esercitano svariati mestieri: muratore, falegname, meccanico, barbiere,
calzolaio, negoziante.
I principali prodotti della terra
sono: ulive, castagne, fichi, fichi d’india, mele, pere e agrumi.
A Platì c’è la chiesa Matrice e
quella del Rosario. Ci sono le scuole materne, elementari e medie.
Un tempo i Platiesi si spostavano
a piedi o con l’asino; oggi vanno in macchina o con i pullman
Si racconta che Platì sia stato
fondato dai ladroni.
Questi, dopo aver rubato l’oro di
una chiesa di Reggio Calabria, si sono rifugiati in questa valle ai piedi
dell’Aspromonte con tutto l’oro rubato.
Qui hanno costruito il paese.
Antichi
costumi dei Platiesi
Una volta le donne indossavano
una gonna arricciata alla vita e lunga quasi fino ai piedi ( la saia ) e una
camicetta chiamata Cuppuni, quasi tutte andavano scalze.
I “ massari “ portavano pantaloni stretti fino alle ginocchia,
calzettoni di lana nera che coprivano le gambe; ai piedi portavano una specie
di sandali fatti con un pezzo di gomma e alcune strisce di cuoio ( calandreii).
( Da ricerche ambientali degli alunni di 4a classe)
LA NONNA
RACCONTA
Una volta, racconta mia nonna, la vita in paese era più bella.
La gente era più buona, c’era più amicizia, più affetto e amore per il
prossimo anche se c’era tanta miseria.
Nelle serate d’inverno la famiglia si riuniva intorno al focolare dove
si narravano antiche leggende.
Nelle giornate fredde e piovose, i ragazzi andavano scalzi e mal
vestiti; molte vecchiette chiedevano l’elemosina e in alcune famiglie mancava
persino il pane.
Eppure allora si viveva più felici di adesso che tanta miseria non c’è.
Campiti Giuliana
Classe Va A
A pizzata
Le nostre mamme ci raccontano che quando erano bambine al posto del
pane mangiavano la “ pizzata “ fatta con farina di granoturco.
La “ pizzata “ aveva una crosta dura, all’interno era morbidissima e
gialla.
Marando Patrizia
Classe Va A
Proverbio
paesano
Cu si arza prestu
Lu mattinu
Busca u piattu
E lu carrinu.