Para aprender, compartir y accionar colectivamente.
Con la pubblicazione del racconto inedito Nonna Peppina, termina il tributo per il ventennale della scomparsa di Pasqualino Perri, educatore e scrittore platiese. A convalidare il tributo giunge inaspettata la scoperta di un documentario argentino, La educacion proibita, che molto ha in comune con il suo premiato studio Scuola e Mezzogiorno. Quasi tutte le tesi affrontate da Pasqualino Perri in quel libro rivivono per immagini nel documentario sebbene da una prospettiva ispanoamericana e di cui si riportano alcuni frammenti.
Se stai cercando risultati diversi, non fare sempre la
stessa cosa. Albert Einstein
Il nostro problema nel comprendere la scuola dell'obbligo
nasce da un fatto inopportuno: il danno che fa da una prospettiva umana, è una
risorsa dal punto di vista del sistema. John Taylor Gatto
Non seguire me, segui i bambini. Maria Montessori
Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e
ricrearle. Paulo Freire
Pasqualino
Perri continua e continuerà ad essere misconosciuto dalla comunità in cui è
nato, dalla regione che ha amato e dalla stessa Scuola per cui ha vissuto. E l’orizzonte
non è roseo né per la Scuola dell’obbligo, né per gli insegnanti, nè per gli allievi, dalle primarie alla scuola secondaria di secondo grado.
Le
verità contenute in Nonna Peppina
sono due: quella relativa al paese di Palì (Platì) e quella che riguarda
personalmente Palì (Pasqualino Perri). Pino Perri
NONNA PEPPINA
racconto inedito di Pasqualino Perri
Era
sabato e in casa c’era aria di festa: sveglia antelucana, odori di sapone,
talco, ferro da stiro, e lucido di scarpe; seguivano al via vai, il «fai presto
che debbo entrare io», lo «sbrigati altrimenti fai tardi», il «dove sono le mie
scarpe». Palì
era triste perché quella festa non gli apparteneva. Il giorno prima aveva
pianto perché gli era stato detto che non poteva partecipare alla sfilata. –
Solo i grandi! Tu sei troppo piccolo; quando sarai figlio della lupa… Sulla
piazza, gli altoparlanti gracchiavano già inni e canti. Cata, Giusa, Rosi,
vestiti di bianco e nero, erano sulla strada quando arrivò nonna Peppina. Le
andò incontro: - Nonna, voglio stare con te! Con il suo viso sempre sorridente, lo
prese in braccio: - Andiamo sulla terrazza. La sfilata stava per cominciare:
bandiere nere, tamburi, gagliardetti, cappelli luccicanti, fucili, baionette. - Sembrano i morti della notte del
primo venerdì di novembre, solo che i beati morti sono più seri dei vivi! Quella frase lo incuriosì a tal punto
che subito le chiese il significato. Non rispose, come del resto era il suo
solito. Ritornò alla carica. Solo dopo una settimana soddisfece la sua
curiosità: - Il primo venerdì di ogni novembre, a
mezzanotte, tutti i morti del nostro cimitero escono in processione per il
paese e, alle due, dopo aver percorso tutte le strade s’incontrano al centro
della piazza, formano una gran croce per poi scomparire. Ognuno può affacciarsi
alla propria finestra e rivedere, per qualche minuto, i suoi cari. È così che
rivedo, ogni anno, mio marito, mio figlio, i miei genitori e tutti coloro che
ora sono nel regno verità. Non si può parlare con loro perché non vedono e non
sentono. Qualche lacrima scorreva sui solchi del suo viso. - Perché non mi fai vedere nonno e zio?
