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domenica 3 agosto 2025

Salita al Cielo - True Stories about Amalia Gliozzi (1925/2025) #2

"Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo". 
Charles Dickens, A Tale of Two Cities, 1859




La zia Amalia in realtà si chiamava Maria Amalia. Ecco come andò. Maria Amalia Gliozzi nacque il 7 agosto del 1925, un venerdì. Il nonno Luigi per tempo si fece una bella pensata e convinto che il nascituro probabilmente sarebbe stato l’ultimo della sua progenie, allo stato civile ne aveva registrati già sette, tutti con nomi familiari a lui o alla sua diletta sposa, la nonna Lisa che di cognome andava Mittiga. Rimaneva ancora la mamma di sua mamma,  Maria Amalia. Quest’ultima era figlia di Don Rosario Zappia e Donna Rosa Lenzi, a diciannove anni sposò il trentaseienne Don Giuseppe Fera. Con i cognomi citati siamo nel pieno del settecentesco Catasto Onciario platiese e il Don è d’obbligo. Maria Amalia Gliozzi non ebbe una vita facile e felice. Fin dalla sua adolescenza dovette occuparsi dei genitori, delle sorelle e dei fratelli. Gli anni trascorrevano e le sorelle più grandi andavano spose, una, Serafina, vergine e sposa di Cristo. Costretta single, alla morte del padre dovette occuparsi della madre e dei due fratelli sacerdoti, della casa. In quei tempi, nei paesi dell’entroterra calabrese, governare la casa non voleva dire fare le pulizie, rammendare o cucinare. Bisognava aver continuamente cura dell’olio, del vino e del formaggio, che stavano negli angoli più riposti e freschi della casa. Bisognava fare il sapone con l’olio più vecchio e con i pomodori che arrivavano da Sfalassi in agosto fare la salsa, riempire le bottiglie, metterle a bollire in enormi, affumicati calderoni di rame zincato, che raffreddate bisognava mettere anch’esse in quegli angoli riposti. Prima della Quaresima, a carnevale, c’era il maiale e i suoi derivati: sangue, cardara con frittole e sajimi, pulire e riempire le budella con conseguente stagionatura. Come anticipato, la zia Amalia fu anche al servizio dei due fratelli preti, da giovane quando questi venivano spediti nei paesi della diocesi, da grande quando gli stessi ebbero la cura della Parrocchia. Essi, destinati ad essere gli ultimi parroci nati e vissuti in Platì. Le toccò in sorte anche di doversi occupare dei predicatori quaresimali, e di quelli delle feste: Ritu, San Rocco, Madonna del Rosario, Immacolata, San Nicola, varie ed eventuali. Così, essa diventò la loro sposa e non ebbe facilità e felicità alcuna. Dopo una vita al servizio di tutti lasciò la Terra lontano da quella Casa che la vide nascere e sacrificarsi.

In apertura la zia Amalia in abito tradizionale calabrese e l'agendina dove il nonno Luigi il 7 agosto del 1925 fissò: "ore 7 nacque M. Amalia".




 

1 commento:

  1. Molto bello e scritto bene. Mi ricorda molto i racconti che sentivo da piccolo a casa di mio nonno a Fabrizia. Il rito del maiale, spesso citato da mia mamma,la zia che non si sposava e diventava una specie di suora laica e dedita agli affari di religione ma anche alla carità verso le persone più bisognose del paese.Gli zii preti, che non mancano ed i figli /fratelli morti che si ricordano con silenzio e pudore. R.M.

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