Quando a Polsi si andava a dorso di mulo
Viaggio a Polsi
con
I superiori del Santuario di Polsi:
Don Antonio Pelle da Antonimina
Don Giosafatto Trimboli da Platì
e con
Francesco Ciccillo Gliozzi
Ernesto Gliozzi, il giovane
Amalia Gliozzi
Pina Miceli
Francesco Duccio Miceli
Mimmo Perri
Riprese
Gliozzi
Miceli
Perri
1971
editing
L. M.
2015
lunedì 2 febbraio 2015
domenica 1 febbraio 2015
Papà ma che cosa hai fatto in guerra? Pt. 12
Dopo la tempesta venne la calma e questa fu appunto
la letterina col bellissimo ritratto che mi avete mandato.
Non finivo più di baciarlo e me lo contendevo con
le sorelline, le quali, con la mamma, lo zio e la zia, erano anche
contentissime.
Ma io vorrei baciare non la carta ma l’originale;
cioè voi, adorato papà, che tanto mi amate e che tanto soffrite lontano da noi.
Vi conforti il pensiero che il nostro cuore è sempre con voi come noi non viviamo che pensando a voi.
Tutti vi abbracciamo e vi mandiamo una infinità di
carezze e di baci. Benedite Rosina, Caterinuzza, Ernestino col
Vostro affmo
Ciccillo
Caro Luigi
Ieri sera ti feci una lettera lunga lunga, come la predica di Giovedì
santo. Quando andavo ad impostarla, incontrai Pasqualino il quale mi disse che
l’Amico intende accettare il contratto e dare vigore al fitto, però vuole la
mia solidanza. Cosa che io accetto. Dimmi perciò che bisogna fare e , se ti
riesce, cerca un giorno di licenza per trovarlo qui, prima che riparta per
Roma.
Oggi ti ho spedito due pacchi di 5 kg per uno e ti prego non risparmiare
nulla per la tua salute.
D. Antonio scrisse e ti ossequia. Ossequi pure dai soliti amici e gli
abbracci di Bettina, Serafina e miei.
Vogliami bene
Tuo
Ernesto
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Papà ma che cosa hai fatto in guerra?
mercoledì 28 gennaio 2015
Pietro il grande (reg. Vladimir M. Petrov - 1937)
Dalle nostre parti le leggende su San Pietro sono fiorite per
via dei Vangeli e degli Atti. Sono esse legate ai culti e alle
tradizioni di un popolo ancorato alla terra da cui tutto aveva origine. Questa
è una delle tante.
La regina delle
magare si crede che fosse stata la madre di S. Pietro. Il popolo crede che S.
Pietro fosse tignoso, e magara la madre di lui. Ed ella disse tra sé: Or perché mio figlio deve essere discepolo,
e maestro cosi potente colui dalla zazzera lunga? Voglio fare una magia a
codesto Cristo. Gliela fece, e la pose sotto la soglia della porta, senza
farne motto al figlio. Ci era un di festivo, e disse a Pietro: Vedi Pietro che stamane voglio invitare il
maestro tuo. S. Pietro fa fare un banchetto, e vi porta il maestro. Ma Cristo
stando per entrare disse a Pietro: Pietro, pigliami a cavalluccio. Pietro
obbedì, e la madre se ne morse il dito. Durante la tavola, ella dunque si alza
e passa la magia nell'architrave. Finito il desinare, Cristo disse a Pietro:
Mettiti a cavalluccio su di me . Pietro obbedì, ma quando furono
soli, Pietro chiese ragione del fatto, Cristo raccontò la cosa come era; e concluse
con dire:
Magaria fatta sia;
Chi la fa, e chi la fa
fare
non vedrà la cera mia.
Vincenzo Padula, Persone di Calabria
Nella foto Pietra
Cappa, legata anch’essa ad una leggenda su San Pietro.
martedì 27 gennaio 2015
Kaos (reg. Paolo e Vittorio Taviani -1984)
In
quest’angolo di Magna Grecia la natura si è manifestata con severa parsimonia:
roccia e acqua! Ma queste rocce e queste acque sono una realtà, sono la materia
di cui è formato l'uomo. Un paesaggio così luminoso, così deciso a rifiutare ogni accessorio,
esige d’essere espresso in forme semplici e coraggiose; ci porta verso la terra, a cui apparteniamo; guarisce
della malattia dell’introspezione e risveglia quella capacità che corriamo il rischio
di perdere nella nostra morbosa malinconia iperborea: la capacità di un sincero disprezzo. Disprezzo per quella teoria-spauracchio
che vorrebbe indurci a trascurare ciò che è terreno e tangibile. Che cosa è una
vita ben vissuta, se non la felice liberazione dal caos primordiale, da quelle comode vaghezze intangibili che si celano intorno a noi,
pronte a coglierci nei momenti di debolezza?
