Lo zio Ernesto “pijjau
missa “ nel 1937, all’età di 22 anni. Cantò la sua prima messa il giorno
dell’Immacolata. Pochi giorni prima, il 5 dicembre, con gran partecipazione di
pubblico era stato consacrato all’ordine nella Chiesa di Platì. Il nonno Luigi per
lui fece le cose in grande, meglio del matrimonio della primogenita. Egli era
il prediletto tra i figli, con lui si realizzavano i sogni e i progetti pensava
di concretizzarli da lì a poco. In parte fu deluso. Quel giorno però era il suo
di fronte al paese. In chiesa era un via vai di sacerdoti, chierici e
chierichetti al servizio di Monsignor Chiappe, nell’omelia il questi definì lo
zio “ colto e intemerato “. In casa
un via vai di cuochi e servitori al servizio del nonno. Gli inviti erano stati
spediti, gli invitati attesi. Capra, polli e galline in sugo e in brodo; pasta
e paste per finire. Finì il giorno, in fine. E bisognava provvedere al futuro
di quel figlio, e dell’altro, lo zio Ciccillo, ancora in attesa della sede
parrocchiale. Il nonno, con la complicità di suo fratello Ernesto, parroco a
Casignana, si diede alle manovre necessarie. Al concorso vinse uno di fuori. E’
storia già passata per queste pagine. Lo zio Ciccillo divenne economo alla
chiesa del Rosario che fu eletta chiesa di famiglia, la mia prediletta, lo zio
Ernesto partì on the road. Professore di tutto, eccetto la matematica, al
seminario di Gerace; professore di religione a Locri; apostolo della fede per
conto dei superiori con anello, pastorale e la mitra in testa, che lo gratificarono
col cappello di canonico; parroco a Samo, Ardore e Careri. Pratico in tutto:
musica, meccanica, architettura, traduceva il greco antico ed il latino senza
bisogno del vocabolario. Discreto nella vita come nel confessionale, passò con
facilità dalla sottana al clergyman, dalla dattilografia ai programmi microsoft, seppure in età avanzata. A
Platì accettò la carica di reggente la parrocchia solo per l’avvenuta scomparsa
di suo fratello Ciccillo, che alla cresia
du riu non arrivò. Erano gli anni
di fuoco che sconquasseranno la vita del paese portandolo all’infame condanna
decretata dalla Nazione e dai media. Senza voler esagerare possiamo affermare
che lo zio in quegli anni è stata l’unica istituzione a cui far riferimento e
dovete immaginarvelo in mezzo a tutti quei riti funebri senza fine, in mezzo al
pianto dei genitori, le grida delle mogli e dei figli. La reggenza dello zio
Ernesto bisogna farla raccontare a Micuzzu
u sacristianu, che non capiva le novità, i cui effetti sono arrivati sino a
oggi e dimenticati.
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