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lunedì 28 dicembre 2020

La educación prohibida [di German Doin - 2012]

Para aprender, compartir y accionar colectivamente.



Con la pubblicazione del racconto inedito Nonna Peppina, termina il tributo per il ventennale della scomparsa di Pasqualino Perri, educatore e scrittore platiese. A convalidare il tributo giunge inaspettata la scoperta di un documentario argentino, La educacion proibita, che molto ha in comune con il suo premiato studio Scuola e Mezzogiorno. Quasi tutte le tesi affrontate da Pasqualino Perri in quel libro rivivono per immagini nel documentario sebbene da una prospettiva ispanoamericana e di cui si riportano alcuni frammenti.

Se stai cercando risultati diversi, non fare sempre la stessa cosa. Albert Einstein

Il nostro problema nel comprendere la scuola dell'obbligo nasce da un fatto inopportuno: il danno che fa da una prospettiva umana, è una risorsa dal punto di vista del sistema. John Taylor Gatto

Non seguire me, segui i bambini. Maria Montessori

Studiare non è un atto di consumare idee, ma di crearle e ricrearle. Paulo Freire

Pasqualino Perri continua e continuerà ad essere misconosciuto dalla comunità in cui è nato, dalla regione che ha amato e dalla stessa Scuola per cui ha vissuto. E l’orizzonte non è roseo né per la Scuola dell’obbligo, né per gli insegnanti, nè per gli allievi, dalle primarie alla scuola secondaria di secondo grado.




martedì 22 dicembre 2020

The Grandmother [di David Lynch -1970] a short story in streaming

Le verità contenute in Nonna Peppina sono due: quella relativa al paese di Palì (Platì) e quella che riguarda personalmente Palì (Pasqualino Perri). Pino Perri 