Norman Douglas, Old Calabria, op.cit.
Le foto, per gentile concessione di Francesco di Raimondo, sono una sorpresa. Nella prima riconosco Pasqualino Violi, Duccio e mio fratello Saro, con la lingua di fuori, rebel without a cause. Nella seconda Pina, sorella di Duccio, miei cugini, e Maria, mia sorella, la prima alla vostra destra, seduta. Le altre e gli altri, volti fissati nel tempo cui poter dare un nome: paesaggio così luminoso, così deciso a rifiutare ogni accessorio che mi riporta verso la terra, a cui apparteniamo.
domenica 25 gennaio 2015
L'assoluzione (reg. Ulu Grosbard - 1981)
Ecco accontentati quanti cercano la storia del paese. E' roba di prima mano. E siccome mi piace, sovrappongo allo zio Ernesto il vecchio (il prete) e a Don Peppe Zappia (il padrone della fortuna) i volti di Robert De Niro. Lo so, è poco.
In morte
Del Sig.r
Giuseppe Zappia
Signori
–
Dinanzi alla bara che racchiude il cadavere di un uomo pratico, sobrio,
equilibrato, nuovissimo – per accarezzare, forse, le orecchie dei puritani
indigeni, dovrei stamattina recitare tutta di un fiato la confessione del
povero Manfredi, dove dice:
“ Orribil furo li peccati miei “
Se non che, visto e considerato che una buona confessione, un
ravvedimento, un pentimento sincero – anche in punto di morte – valgano a
cancellare qualunque macchia, a rendere pura qualunque anima – mi affretto a
completare la terzina dantesca che conchiude:
“ Ma la bontà divina ha si gran braccio
Che
accoglie ciò che si rivolge a lei “
Spero che come me, abbiate visto anche voi ravveduto e contrito
quell’uomo forte che dinanzi alla maestà della religione, al supremo mistero
della morte, piegava riverente la fronte e pregava!
L’avete veduto ? – Vi basta?
Ora, più che un sentimento di pietà cristiana, più che un generoso
perdono (che dopotutto non si nega ai
morti ) più ch la magnanimità vostra, io voglio da voi il vostro rispetto, la
vostra ammirazione, la vostra lode per colui che fu Don Peppe Zappia, al
secolo, oggi un’anima pietosa che passa. Oh la livellatrice di tutte le
disuguaglianze sociali, la Morte!
Intanto rivediamo un po’ la vita di quest’uomo e se non dite che ha
fatto male a moltiplicare i suoi talenti – come quel servo dell’evangelo – io
cercherò di mettere sotto terra il solo talento che abbia, unicamente per
piacere a voi.
Fu un uomo d’azione.
Mentre i suoi coetanei marcivano beati, in questa valle amena e non
spingevano la vista neppure alla marina … non curando d’uno sguardo tutto quel
chiasso che faceva il vapore, quando passava ansimando per la prima volta …
Egli facendo il commercio del bozzolo in tutta la provincia ed anche fuori,
ritornava ogni anno carico di denari, destando la gelosia e l’invidia di non
pochi. Un uomo che si trova nei traffici
– massime se i primi successi
l’incalzano – non si arresta così facilmente, ma viene assorbito, trascinato
direi dalla corrente e vuole, ardentemente vuole arricchirsi.
S’arricchì coi fatti, lascia un patrimonio di parecchi milioni.
Peccato che questa sete dell’oro non si estingue mai e divora
perennemente le viscere!
Non solo dunque il commercio del bozzolo, ma in ogni ramo
dell’industria consacrò le sue virili energie. Il suo occhio esperto di
conoscitore di uomini e di cose, il suo parlare franco, sincero, da padrone, la
sua liberalità e generosità a tempo opportuno, gli valsero tanto che giunse e
ottenne un premio, “ ch’era follia sperar “
Quando neghittosi, innamorati dal dolce far niente, stanchi dal
fantasticare. O dal lavorare a balzi, a strappi, a furia, senza perseveranza,
si accorsero dell’altezza vertiginosa su cui era salito quell’uomo nuovo, pur
non avendo ciondoli e blasoni, affilate le armi della loro malvagità, con gioia
beffarda si diedero a rinvangare la sua vita passata e rimproverargli il suo
essere primitivo! Ma Giuseppe Zappia più che offendersi, menava vanto della
propria origine, perché di là misurava il cammino che aveva fatto e non era
poco!
O se di perdere il tempo catoneggiando, volessero i nostri uomini
lavorare di più e muoversi, quante ricchezze non apparterrebbero in questo
paesello querulo … di quante risorse, non sarebbe esso capace! Perché, alla
fine, se procurate a voi ed ai vostri un benessere materiale e morale, non è
detto che gli altri non ne possano indirettamente godere.