Io di loro non ho paura. Questa volta gli rispose senza
esitazione: - Solo i vecchi possono vederli, i
bambini e i giovani, anche se si affacciano al balcone, non possono vederli;
quando sarai vecchio li vedrai. In quel momento Palì avrebbe dato
chissà che cosa per diventare vecchio. Lei continuò: - L’incontro con i morti mi dà la
possibilità di ricordare tutto il mio passato è farlo rivivere in me come
presente. Non capiva il significato di
quest’ultima frase e le chiedeva spiegazioni, ma lei: - Quando sarai vecchio, capirai,
capirai, capirai! Ora pensa ad andare a “maistra” da donna Bice. Fu così che Palì venne a sapere che,
dopo tante raccomandazioni di persone importanti (parroco, levatrice, medico e
sacrestano), donna Bice lo accettava tra i suoi discepoli. Donna Bice “teneva” l’unico “asilo” del
paese, frequentato dai figli delle famiglie che contavano. Andare da donna Bice
era privilegio di pochi e, perciò, prestigio sociale. Il suo metodo era semplice: la calza,
per maschi e femmine, fiabe e favole popolari, preghiere, catechismo; dentro
una stanzetta, quattro per quattro, circa trenta bambini. L’aria,
in estate e in inverno, “profumava” di odori umani, di olio d’oliva, aglio e
cipolla, pecorino, frittata, soppressata. I cestini, con le loro forme e i loro
contenuti “graduavano” la realtà sociale dei frequentanti. I più “ordinati”
venivano sempre additati come esempio e, diventavano, di conseguenza,
antipatici agli altri. Chi non andava a “maistra” da donna
Bice trascorreva le sue giornate, d’estate e d’inverno, nelle strade e le
“rughe” pullulavano di piedi scalzi e di piccoli visi neri o bianchi, a seconda
della zona del paese. All’ “Ariella”, la parte alta
aggrappata alla roccia che difende il paese dall’impeto del torrente, tutti
biondi e con occhi celesti; nella parte bassa, “la Figureja”, bruni, levantini,
con marcati tratti greci, arabi, albanesi, saraceni. Due mondi distinti. Due realtà storiche
che testimoniano le vicende umane di un passato/presente costrette a vivere la
storia sempre come oggetto. I loro giochi preferiti: birilli,
trottola, cerchio, quattro cantoni, fionda e… la guerra continua tra le due
zone. Guai a chi si permetteva di oltrepassare i confini. Spesso i “capi” organizzavano progetti
d’invasione dopo profondi studi. Ogni tentativo diventava una vera e propria
guerra. Dalla guerra-gioco a quella sociale: i matrimoni tra le due zone erano
una rarità che veniva additata come qualcosa di profano, come scandalo davanti
agli uomini e davanti a Dio. La Pasqua, quell’anno, cadeva l’ultimo
giorno di marzo. Nonna Peppina lo portò a visitare i
Santi-Sepolcri, alla processione del Venerdì Santo e al Calvario: quel monte
alto come un gigante, che nasconde il paese alla vista dei forestieri e chiude
gli orizzonti marini ai suoi abitanti. Destava sempre un senso di mistero:
d’inverno, le tre grandi croci si piegavano al vento, d’estate, si stampavano
sul cielo azzurro. Palì, finalmente, andava al Calvario e
non avvertiva la fatica, perché non solo era la sua prima giornata trascorsa
interamente con la nonna, ma aveva conosciuto, tutto il paese. - Sei stanco? Disse nonna Peppina. – Ti
prendo in braccio. – No! – Sei contento? Ti piace la processione al Calvario?
Quando arriveremo in cima potrai vedere il paese dall’alto e saprai perché i
briganti l’hanno costruito in questa valle. Per noi di Panduri il vostro paese
è la terra dei briganti, maledetta da un vescovo. - Dov’è Panduri? - Al di là del Calvario. Da Panduri si
vede il punto dove si uniscono il cielo e il mare. Qualche giorno ti porterò
con me e da casa mia potrai guardare lontano lontano e vedere tutti i paesi
della marina. Quando sarai grande, anche tu prenderai la corriera: uscirai da
questa valle maledetta e conoscerai tanti posti belli e tante città. Ma prima
devi imparare a leggere e a scrivere, perché tutti quelli che sanno leggere e
scrivere possono andare in giro senza la paura di perdersi; in settimana andrai
da donna Bice, dopo, a scuola, andrai a Roma. Il sole, il cielo, gli alberi, le
rondini, i giochi dei bambini, il fruscio della pialla, il tintinnio del
martello sull’incudine, il canto romantico del barbiere, l’odore degli
eucalipti e delle acacie, i passi svelti delle donne vestite di nero, il
campanello delle mandrie di pecore e di capre, l’odore del pesce stocco, il
dondolio dei carri, i richiami delle mamme, gli sguardi diffidenti dei vecchi,
il ritmo dei telai, i panni stesi ai balconi come bandiera, la lenta melodia
dell’armonica a bocca del vecchio garibaldino cieco, le bestemmie di Rocco il
calzolaio, il parlare ieratico dei vecchi massari, il rumore della fiumara.
