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venerdì 1 marzo 2013

Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno (reg. Luciano Salce - 1974)


Quando si è giovani i conti col tempo sono lontani dall’essere passati al vaglio dei fatti.
Il passare degli anni, o meglio, la fortuna, può essere sfortuna, di accumularne porta di conseguenza a considerare il proprio passato e, con arbitrio, quello degli altri.
Ora, io, da giovane, e forse da vecchio senza la complicità del web, non ho mai pensato che avrei avuto l’opportunità di festeggiare i cento anni della mamma, con lei presente, o com’è, col solo ricordo di lei.
Per uno come me che per deformazione, la colpa è esclusivamente del man with no name, ha impostato la sua vita sull’indipendenza, abbondantemente rinfacciatami, e che Michelangelo Antonioni ha sancito opening the doors of the old age, il ricordo della mamma è un lavoro giornaliero e costante, che mai viene meno, da sveglio come nel sonno, specie se si ha una tradizione che proviene da un’educazione cattolica che si vorrebbe rimuovere.
Dalla mamma non ho avuto solo il latte, forse di più mi ha nutrito di Gesù, o meglio “u Signuri”, di Madonna e svariati santi. In questo è stata supportata virtualmente in modo speciale dai suoi familiari, voglio dire dalla nonna Lisa come dallo zio Ciccillo fino alla zia Amalia, -  la famiglia di papà in questo non ha contato per niente – e da un paese senza uguali, Platì.
Ovviamente, per la mamma, non è stato tutto rose e fiori o confessioni e comunioni. Mentre essa entrava nella casa di nonno Rosario, in via XXIV maggio, con papà, c’erano lo zio Peppino, a cui per tutta la vita ha dato amorevole sostegno, e non poteva essere altrimenti, dati i numerosi esempi accolti in cuor suo da fanciulla, e le donne che uscivano e andavano spose lontano dal paese, lasciandola al governo, si fa per dire, essendo presente nonna Mariuzza, dapprima di una parte di casa poi di tutta; infine l’arrivo di Saro, Lisa, pochi istanti, Maria, Gino e Gianni.
Ma io devo frenare queste onde di ricordi che si accavallano in me in un assurdo disordine, come se tutta l’esistenza si fosse svolta in un solo istante.* Mi fermo anche per evitare il panegirico, prima dell’abbandono costante ed inesorabile del paese verso le marine e la conseguente frattura col passato, in alcuni casi col suo rifiuto, della famiglia Mittiga - Gliozzi – Mittiga.
Non avrei potuto chiedere niente di meglio a tutto questo, per cui la mia gratitudine alla mamma e al paese è infinitamente immensa.

*Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi


Gliozzi Caterina Mittiga
 Platì 01/03/1913 -  Messina 11/01/1991

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