Ci sono di quelli che per compatire la propria ignavia, mettono in
campo la fortuna. Noi rispondiamo: “ La fortuna esiste, ma non si fa vedere,
non si lascia cogliere se non da coloro che hanno acquistato il diritto a
vederla e a coglierla”.
Giuseppe Zappia era padrone della fortuna.
Egli col viaggiare continuo, aveva imparato tante cose, aveva perduto
tanti preconcetti, tanti pregiudizi, si era spogliato di tante malfondate
avversioni, di tante irragionevoli antipatie, ed aveva appreso a giudicar
meglio le condizioni del nostro paese e a far giusta stima degli ostacoli che
si frappongono al nostro avanzamento ed agli espedienti per superarli.
Non mi dite che la sua assunzione al sindacato sarebbe stata per noi
una calamità.
Fu è vero retrivo a questa ambizioncella meschina. Ma se avesse dato
alla barca tutto il vigore delle sue braccia robuste, se avesse voluto guidare
il timone … non l’avremmo veduto, anni fa, sconquassata ed infranta sulla riva,
come uno straccio.
Queste sono le considerazioni che faccio dinanzi a questa bara per
ottenere da voi l’assentimento alla lode, alla stima, all’ammirazione per
quest’uomo che s’estingue “ segno di immensa invidia e di pietà profonda”.
Non ve lo presento dunque quale un santo, come vedete. Ebbe peccati ma
ebbe anche modo e tempo per espiarli.
Ma chi siete voi, chi son io, che sotto gli occhi del Mite Nazareno,
osiamo parlare in questo modo acerbo, presente un’anima contrita, implorante il
perdono?
Farisei, forse? – Chi sa!
Ricordate?
Irruppe attorno al Maestro un
giorno una turba fremente di punizione. Una povera donna tremava per
l’imminente castigo. L’adultera! Una nube, densa di pietà per gli accusatori e
l’accusata passa sulla fronte del Divino Rabbi. Scrive per terra. Indi si volta
e dice: “ Chi non ha peccati scagli la prima pietra “. Si dileguano gli
accusatori ad uno ad uno. Quando si vide solo e s’udivano ancora i palpiti di
quella donna misera “ Dove sono, le dice, coloro che ti accusavano? Nessuno? –
Va in pace! “
E così dico a voi, anime pie: Possiamo fare entrare sotto le arcate di
questo tempio l’anima di Giuseppe Zappia? Non l’accusate nessuno? Siete venuti,
è vero, per sentimento di ammirazione, per debito di gratitudine verso
l’estinto o vivi? E’ perciò che non vi dileguate?
Anima di Giuseppe Zappia va in pace.
“ Suvvenite sancti Dei, intercedete angeli Domini, suscipientes eam in
cospecta Altissimo “
Platì Novembre 1920
Sac. Ernesto Gliozzi sen.
Eppure ... don Peppe ... Tutto si trasformava in mitologia sotto la penna dello zio. Oggi la mitologia è stata barattata con lo sperpero della personalità. pax Domini sit semper vobiscum, per citare il Robert De Niro del titolo.
mercoledì 21 gennaio 2015
Il grande truffatore (reg. Georg Marischka 1960)
Il Sor Mercurio
Ha testa calva e questo saria niente
se dentro avesse u’oncia di cervello;
bocca tutta menzogne e senza dente,
lupo rapace, si camuffa agnello.
Visse e vive alle spalle della gente
truffando co sua brogli or
questo or quello
e seco porta sin da adolescente
di reati e condanne il gran fardello.
Millantator di gesta portentose
nell’agone del foro, à infatuito
i gonzi e le tughine scrupolose
che tosto lo impastarono Avvocato!!!
di legge fece scempio e figlio spurio
dal foro or è chiamato il Sor Mercurio!!!
Luigi Gliozzi
Il nonno con l'avvocato Mercurio ( Alberto Emanuele Orazio fu Costantino) aveva, come si suol dire, il dente avvelenato, in una guerra che li vide opposti per anni, come quella di Troia. Qui Elena non c'entrava!
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Once upon a time in Platì
martedì 20 gennaio 2015
lunedì 19 gennaio 2015
domenica 18 gennaio 2015
Ricorda il mio nome
G l i Alias (i soprannomi) di P l
a t ì
Libro dei
Battezzati- vol.XVII°
-Catanzariti Elisabetta(6.1.1935/14-3)di Domenico giarruni e
Perre Anna di Rocco.
-Trimboli Serafina(13.1.1935/14-5)di Giuseppe vajaneja e
Perre Elisabetta di Antonio ciuciu.
-Barbaro Santa(21.1.1935/15-7)di Rocco zumpanu e Cutrì Anna
di Antonio.
-Stalteri Pasquale(20.1.1935/15-8)di Domen. e Sergi Caterina
di Domen.tri.