Mattina d’aprile. Fu sua sorella Cata che ebbe l’onore,
quella mattina, di accompagnarlo, dopo che suo padre lo passò in rassegna dalla
testa ai piedi, facendogli le ultime raccomandazioni. Palì
si sentiva al centro dell’universo ed era felice non perché, finalmente, poteva
uscire di casa ogni giorno o perché poteva vantarsi, con gli altri, di “andare”
da donna Bice. Avvertiva, forse, dentro di sé, che
iniziava a percorrere il lungo viale che lo avrebbe portato alla vecchiaia, al
tempo in cui avrebbe potuto vedere, il primo venerdì di novembre, a mezzanotte,
la processione dei morti.
Nota a cura di Rosalba:
Il giorno 31 maggio 1883, Giuseppe Caruso, mugnaio, registrò la nascita della sua seconda figlia, Giuseppa Caruso nata da sua moglie, Maria Strangio, nella loro casa di via Pandore a Careri. I legami di Giuseppe con Platì erano forti: lui vi era cresciuto anche se nato a Sant’Eufemia, a Platì vivevano i suoi genitori Antonino e Caterina Marafioti insieme alle due sorelle. Infatti, Giuseppa fu battezzata a Platì, ma visse a Careri fino al matrimonio con Francesco Miceli il 13 dicembre 1906. Francesco, di Platì, aveva dieci anni più di lei, era vedovo ed aveva un figlio. Francesco era macellaio e abitava in via San Pasquale. Giuseppa, detta Peppina, visse in quella casa fino alla sua morte avvenuta il 16 ottobre del 1977, quando mancavano due mesi al suo 95o compleanno. Dal 1907 al 1929 Peppina generò nove figli: Rosa (1907), Antonino (1909), Maria (1911), Domenico (1914), Cristina (1916), Cristina (1918), Luigi (1921), Pasquale (1924), Caterina (1929). Perse tre dei figli: la prima Cristina di Spagnola, Luigi a seguito delle bruciature causate dalla calce viva in cui era entrato a recuperare un giocattolo, e la seconda Cristina tragicamente scomparsa nel 1970 a seguito di un incidente stradale. Rimase vedova nel 1937. Quasi novantenne viaggiò da sola per andare a trovare la figlia Maria a Massena (NY). Quando morì aveva 24 nipoti e quindici pronipoti.
La foto è del giorno della sua partenza per gli Stati Uniti scattata all'aeroporto. Con lei sono la prima figlia, Rosa, e l'ultima, Caterina (Cata).
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And the bells are ringing out For Christmas day
Shane MacGowan/Jem Finer
In streaming - va di moda - è l'unico modo per trascorrere con voi questo Natale e ve lo offrono Rosalba, Pino e Gino.
E' anche il primo Natale senza il Maestro. In quello che segue chi ha l'orecchio sensibile può scorgervi qualcosa di lui.
Carissimi genitori, Vi auguro tanta felicità e tanta salute. Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per rendermi serena e bella la vita. Prometto di essere più buono, più ubbidiente e più studioso per ricambiare tutte le attenzioni amorevoli che ogni giorno avete per me. Pregherò Gesù Bambino perché benedica la nostra famiglia, il nostro paese e il mondo intero. Con affetto vostro figlio.
