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giovedì 31 marzo 2022

Addio vecchia città [di Edgar Reitz - 1975]

Non è il passato che ci domina, sono le immagini del passato. George Steiner

 BOZZETTO CALABRESE
POTAMIA LA CITTA' FRA I DUE FIUMI
rivive nelle vecchie leggende calabresi
 
Platì, 30 dicembre.
Poco lontano da San Luca, su un’altura, si trovano i pochi ruderi rimasti dell’antica città di Potamia, il luogo e solitario, di tanto in tanto frequentato da qualche pastore che vi porta il gregge.
Potamia derivò il suo strano nome dall’Essere posta tra due fiumi; ma non per questo bisogna confonderla con la Mesopotamia. Questa infelice posizione determinò la sua immatura fine. Immatura, certo, perché stando alle testimonianze degli storici, Potamia ebbe solo dieci secoli di vita: pochini per una città.
Ma in Calabria non bisogna lamentarsi; i paesi calabresi, infatti, sono destinati a fare prima o poi, la medesima fine di Potamia, grazie alle azioni coordinate delle alluvioni e della incuria dei governi. Eppoi, Pandore, l’altra antica città calabrese, non visse soltanto tre secoli e mezzo!
La tecnica che i due fiumi seguirono per levare di mezzo Potamìa fu semplice e tradizionale: scavare lentamente alla base il monte su cui era posata la città; le frane, a poco a poco, ridussero questa un mucchio di pittoresche rovine.
Un tentativo di estremo salvataggio i Potamioti lo fecero, prima di abbandonare le proprie case: cercarono di tirarsele altrove per mezzo di corde; ma le corde erano di lana e si rompevano prima che la casa si muovesse dalla sua posizione.
Questo, naturalmente, lo dice la leggenda. Potamia era una graziosa cittadina, fornita di sindaco e di assessori municipali. Il sindaco era, a detta di tutti, una gran testa; ma neanche gli assessori scherzavano.
Un bel giorno di aprile dell'anno 1543 (ma può darsi che sia stato anche l'anno 1654, o l’anno 1948) il sindaco e gli assessori si riunirono nel palazzo del Comune, per prendere gravi decisioni. Fu una seduta laboriosa; noi lo abbiamo appurato attraverso un nostro conterraneo che aveva il nonno del nonno di suo nonno che esercitava a quei tempi la professione di Testimone Oculare.
Tra gli altri provvedimenti presi, fu in particolare stabilito: di nominare un vice-sindaco che sapesse fare la firma con lo svolazzo, giacché quello in carica riusciva a malapena a disegnare le “o”- col bicchiere.
Di dimezzare lo stipendio allo spazzino comunale, poiché aveva preso moglie ed era pertanto diventato “la metà” di questa.
- Di costringere gli abitanti a trovare amici presso le città vicine, in modo da rinsanguare l’erario (si sapeva anche allora che chi trova un amico trova un tesoro).
- Di sovvenzionare un viaggio del sindaco e degli assessori, che dovevano andare in missione segretissima presso la vicina città di X. E con quest’ultima conclusione, la seduta si sciolse.
Il giorno dopo, il sindaco e gli assessori partirono per la loro missione segretissima;
la popolazione pianse un po' di commozione, e qualcuno fece un breve elogio funebre, giacché, si sa, “partire è un poco morire”.
Ma i nostri eroi, inforcarono fieramente gli scalpitanti ronzini, e si avviarono giù per la vallata.
Sulle montagne c’era un metro e mezzo di neve; ma gli amici si erano premuniti e avevano lasciato a casa i mantelli e i maglioni, dopo aver bene ascoltato le previsioni del tempo, alla radio. Non si venga ad obiettare che a quei tempi radio non ne esistevano; abbiamo detto, infatti che la vicenda si poté svolgere anche nel 1948.
Durante il viaggio, ognuno taceva e badava a battere i denti dal freddo (si intende, che ognuno batteva i propri).
A un tratto, il più piccolo di tutti, Levantino, ruppe il silenzio per chiedere a Donizò, assessore anziano:
- “Comparuccio, mi spiegate un pò le ragioni di questa missione?”
- Non l’avesse mai mai detto; gli rispose un tale coro di zittii, che l’asino, imbizzarrito, per poco non lo scaraventò a terra.
- “Scemo” - gli urlò sottovoce Donizò - “se noi sapessimo le ragioni di questa missione, essa non sarebbe più segreta e potremmo tomarcene a casa. Tu vorresti tomare a casa, dì?”
-  Ma nemmeno per sogno, compare” - si affrettò a chiarire il malcapitato - “se tomo a casa perdo l'indennità di trasferta!
E la comitiva riprese in silenzio il suo cammino.
