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lunedì 26 settembre 2011

Sbatti il mostro in prima pagina (reg. Marco Bellocchio - 1971)

Messina 1965
Summer days
Li chiamavano Apostolini
Se la pubblicazione risale al 1970, la foto è molto precedente, 1965
Palermitani, catanesi messinesi e reggini i ragazzi. 
Il traghetto, in rotta verso Reggio, era stato battezzato come Aspromonte.
C'era anche da scegliere tra Beach Boys, Beatles, Byds ...
Clint Eastwood su tutti

venerdì 23 settembre 2011

Im abendrot (andando a dormire) - Richard Strauss

zia Serafina Gliozzi - la prima seduta alla vostra destra - 23/09/1877 - 26/06/1963

in prima fila: lo zio Ciccillo, la nonna Lisa, la zia Gemma- all'anagrafe Serafina - e dopo la zia Serafina
in piedi: la zia Amalia con Gianni, la mamma e la nonna Mariuzza

La zia Serafina è molto legata alla famiglia di nonno Rosario: lei abitò la casa in via 24 maggio con il marito Antonio Zappia fin dalla sua edificazione nel 1890, prima che il nonno la comprasse dal nonno Luigi, e lei era l'intestataria del pezzo di Rocca che poi andò in dote alla mamma. La zia rimasta vedova, ancora giovane, si prese cura dell'altro suo fratello Ernesto nelle varie parrocchie in cui veniva assegnato, morto pure il fratello andò ad abitare in casa del nonno Luigi il resto dei suoi giorni. E' stata una bella fortuna nascere in tempo poterla conoscere.


giovedì 22 settembre 2011

Razza padrona (reg. Roland Klick - 1974)


Sfortunatamente non esiste un arbitro imparziale che giudichi i meriti della razza umana, ma per quanto mi riguarda, quando penso ai suoi gas tossici, ai suoi studi sulla guerra battereologica, alla sua cattiveria, alle sue crudeltà e oppressioni, giudico la razza umana, considerata la gemma del creato, qualcosa di molto opaco.
Bertrand Russell

mercoledì 21 settembre 2011

La legge del lungo fucile (reg. Harry Keller - 1958)




