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giovedì 24 settembre 2015

Terra in trance (reg. Glauber Rocha - 1967)


 


Nostrum est ascendere super speculum montis: ma è questo pure il monito desolato di tutta la storia di questa terra così provata.
Che cosa resta più delle famose città che i Greci fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida e intensa, oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi? Faticosamente l’archeologo tra dense macchie e acquitrini disseppellisce fondamenta solitarie di templi, rocchi di colonie, frammenti di terrecotte ... ma non un’anima è tornata a dire il perché di tanta desolazione.
Roma che dovunque è passata ha lasciato tracce grandiose della sua potenza, qui dove, per affrontare i Bruzi e più ancora i Cartaginesi, ha fatto il deserto, è quasi del tutto muta e assente.
Bisanzio, che in queste sue estreme marche occidentali tante volte difese contro ondate di Arabi e di Longobardi, vide affluire dall’Oriente torme di monaci migranti e fiorire una santa tebaide, a null’altro ha legato il suo nome che a qualche umile chiesetta, a qualche lembo d’affresco.
Normanni, Angioini, Aragonesi, stranieri che hanno riempito questa terra, tra clangore d’armi di guerre devastatrici, ed una intensa e rapace vita amministrativa, di tante grandi costruzioni, di tanti imponenti castelli e che hanno scatenato passioni così feroci che ancora oggi leggendo le loro cronache non è possibile non parteggiare per gli uni o per gli altri, qual testimonianza della lor storia ci hanno tramandato in questo giustizierato se non la taciturna solennità delle dirute rocche feudali?
Tutto ciò che altrove forma la vivente tradizione d’una terra, il retaggio d’arte e di bellezza dei padri, la silenziosa educatrice della sensibilità nazionale, qui è stato distrutto se non dalla violenza degli uomini,dalla furia apocalittica degli elementi che con persistenti attacchi hanno di secolo in secolo raso al suolo quanto nelle epoche precedenti s’era salvato. Tutto ciò che non è stato affidato esclusivamente alla vita dello spirito, penetrando nel profondo delle esperienze umane, qui è naufragato nel silenzio e nell’oblio.
Qual meraviglia, se nella perpetua vedovanza del patrimonio che crea alle collettività la poesia dell’esistenza, se davanti a quest’eterno richiamo alla morte, gli spiriti siano andati in cerca delle città del sole per evadere dalla loro città terrena impastata di lacrime e di sangue e che da queste montagne sia sorto il canto più poetico, l’aspettazione più trepida della terza epoca della pace e dell’amore?

Umberto Zanotti Bianco, Aspromonte, 1927




Le foto (mie) ritraggono per chi non lo sa il Capo Zephyrium tra Bruzzano e Africo.

1 commento:

  1. Bellissime foto di un paesaggio lunare. Se sulla luna ci fosse il mare....

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