 NONNA PEPPINA

racconto inedito di Pasqualino Perri

Era sabato e in casa c’era aria di festa: sveglia antelucana, odori di sapone, talco, ferro da stiro, e lucido di scarpe; seguivano al via vai, il «fai presto che debbo entrare io», lo «sbrigati altrimenti fai tardi», il «dove sono le mie scarpe».
Palì era triste perché quella festa non gli apparteneva. Il giorno prima aveva pianto perché gli era stato detto che non poteva partecipare alla sfilata. – Solo i grandi! Tu sei troppo piccolo; quando sarai figlio della lupa…
Sulla piazza, gli altoparlanti gracchiavano già inni e canti. Cata, Giusa, Rosi, vestiti di bianco e nero, erano sulla strada quando arrivò nonna Peppina.
Le andò incontro:
         - Nonna, voglio stare con te!
         Con il suo viso sempre sorridente, lo prese in braccio: - Andiamo sulla terrazza. La sfilata stava per cominciare: bandiere nere, tamburi, gagliardetti, cappelli luccicanti, fucili, baionette.
         - Sembrano i morti della notte del primo venerdì di novembre, solo che i beati morti sono più seri dei vivi!
         Quella frase lo incuriosì a tal punto che subito le chiese il significato. Non rispose, come del resto era il suo solito. Ritornò alla carica. Solo dopo una settimana soddisfece la sua curiosità:
         - Il primo venerdì di ogni novembre, a mezzanotte, tutti i morti del nostro cimitero escono in processione per il paese e, alle due, dopo aver percorso tutte le strade s’incontrano al centro della piazza, formano una gran croce per poi scomparire. Ognuno può affacciarsi alla propria finestra e rivedere, per qualche minuto, i suoi cari. È così che rivedo, ogni anno, mio marito, mio figlio, i miei genitori e tutti coloro che ora sono nel regno verità. Non si può parlare con loro perché non vedono e non sentono. Qualche lacrima scorreva sui solchi del suo viso.
         - Perché non mi fai vedere nonno e zio? Io di loro non ho paura.
         Questa volta gli rispose senza esitazione:
         - Solo i vecchi possono vederli, i bambini e i giovani, anche se si affacciano al balcone, non possono vederli; quando sarai vecchio li vedrai.
         In quel momento Palì avrebbe dato chissà che cosa per diventare vecchio.
         Lei continuò:
         - L’incontro con i morti mi dà la possibilità di ricordare tutto il mio passato è farlo rivivere in me come presente.
         Non capiva il significato di quest’ultima frase e le chiedeva spiegazioni, ma lei:
         - Quando sarai vecchio, capirai, capirai, capirai! Ora pensa ad andare a “maistra” da donna Bice.
         Fu così che Palì venne a sapere che, dopo tante raccomandazioni di persone importanti (parroco, levatrice, medico e sacrestano), donna Bice lo accettava tra i suoi discepoli.
         Donna Bice “teneva” l’unico “asilo” del paese, frequentato dai figli delle famiglie che contavano. Andare da donna Bice era privilegio di pochi e, perciò, prestigio sociale.
         Il suo metodo era semplice: la calza, per maschi e femmine, fiabe e favole popolari, preghiere, catechismo; dentro una stanzetta, quattro per quattro, circa trenta bambini.
L’aria, in estate e in inverno, “profumava” di odori umani, di olio d’oliva, aglio e cipolla, pecorino, frittata, soppressata. I cestini, con le loro forme e i loro contenuti “graduavano” la realtà sociale dei frequentanti. I più “ordinati” venivano sempre additati come esempio e, diventavano, di conseguenza, antipatici agli altri.
         Chi non andava a “maistra” da donna Bice trascorreva le sue giornate, d’estate e d’inverno, nelle strade e le “rughe” pullulavano di piedi scalzi e di piccoli visi neri o bianchi, a seconda della zona del paese.
         All’ “Ariella”, la parte alta aggrappata alla roccia che difende il paese dall’impeto del torrente, tutti biondi e con occhi celesti; nella parte bassa, “la Figureja”, bruni, levantini, con marcati tratti greci, arabi, albanesi, saraceni.
         Due mondi distinti. Due realtà storiche che testimoniano le vicende umane di un passato/presente costrette a vivere la storia sempre come oggetto.
         I loro giochi preferiti: birilli, trottola, cerchio, quattro cantoni, fionda e… la guerra continua tra le due zone. Guai a chi si permetteva di oltrepassare i confini.
         Spesso i “capi” organizzavano progetti d’invasione dopo profondi studi. Ogni tentativo diventava una vera e propria guerra. Dalla guerra-gioco a quella sociale: i matrimoni tra le due zone erano una rarità che veniva additata come qualcosa di profano, come scandalo davanti agli uomini e davanti a Dio.
         La Pasqua, quell’anno, cadeva l’ultimo giorno di marzo.
         Nonna Peppina lo portò a visitare i Santi-Sepolcri, alla processione del Venerdì Santo e al Calvario: quel monte alto come un gigante, che nasconde il paese alla vista dei forestieri e chiude gli orizzonti marini ai suoi abitanti. Destava sempre un senso di mistero: d’inverno, le tre grandi croci si piegavano al vento, d’estate, si stampavano sul cielo azzurro.
         Palì, finalmente, andava al Calvario e non avvertiva la fatica, perché non solo era la sua prima giornata trascorsa interamente con la nonna, ma aveva conosciuto, tutto il paese.
         - Sei stanco? Disse nonna Peppina. – Ti prendo in braccio. – No! – Sei contento? Ti piace la processione al Calvario? Quando arriveremo in cima potrai vedere il paese dall’alto e saprai perché i briganti l’hanno costruito in questa valle. Per noi di Panduri il vostro paese è la terra dei briganti, maledetta da un vescovo.
         - Dov’è Panduri?
         - Al di là del Calvario. Da Panduri si vede il punto dove si uniscono il cielo e il mare. Qualche giorno ti porterò con me e da casa mia potrai guardare lontano lontano e vedere tutti i paesi della marina. Quando sarai grande, anche tu prenderai la corriera: uscirai da questa valle maledetta e conoscerai tanti posti belli e tante città. Ma prima devi imparare a leggere e a scrivere, perché tutti quelli che sanno leggere e scrivere possono andare in giro senza la paura di perdersi; in settimana andrai da donna Bice, dopo, a scuola, andrai a Roma.
         Il sole, il cielo, gli alberi, le rondini, i giochi dei bambini, il fruscio della pialla, il tintinnio del martello sull’incudine, il canto romantico del barbiere, l’odore degli eucalipti e delle acacie, i passi svelti delle donne vestite di nero, il campanello delle mandrie di pecore e di capre, l’odore del pesce stocco, il dondolio dei carri, i richiami delle mamme, gli sguardi diffidenti dei vecchi, il ritmo dei telai, i panni stesi ai balconi come bandiera, la lenta melodia dell’armonica a bocca del vecchio garibaldino cieco, le bestemmie di Rocco il calzolaio, il parlare ieratico dei vecchi massari, il rumore della fiumara. Mattina d’aprile.
         Fu sua sorella Cata che ebbe l’onore, quella mattina, di accompagnarlo, dopo che suo padre lo passò in rassegna dalla testa ai piedi, facendogli le ultime raccomandazioni.
Palì si sentiva al centro dell’universo ed era felice non perché, finalmente, poteva uscire di casa ogni giorno o perché poteva vantarsi, con gli altri, di “andare” da donna Bice.
         Avvertiva, forse, dentro di sé, che iniziava a percorrere il lungo viale che lo avrebbe portato alla vecchiaia, al tempo in cui avrebbe potuto vedere, il primo venerdì di novembre, a mezzanotte, la processione dei morti.