Immagini e testo tratti da: IL CIANCIO PLATI' Anno I N. 1 ottobre-dicembre 1980
Onoromi umiliare all’approvazione dell’E.V.Rev.ma l’acclusa deliberazione dell’Assemblea della Confraternita, che fa obblicgo alle sorelle ascritte alla medesima d’intervenire solamente agli accompagnamenti funebri dei Congregati. Bacion con devozione il Sacro Anello e chiedendo la S. benedizione per me e Congregati
Umilissimo
Marando Domenico Priore
Platì lì 12/ 5 1929 VII
Non approvata
Il documento, gentilmente concesso, è custodito presso: Archivio Storico Diocesano “Mons. Vincenzo Nadile” Diocesi di Locri – Gerace ASDLG
Gerace Sup. 5 (Caci) - Con ritardo m’accingo a mandare la mia nota sincera di plauso a quei bravi e volenterosi giovani del Seminario che nell’ ultima serata di carnevale si ebbero delle rappresentazioni teatrali assai gradite. Si rappresentò la prima sera il dramma I due Sergenti e la parte del Valentino -tradotta in dialetto napoletano- fu splendidamente tenuta dal nostro «Scarpetta» Peppino Tedesco. Anche il Vecchio Battezatore dramma eminentemente religioso – riscosse applausi l’ultima sera, massime la finale che fu proprio commoventissima. Ai drammi vennero dietro due farse «Lo stratagemma per pagare i debiti» e «Lo spauracchio della Poana». Prosit ai bravi e intelligenti giovani. Di geniale e di bello in Seminario quest’anno va dovuta somma lode all’Ecc. mo Vescovo ed al Rettore Gratteri il quale -a tuttuomo- si occupa, perché questo sacro recinto fiorisca sempre nel campo de la virtù e de l’ingegno. IL SOLE DEL MEZZOGIORNO Palermo-Anno III-N. 67 Direttore Francesco Parlati Domenica 8 Marzo 1903
Inutile ricordarvi che sotto lo pseudonimo di Caci, per giunta su un foglio palermitano, si celava il seminarista Ernesto Gliozzi il vecchio e il dramma I due sergenti non derivava dal cinematografo, i fratelli Lumiere l'avevano sperimentato da poco, ma da una piece di Auguste Maillard e Théodore Baudouin d'Aubigny. Scandalosa, se non inconcepibile, la presenza di Scarpetta, al secolo Edoardo Scarpetta, don Giovanni dei palcoscenici napoletani e padre - tra i tanti - dei famosi Edoardo, Peppino e Titina De Filippo. E come dice Ghezzi Enrico: buona visione.
28.06.1823 Calabria Domenico
di Francesco - Carbone Anna di Giuseppe
Domenico, bracciale, il giorno
dello sposalizio di anni ne aveva vent’uno e sua madre era Maria Garreffa; Anna
era diciannovenne e sua madre era Caterina Cutrì. Mentre Anna si sposava col
consenso dei due genitori, Mimmo aveva solo quello della madre essendo il padre
defunto. In municipio i due sposi ebbero testimoni di tutto rispetto: Michele
Oliva di Domenico, proprietario di anni quaranta; Don Stefano Oliva, sacerdote
di quaranta tre anni; Giuseppe Gliozzi, civile di anni trenta tre e Michele
Oliva anch’esso civile di anni vent’otto. In chiesa i testimoni furono due: Pasquale
Zappia e Rosario Laria.
27.07.1823 Pipicella d.
Giuseppe di Domenico - Furore d.
Francesca di Fortunato
Don Peppino Pipicella, natilotu
del fu don Domenico e di donna Angela Ietto era di anni vent’otto; donna
Francesca, di Fortunato e di donna Paola Portolesi, era diciottenne. I loro
testimoni nella Casa Comunale furono: il sacerdote don Domenico Trimboli di
anni cinquanta sei, lo spezziale don
Domenico Zappia di anni quaranta sei, i civilì
don Domenico Mittiga di anni trenta sei e don Antonio Oliva di anni trenta. Due
i testimoni in chiesa: don Domenico Zappia e don Rosario Zappia.
24.11.1823 Trimboli Giuseppe
di Nunziato - Staltari Domenica di
Domenico
Peppineiu Trimboli del fu
Nunziato aveva diciassette anni, bovaro di professione, sua madre era Caterina
Mavrelli abitanti in vico Chiesiola; Mimma di Mimmo e di Rosa Primerano di anni
ne aveva sedici e con i suoi abitava nto vajuni. I loro testimoni furono il
calzolaio di anni venti sei Giosofatto Zappia, massaru Filippo Caruso di anni
quaranta, il vaticale Pasquale Giuseppe trimboli di quaranta anni e massaru
Peppinu Sergi di anni trenta sei. In chiesa firmarono Michele Spagnolo e Rocco
Agresta.
La data riportata è quella riportata nei registri della chiesa. In Comune ad officiare fu don Michele Oliva, in chiesa don Stefano … Oliva.
In quell’anno si sposarono anche: il dieci febbraio Cusenza Rosario e Maria Vittoria Treccasi; il quindici aprile Trimboli Giuseppe e Cufari Domenica; il ventiquattro aprile Agresta Giuseppe e Audino Vincenza di Bovalino.