Con l'impressione, mia, di annoiarvi, parlando di campagna e di quanto mi accade di osservare dalla mia postazione davanti - quello che buoni amici definiscono - l'eremo, questa volta scriverò di una attività inutile, quanto inutili sono quelli che la praticano, per non dire lucrosa per l'erario. Ma non dovete pensare che stia sempre in ozio e a non portare avanti quelli che sono i lavori di routine e stagionali, le coltivazioni e la  pulizia del terreno, del resto le mie foto parlano per me; anzi vi dirò che quest'anno la coltivazione estiva ha prodotto tanto che alla fine ho dovuto lasciare metà dei prodotti sulle piante... per mancanza di pance adeguate. Le mie galline vedendo un cetriolo o melone mi sputano addosso per quanti ne hanno beccati. Di questo altro malessere, annoiandovi, ne scriverò in un prossimo post. Ora è tempo di caccia e cacciatori.
Il primo cacciatore che ho visto nella mia vita, da bambino, è stato lo zio Ciccillo. Dopo la messa mattutina celebrata alla chiesa del Rosario, passava davanti casa,  fucile a tracolla della tunica, cartucciera e sigaretta tra le dita. Vedendomi mi diceva "nginu, perché lui mi apostrofava nginu per prendermi in giro, chiffai?"  Io, "nenti e tu?" "Non viri vaiacaccia!" Io non capivo  cosa andasse a cacciare, quali besti introvabili e feroci potesse uccidere.
Per dire la verità i fucili li possedeva pure lo zio Pepé, ma lui armato non l'ho visto mai, se non del suo sorriso affabile; anzi, come ho già scritto tempo fà, alle volte il bersaglio era lui, quando tornava dalle sue incursioni esattoriali.
I tempi sono cambiati e i cacciatori lo sono anche.
Oggi davanti vi compare un tizio tutto indivisato, armato e mimetizzato, gli pare a lui.
Percorrono le trazzere di campagna in Panda 4x4, Suzuki o quell'orribile pick up della Nissan, facendo finta di non vedervi, accecati da quei rayban alla Tom Cruise.
Mi chiederete invano cosa caccìano, loro vanno a caccia della noia. Noia della loro vita, delle loro mogli e commari, del lavoro e dei vicini di condominio. Da sparare, se hanno la fortuna, accoppano solo animali fantasma, buste di plastica, alzate da qualche piccola boriella... e i miei gatti, annoiati, loro si, di vedermi sempre tra le loro zampe. Questi nostri cacciatori un animale, come Robert De Niro ne Il Cacciatore di Michael Cimino, negli occhi non l'hanno mai guardato, e neanche gioiscono, come quelli descritti in Guerra e Pace da Sergio Leone Tolstoi.
Alla fine ritornano dalle loro signore; nel paniere, alcune bestiole macchiate di sangue che le signore non vogliono neppure vedere; quindi non resta che metterle nella spazzatura, armarsi di telecomando e puntarlo al tubo catodico.
Nei monti di Platì, Natile, San Luca e Ciminà si praticava e ancora si pratica una caccia molto più arcaica ed ecocompatibile: quella al ghiro. Non è mutato niente nel metodo, senza sparare un colpo, sotto un masso, tenuto sollevato da un tronchetto di ramo, si mette una ghianda, il ghiro vedendola, per afferrarla, corre, e incespicando contro il tronchetto fa cadere il masso: il pranzo è servito. Sugo con spaghetti e ghiro.
Io quella roba ho cercato di farmela piacere, ma non c'è stato verso. Per i mie amici natiloti è un pranzo prelibatissimo. La mamma lo preparava per papà, ma in casa quell'odore ci faceva scappare nauseati, meglio spaghetti affogati in un bel ragù di  capra con una nevicata di ricotta salata.


The Deer Hunter - Original Clip from James Bell on Vimeo.

QUESTO E' CINEMA!

martedì 20 settembre 2011

Fra Diavolo (reg. Roberto Roberti - 1925)

Il figlio del diavolo
Lo chiamavano Caci
Novella
 Egli è un personaggio misterioso. I monelli del paese gli affibbiarono un nome strambo d’un significato tutto proprio che un poliglotta coi fiocchi non ti saprebbe dire a quale lingua appartenesse.
 Lo chiamavano Caci.
 Le mamme si servivano del suo nome per tenere a freno i figliuoli, come ne la Spagna una volta i comprachicos erano lo spauracchio dei bimbi. – Veh ti porto da Caci – dicevano. E i bimbi strillavano, si nascondevano, piangevano i poverini! Ed avevano ragione .
 Sul conto del povero Caci s’era fatto un monte di corbellerie: lo dicevano ateo, scomunicato, Makammetta in persona e non mancavano delle lingue di fuori che lo battezzavano figlio del Diavolo addirittura.
 Io queste cose non le credo.
 Una volta su l’Ave Maria lo videro con una canna in mano prendere la via del fiume: andava a far pesca d’anguille. I maligni non si orizzontarono su questo punto e dissero che andava a contrattare con suo padre il  Diavolo.
 La paura dei bimbi cresceva, Caci vedeva sempre più ingigantirsi il vuoto d’intorno e le donne avevano imparato un’altra: si segnavano quando lo vedevano passare.
 Eppure Caci in fondo in fondo non era malo. Se non andava in chiesa aveva le sue millanta ragioni a non andarvi… Egli una volta era dalla camicia rossa, non aveva imparato a trattare i santi da suoi pari, né si lasciava posare mosca a naso. – Se i santi non mi rispettano – diceva – io non li rispetto.
E un giorno mise alla porta un tale che questuava per la festa di San Rocco, perché il santo non l’aveva liberato d’un ascesso. – Va via, - gli disse – mascalzone, non ti do niente. Il popolino rimase sbigottito da questo fatto aspettando sospeso il castigo del santo.
 Due giorni dopo Caci era agonizzante:
 Le donne gioivano, i monelli passavano fuggendo e lanciando sassi sulla porta dell’ammalato che si dibatteva tra i tentacoli della morte.
 Don Saverio il parroco si decise d’andare.
 Di  fatti una mattina i monello lo videro entrare nella casa dell’ammalato e a bocca aperta rimasero ad aspettarlo per vedere se uscisse sano.
 Don Saverio uscì raggiante di gioia.
 Un momento dopo le campane suonavano a storno, i ragazzi in chiesa si bisticciavano; chi voleva l’ombrello, chi le lanterne per accompagnare il S.S. – Si portava il viatico a Caci.
 Quando la processione arrivò alla porta dell’ammalato tutti s’inginocchiarono; don Saverio entrò accompagnato dai bimbi con le lanterne che ancora tremavano a verga.
 A l’apparire del parroco Caci, con uno sforzo, si rizzò in mezzo al letto, le lacrime gli rigavano il viso: era calmo, sereno, ispirato. - Padre, - disse con voce fiacca, - io non son degno di ricevere nel mio petto il re del cielo. – Figlio – rispose il prete appressandosi – Iddio ama la pecorella smarrita.
 Il figlio del Diavolo diveniva figlio della Grazia.

Sac. Ernesto Gliozzi senior

I due signori della foto non so chi potevano essere, ho solo la foto originale senza indicazioni.
Roberto Roberti era lo pseudonimo di Vincenzo Leone padre di Sergio Leone Tolstoi.
Questo post è dedicato a Francesco Violi di Raimondo.

lunedì 19 settembre 2011

Lascia ch'io pianga - G. F. Handel

Maria Trimboli - nonna Mariuzza
Platì 16/09/1887 - Messina 13/07/1976
alla sua destra suo fratello Antonio emigrato in America e alla sua sinistra papà traslocato a Messina

Per me Trimboli è il più bel cognome di Platì, la nonna come potete vedere era bellissima ed elegante, nonno Rosario in questo fu fortunato perchè quell'eleganza lei non la perdette mai. Questa unione Trimboli/Mittiga unica nel paese, io ebbi la "cruda sorte" di viverla per qualche tempo nella città zanclea, sempre pensando alla nonna e facendo notare a tutti la mia fortuna e il destino, che ebbe una svolta, ma Platì molto più avanti, e ancora con una svolta si ripresentò nella forma delLa Rocca. Ed io oggi gioisco per la nonna e per la mia fortuna.



martedì 13 settembre 2011

Creste of wave - Rory Gallagher


Albert e Antonella
LA ROCCA IN SPAGNA
Antonella è stata la prima seguitrice di questo blog il suo bel logo è il primo.
La foto è stata scattata a Montalbano Elicona dove possiede una bella casetta nel centro medievale,uno scorcio lo potete vedere alle loro spalle nella foto, i suoi genitori la tengono sempre a posto e ne sono innamorati pure loro, tant'è che hanno lasciato quella del Faro per accudire a questa, ma i ricordi rimangono faroti.



venerdì 9 settembre 2011

Ebben ? ne andrò lontana - Alfredo Catalani


zia Rosina   Platì 12/09/1910 - Pescara 16/04/1997
Miss Platì 1941 - XIX dell'ex era del fascio



giovedì 8 settembre 2011

The trip - Donovan


    Un viaggio, di per sé, che giovamento ha mai potuto dare? Non modera i piaceri, non frena le passioni, non reprime l'ira, non fiacca gli indomabili impulsi dell'amore, insomma non libera l'anima da nessun male.
Non rende assennati, non dissipa l'errore, ma ci attrae temporaneamente  con qualche novità come un bambino che ammiri cose sconosciute. Rende, invece, lo spirito, già gravemente infermo, ancora più incostante, e questo agitarsi lo fa diventare più instabile e volubile. E così gli uomini abbandonano con più smania quei posti che avevano tanto smaniosamente cercato, li oltrepassano a volo e se ne vanno più velocemente di quanto erano venuti.
Lucio Anneo Seneca, op. cit