-Marando Giuseppa(26.1.1935/16-9)di Domenico Antonio e
Catanzariti Elisabetta di Giuseppe guerra.
-Trimboli Giuseppe(3.2.1935/16-10)di Antonio piseja e Perre
Caterina di Giuseppe santallino.
-Trimboli Caterina(9.2.1935/17-13)di Antonio foca e Barbaro
Filom.di Pasq.
-Marando M. Grazia(10.2.1935/17-14)di Vincenzo pajuni e
Pangallo Elisab. di Giuseppe zoru.
-Lentini Domenica(10.2.1935/18-15)di Dom. stràscinapèdi e
Frisina Anna.
-Catanzariti Sebastiano(28.2.1935/19-19)di Dom. giarruni e
Papalia Orsola.
-Grillo Giuseppe(3.3.1935/18-20)di Rocco e Romeo Rosa di
Dom. roseja.
-Sergi Domenico(7.3.1935/20-21)di Pasquale tiriji e trimboli
Nicolina di Francesco furna
-Catanzariti Giuseppe(10.3.1935/20-23)di Francesco
'mpastagrìa e Oliva Giuseppa di Francesco trinca.
-Ielasi Pasquale(14.3.1935/21-24)di Rosario carvuneju e
Catanzariti Caterina di Saverio.
-Trimboli Rosa(17.3.1935/21-25)di Domenico vajana e Pelle
Mariantonia.
-Trimboli Antonio(17.3.1935/22-27)di Franc.maluni e
Callipari Conc.di Vinc.
-Murabito Caterina(24.3.1935/22-29)di Giuseppe mastrudatta.e
Calabria Maria
Senza esagerare, questa è materia che le Soprintendenze dei vari Beni, i Musei e gli Archivi Storici,come dicono i buddaci,schifiano.
E ancora una volta lode e grazie allo zio Ernesto il giovane per il suo lavoro e la sua pazienza per portarlo avanti.
mercoledì 14 gennaio 2015
Momenti di gloria (reg. Hugh Hudson - 1981)
Lo zio Ernesto “pijjau
missa “ nel 1937, all’età di 22 anni. Cantò la sua prima messa il giorno
dell’Immacolata. Pochi giorni prima, il 5 dicembre, con gran partecipazione di
pubblico era stato consacrato all’ordine nella Chiesa di Platì. Il nonno Luigi per
lui fece le cose in grande, meglio del matrimonio della primogenita. Egli era
il prediletto tra i figli, con lui si realizzavano i sogni e i progetti pensava
di concretizzarli da lì a poco. In parte fu deluso. Quel giorno però era il suo
di fronte al paese. In chiesa era un via vai di sacerdoti, chierici e
chierichetti al servizio di Monsignor Chiappe, nell’omelia il questi definì lo
zio “ colto e intemerato “. In casa
un via vai di cuochi e servitori al servizio del nonno. Gli inviti erano stati
spediti, gli invitati attesi. Capra, polli e galline in sugo e in brodo; pasta
e paste per finire. Finì il giorno, in fine. E bisognava provvedere al futuro
di quel figlio, e dell’altro, lo zio Ciccillo, ancora in attesa della sede
parrocchiale. Il nonno, con la complicità di suo fratello Ernesto, parroco a
Casignana, si diede alle manovre necessarie. Al concorso vinse uno di fuori. E’
storia già passata per queste pagine. Lo zio Ciccillo divenne economo alla
chiesa del Rosario che fu eletta chiesa di famiglia, la mia prediletta, lo zio
Ernesto partì on the road. Professore di tutto, eccetto la matematica, al
seminario di Gerace; professore di religione a Locri; apostolo della fede per
conto dei superiori con anello, pastorale e la mitra in testa, che lo gratificarono
col cappello di canonico; parroco a Samo, Ardore e Careri. Pratico in tutto:
musica, meccanica, architettura, traduceva il greco antico ed il latino senza
bisogno del vocabolario. Discreto nella vita come nel confessionale, passò con
facilità dalla sottana al clergyman, dalla dattilografia ai programmi microsoft, seppure in età avanzata. A
Platì accettò la carica di reggente la parrocchia solo per l’avvenuta scomparsa
di suo fratello Ciccillo, che alla cresia
du riu non arrivò. Erano gli anni
di fuoco che sconquasseranno la vita del paese portandolo all’infame condanna
decretata dalla Nazione e dai media. Senza voler esagerare possiamo affermare
che lo zio in quegli anni è stata l’unica istituzione a cui far riferimento e
dovete immaginarvelo in mezzo a tutti quei riti funebri senza fine, in mezzo al
pianto dei genitori, le grida delle mogli e dei figli. La reggenza dello zio
Ernesto bisogna farla raccontare a Micuzzu
u sacristianu, che non capiva le novità, i cui effetti sono arrivati sino a
oggi e dimenticati.
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