SDG
di seguito l'intro che usavamo con Valerio quando ci divertivamo a fare del cinema a spese dei futuri sposi:
NOTTE
DEL 9 SETTEMBRE 1943: CRUENTA BATTAGLIA SULL’ASPROMONTE
Una piccola croce di pietra bianca a Zillastro
ricorda l’inutile sacrificio di giovani soldati
La
guerra era cessata da 24 ore ma la notizia non era ancora giunta
alle orecchie di
quegli italiani e canadesi che
si svegliarono al grido d’allarme
Platì, 11 marzo Dalla contrada Zillastro, posta su uno dei punti più alti della
cresta dell'Aspromonte, si un si aprono al viandante vedute senza confini: da
un lato si vede la piana sterminata che si accende a sera delle miriadi di luci
dei paesi in essa disseminati; da un altro lato lo sguardo scivola verso la
visione vertiginosa del fondovalle solcato dalle strisce d'argento dei numerosi
torrenti che si versano nel Ciancio. Si discerne lontano la foce le di quest’ultimo nell'azzurro
Jonio, e istintivamente ci si volta a guardare, stupiti, alle nostre spalle, la
striscia azzurro pallida del Tirreno, confondersi con l'orizzonte. Appena
velato dalla foschia, lo Stromboli emerge lontano dalle acque. Quasi come in segno di rispetto alla bellezza ed alla
grandiosità del panorama, in questi luoghi regna il silenzio: un silenzio assoluto,
che neanche il soffio perenne dei venti incrociantisi sui pascoli verdissimi,
riesce a interrompere. Si vede su un lato della strada (la statale 112) l’edificio
dipinto in rosso di una casa cantoniera, ma ci si accorge che solo le mura
esterne di essa sono rimaste in piedi: all’interno non c'è che un cumulo di
calcinacci sepolti tra le ortiche: Casello Zillastro.
Settembre 1943. Arriva a colmare per una sera la desolata
solitudine di contrada Zillastro una compagnia di paracadutisti italiani. Il panorama immenso che si offre da, ogni parte è il balsamo
più gradito alle mille fatiche affrontate fino a quel giorno; gli italiani si
accampano qui per passarvi la notte. Il sonno fa presto a venire, anche
sdraiati sulla terra e senz'altra coperta che il meraviglioso cielo calabrese
brulicante di stelle. All'alba un ufficiale si alza e si allontana
dall’accampamento. Cammina un po' trasognato, guardando l'oriente che
trascolora a poco a poco... Inciampa in un uomo sdraiato per terra e cade. Si
rialza: an- che l'altro si è rialzato e bestemmia... in lingua canadese. Si tratta di una compagnia di soldati canadesi attendati a
qualche centinaio di metri di distanza dall’accampamento italiano: nessuno se
n'era accorto. L’italiano getta l'allarme: tutti si svegliano: i due
eserciti prendono le armi. Per un momento la quiete profonda dell'Aspromonte è
lacerata dal crepitio feroce della battaglia. Infine una cortina di silenzio si posa pietosamente sui
corpi di numerosi giovani italiani e stranieri rimasti inerti tra le erbe
rosseggianti di sangue di contrada Zillastro. E' la mattina del 9 settembre del 1943.
Un episodio come tanti altri, come innumerevoli altri
dell’ultima guerra: ma infinitamente più triste: perché mentre a Zillastro si combatteva, lo stato di guerra era cessato
dal giorno prima. E a Platì, a pochi chilometri di distanza, sul fondo della
valle, la popolazione si abbandonava a un delirio di gioia per la notizia
dell’'armistizio arrivata la sera prima per radio. Se il miracolo della radio si fosse rinnovato per quegli uomini,
la mattina del 9 settembre 1943, essi si sarebbero abbracciati nella comune
gioia del momento e tante fiorenti giovinezze non si sarebbero dolorosamente
arrestate, lontano dalla patria, nella solitudine sconfinata dei piani dell'Aspromonte. I corpi di quei poveri ragazzi furono gettati alla rinfusa
in un crepaccio, presso il greto di un torrente e coperti di terra alla meglio.