Dopo alcune ore di marcia, i potamioti sentirono un urlo di dolore, lacerare l’aria: era caduta la sera. Tentarono premurosamente di rialzarla, ma non ci riuscirono e stabilirono di trovare un luogo dove passare la notte.
Per fortuna erano arrivati davanti alla porta della città X.
Qui il sindaco si fece anzitutto un dovere d'informare gli assessori che la missione era troppo segreta, perché si potesse sapere la ragione della sua fine. Levantino tacque pienamente convinto.
Ora bisognava accamparsi per trascorrere la notte; ma dove?
Entrare nella città non si poteva perché la grande porta era stata chiusa; gli assessori si rivolsero al sindaco per avere il suo parere; il sindaco non li deluse. Stabilì infatti, che stare da una parte o dall`altra della porta della città era la medesima cosa; bastava solo immaginare che l'esterno fosse dalla parte opposta.
Gli assessori seguirono il consiglio e, coricatisi ai piedi della porta della città di X, immaginarono che l'interno fosse dalla loro parte, e l'esterno dall’altra.
I nostri assessori, dunque, stavano saporitamente dormendo, quando si accostò a loro un bello spirito che, dopo averli osservati un pò, si divertì a rifare loro i connotati con l’aiuto di un pezzo di carbone. Figurarsi quando, la mattina, i nostri amici si svegliarono!
- “Tu non sembri più tu; devi essere qualche altro”, - disse il sindaco a ciascun assessore. E ognuno di questi a sua volta, fu concorde nell'affermare che il sindaco non doveva essere lui.
Ebbero un bel consultare le rispettive carte d'identità; non ci si raccapezzarono più.
Come fare per sapere se erano ancora loro, o non fossero diventate altre persone?
C’era un solo modo: chiederlo ai Potamioti. E così decisero di fare. Tomarono sui propri passi, finché  arrivarono ad una collina donde si scorgeva il paese e li si misero a urlare con quanto fiato avevano in gola:
- “Oh gente di Potamia!” -
I Potamioti udirono il richiamo e si affacciarono sulla piazzetta del paese:
- “Che volete? Che volete? “  - risposero.
- “Il sindaco e gli assessori sono costà?” - urlarono di rimando i nostri eroi.
- “Gnura no, gnura no! !”
Fu la risposta, (signornò, signornò).
- “Ah, Formaggio! (era il protettore del paese) - Allora siamo noi!” esclamarono rinfrancati il sindaco e gli  assessori; e se ne tomarono a zonzo per il mondo.
Quando la sera cadde di nuovo, si rifugiarono in una caverna per dormire. In questa caverna ebbero la ventura di trovare un sacco; tutti vi infilarono le gambe e si addormentarono beati.
Quando la mattina dopo si svegliarono, in mezzo a tutto quel groviglio di gambe, ognuno stentava a riconoscere le sue; e stava per succedere un parapiglia quando, per fortuna, passò di lì un boscaiolo. Avvicinatosi e saputa la ragione della disputa, si fece da parte e tirò sul sacco una gran bastonata.
- “Ah!” - urlò uno della comitiva. E tirò subito fuori le proprie gambe.
Il boscaiolo continuò a tirare bastonate sul sacco; e, a mano a mano, ognuno ritirava le proprie gambe. A poco a poco con si efficace metodo, fu appianata la controversia. E gli amici ringraziarono di cuore il boscaiolo prima di rimettersi in cammino.
Mentre camminavano, (o, per meglio dire, mentre i poveri ronzini camminavano e loro stavano a cavallo), smarrirono la strada.
I Potamioti non si scoraggiarono. Abbordarono una donna che passava. 
- “Ehi, buona donna, sapete indicarci la strada?”
- “Dove dovete andare?” - chiese di rimando l’interrogata.
- “Dobbiamo andare a Zonzo” - la informò il sindaco. 
La donna si strinse nelle spalle e confesso di non conoscere tale città. La stessa risposta, gli amici, l’ebbero da decine e decine di persone. Infine decisero di trarsi d'impaccio, affidandosi all'esperienza e alla accortezza dei loro ronzini.
Si accomodarono quindi in sella e abbandonarono le briglia. 
I ronzini capirono l'antifona e scattarono come frecce verso le stalle di Potamia; vi arrivarono in men che non si dica, che la fame gli spingeva e li faceva camminare come refoli. Fu così che il sindaco e gli assessori del Comune di Potamia poterono rivedere la loro patria; e se ne allontanarono di nuovo solo quando le frane lo resero necessario. 
Questa è la leggenda che racconta le gesta della gente di Potamia. 
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD - 30 dicembre 1955
e successivamente, PLATI’, rivista di Mimmo Marando, nov. 1996
Le foto in apertura sono una cortesia di Rosa Cusenza che ringrazio.

 

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