Che cosa resta più delle famose città che i Greci
fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida e intensa,
oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi? Faticosamente
l’archeologo tra dense macchie e acquitrini disseppellisce fondamenta solitarie
di templi, rocchi di colonie, frammenti di terrecotte ... ma non un’anima è
tornata a dire il perché di tanta desolazione.
Roma che dovunque è passata ha lasciato tracce
grandiose della sua potenza, qui dove, per affrontare i Bruzi e più ancora i
Cartaginesi, ha fatto il deserto, è quasi del tutto muta e assente.
Bisanzio, che in queste sue estreme marche
occidentali tante volte difese contro ondate di Arabi e di Longobardi, vide
affluire dall’Oriente torme di monaci migranti e fiorire una santa tebaide, a
null’altro ha legato il suo nome che a qualche umile chiesetta, a qualche lembo
d’affresco.
Normanni, Angioini, Aragonesi, stranieri che hanno
riempito questa terra, tra clangore d’armi di guerre devastatrici, ed una
intensa e rapace vita amministrativa, di tante grandi costruzioni, di tanti
imponenti castelli e che hanno scatenato passioni così feroci che ancora oggi
leggendo le loro cronache non è possibile non parteggiare per gli uni o per gli
altri, qual testimonianza della lor storia ci hanno tramandato in questo
giustizierato se non la taciturna solennità delle dirute rocche feudali?
Tutto ciò che altrove forma la vivente tradizione
d’una terra, il retaggio d’arte e di bellezza dei padri, la silenziosa
educatrice della sensibilità nazionale, qui è stato distrutto se non dalla
violenza degli uomini,dalla furia apocalittica degli elementi che con persistenti
attacchi hanno di secolo in secolo raso al suolo quanto nelle epoche precedenti
s’era salvato. Tutto ciò che non è stato affidato esclusivamente alla vita
dello spirito, penetrando nel profondo delle esperienze umane, qui è naufragato
nel silenzio e nell’oblio.
Qual meraviglia, se nella perpetua vedovanza del
patrimonio che crea alle collettività la poesia dell’esistenza, se davanti a
quest’eterno richiamo alla morte, gli spiriti siano andati in cerca delle città
del sole per evadere dalla loro città terrena impastata di lacrime e di sangue
e che da queste montagne sia sorto il canto più poetico, l’aspettazione più
trepida della terza epoca della pace e dell’amore?
Le foto (mie) ritraggono per chi non lo sa il Capo Zephyrium tra Bruzzano e Africo.