Le acque del torrente, dopo, scoprirono alcuni dei cadaveri, irriconoscibili e
li trasportarono a valle. Vi fu qualche parola di compianto, ma nessuno, dopo,
si ricordò della battaglia, inutile e sanguinosa, di contrada Zillastro. Qualche anno dopo i resti di quei soldati furono ritirati dalle
rispettive famiglie. Sul luogo della tragedia, ora coperto dal verde di una
giovane pineta, solo una croce di pietra, piccola, fredda, anonima, che abbiamo
scorto per caso sperduta tra la neve, sta ad indicare il luogo dove dodici anni
fa i nostri umili eroi offrirono alla Patria l’inutile sacrificio della loro
giovinezza. Michele Fera GAZZETTA DEL SUD, 12 marzo 1955
In apertura (rubati alla rete) soldati della Divisione Folgore e Militari canadesi.
La foto, recentissima, del Casello dello Zillastro è stata realizzata per queste pagine. Un più recente scritto di Michele Fera sulla stessa tragedia si trova qui:
-Cordea Pietro Paolo (Mo.30.8.1854) di m. o Vincenzo e di
Vadalà Maria, da Molochio - età 1 anno -
era venuto per la solenne festività della B.V.M. di Loreto.
Il piccolo Pietro
Paolo venne a mancare in casa dello zio Antonio Demaio, vaticale di anni
trentadue.
-Trimboli Antonio di Francesco (Mo.28.9.1857) cadde da un
albero di noce in località Ficarazzi.
Nel registro comunale
Antonio è riportato come Domenico, figlio di Francesco e Antonia Trimboli,
marito di Peppina Grillo.
-Barbaro Francesca (Mo.22.10.1857) cadde da una finestra
della sua casa.
Francesca Barbaro era
filatrice, quando cadde dalla finestra ne aveva quaranta di anni; i suoi
genitori erano Antonio e Caterina Trimboli; era moglie di mastru Peppi Ciampa
-Barbaro Giuseppe (Mo.27.12.1857) di Rocco miroci, morì colpito da un macigno in
località Scapolanova.
Giuseppe Barbaro di
anni ne aveva ventiquattro e faceva il bracciale, Rroccu u miroci invece era vaticale e sua moglie era Caterina
Sergi.
-Ferraro Rosa Maria (Mo.25.5.1858) di Giovanni e di Nigro Antonia
ruris casali novi de Africo.
Rosa Maria era un’infante
di due mesi di Casalinovo di Africo; a dichiararne il decesso sono stati due
suoi compaesani. Oscuro il perché si trovassero in Platì.
-Larosa Caterina (Mo.10.8.1858) da Agnana, moglie di Cordì
Giovanni, morì in località Lacchi.
-Leonardo Francesco Antonio (Mo.24.7.1858) di N. e Leonardo
Maria da Bovalino.
Il piccolo Francesco
Antonio era di sei mesi e Maria sua madre era una filatrice.
-Nirta mf Candida (Mo. 6.9.1858) moglie di Fera Michele - morta
all'età di anni 90.
La signora Candida
era originaria di Natile.
-Morabito d. Marianna (Mo. 11.12.1858) di d. Francesco e d. Rosa
Oliva da Palmi. Morì a 36 anni ob partum difficilem.
-Sgrò Giuseppe Antonio (Mo. 27.12.1858) della città di
Reggio - marito di Carbone Carmela.
-Lupis m. o Carlo (Mo. 2.1.1859) ruris Canoli, coriarius,
venendo da Oppido, mentre attraversava la località Emolumenti, assalito da un ladrone, fu derubato
e ucciso a colpi di scure.
-Micò Francesca (Mo.12.2.1859) da Casignana
-Sansalone Giuseppe (Mo.20.2.1859) da Agnana, dimorava in
località Mulino nuovo - morì a Platì.
Notizie contenute nel
V° Volume dei morti della parrocchia redatte da Ernesto Gliozzi il giovane. In grassetto quanto ricavato dai registri della Casa Comunale platiese. In apertura una lapide resistita alle alluvioni.
E' primavera, è domenica ... Ecco, ora con le foto dello zio Giuseppino ognuno di voi può inventarsi una storia a piacere, se conviene, cambiando anche la sequenza fotografica proposta. Fondale è il serro che volge verso Cirella, e come sottofondo sonoro va benissimo Astrud Gilberto assieme all'ormai mi(t)tico: