She wore a red ribbon
Il 1° maggio passoi* come tanti altri primo maggio.
Anni addietro si partiva per manifestare accanto alla classe operaia, ora che anche questa passoi si parte per invadere montagne, campagne e qualche marina.
Negli anni della mia infanzia a Platì si usava celebrare questa festa.
Platì nella vita quotidiana era due paesi, ancora adesso è così: quello della Chiesa di Maria SS. Di Loreto e quello del Municipio, due entità distinte che non collaborano, se non per gli atti di matrimonio.
In quella mia lucente infanzia il municipio era condotto dal Partito Comunista che aveva per simbolo una spiga: “ spica, spica ta iettammu a ressccia “. Non ho mai capito a cosa si riferisse , ma era un detto che circolava per le strade del paese in bocca ai sostenitori della spiga. La Camera del Lavoro era un po’ la lunga mano dei reggenti il municipio.
Municipio e Camera del Lavoro per la ricorrenza del 1° maggio si sostituivano alla chiesa imitando quella che era la festa della Madonna du ritu o di santu Rroccu.
La banda, i cui musici portavano attorno al collo un fazzoletto rosso – she wore a red gibbon per chiosare John Ford -, faceva il giro del paese alternando nelle sue esecuzioni Brunetta, la mia preferita di sempre, Bella ciao, Andiamo a mietere il grano, L’internazionale, Bandiera rossa. Secondo me Mira il tuo popolo era pure molto appropriata se eseguita bene in forma di marcia, per via della parola popolo compresa nel titolo, se non per il fatto che per quella ricorrenza vi era stato fatto coincidere un improbabile San Giuseppe lavoratore; di certo il motivo sarebbe apparsa blasfemo a quelli della spiga.
Compariva anche qualche bancarella di giocattoli o calia.
A sera dopo una sommaria processione, in testa i rappresentanti la giunta comunale e la Camera del Lavoro, per la via XXIV maggio, con la banda che strombazzava Bandiera rossa ci si recava alla “cresiola” dove sorgeva un palco che ricordo con molto incanto: non era quello tutto colonnine, merletti, luci ed un luccicante lampadario al centro, su cui si esibiva la banda in uniforme di gala, la sera del sabato o della domenica nella ricorrenza della Madonna o di San Rocco e da cui provenivano le note di famose sinfonie o arie d’opera, era molto più modesto ma abbellito con gusto popolare.
L’impalcatura, di forma rettangolare, era di neri tubi innocenti , il piano di tavoloni lunghi quattro metri, provenienti da qualche cantiere portavano tracce ben visibili di cemento e calce. Un semplice addobbo lo rivestiva: alti rami fioriti di oleandro recisi lungo “u drittu filu”. Il rettangolo era illuminato da normalissime lampadine appese alla piattina che portava la corrente per accenderle.
Li sopra all’imbrunire si esibivano i portavoce della Camera del Lavoro e del Partito che venivano dai comitati provinciali reggini. Come in tutti i tempi, solo promesse e buone intenzioni.
In fine per allietare il popolo se non era la banda che saliva per intonate canzoni popolari e tarantelle ci pensava qualche urlatore/urlatrice, anch’essi reggini, con altre promesse e buone intenzioni di tutt’altro genere e contenuto.
Anni prima, nel buio dei miei primi anni, subito dopo i comizi c’era la proiezione cinematografica in piazza mercato. Le immagini, di sicuro film sovietici in rigoroso bianco e nero, come il ricordo, uscivano, incantandomi , da un furgoncino adibito per questo scopo su cui era montato il proiettore. Le immagini andavano a riflettersi sul bianco telone montato sopra la piccola bassa costruzione che recava la scritta mercato. La piazza mercato era gremita unicamente di uomini, i più fortunati erano appoggiati alle inferriate dei balconi che circondavano la piazza e da cui si affacciava qualche rara donna.
Anche quel cinema passoi , e quell’ indimenticabile piccolo mercato.
* passoi è termine in uso nella provincia tirrenica messinese per indicare materia e tempo ormai svaniti irrimediabilmente.