Nota a cura di Rosalba:
Il giorno 31 maggio 1883, Giuseppe Caruso, mugnaio, registrò la nascita della sua seconda figlia, Giuseppa Caruso nata da sua moglie, Maria Strangio, nella loro casa di via Pandore a Careri. I legami di Giuseppe con Platì erano forti: lui vi era cresciuto anche se nato a Sant’Eufemia, a Platì vivevano i suoi genitori Antonino e Caterina Marafioti insieme alle due sorelle. Infatti, Giuseppa fu battezzata a Platì, ma visse a Careri fino al matrimonio con Francesco Miceli il 13 dicembre 1906. Francesco, di Platì, aveva dieci anni più di lei, era vedovo ed aveva un figlio. Francesco era macellaio e abitava in via San Pasquale. Giuseppa, detta Peppina, visse in quella casa fino alla sua morte avvenuta il 16 ottobre del 1977, quando mancavano due mesi al suo 95o compleanno. Dal 1907 al 1929 Peppina generò nove figli: Rosa (1907), Antonino (1909), Maria (1911), Domenico (1914), Cristina (1916), Cristina (1918), Luigi (1921), Pasquale (1924), Caterina (1929). Perse tre dei figli: la prima Cristina di Spagnola, Luigi a seguito delle bruciature causate dalla calce viva in cui era entrato a recuperare un giocattolo, e la seconda Cristina tragicamente scomparsa nel 1970 a seguito di un incidente stradale. Rimase vedova nel 1937. Quasi novantenne viaggiò da sola per andare a trovare la figlia Maria a Massena (NY). Quando morì aveva 24 nipoti e quindici pronipoti.

La foto è del giorno della sua partenza per gli Stati Uniti scattata all'aeroporto. Con lei sono la prima figlia, Rosa, e l'ultima, Caterina (Cata). 
.-.-.-.-.-.-.-.-.
And the bells are ringing out
For Christmas day
Shane MacGowan/Jem Finer

In streaming - va di moda - è l'unico modo per trascorrere con voi questo Natale e ve lo offrono Rosalba, Pino e Gino.

E' anche il primo Natale senza il Maestro. In quello che segue chi ha l'orecchio sensibile può scorgervi qualcosa di lui.

lunedì 21 dicembre 2020

Blue Christmas - Elvis Presley


Letterina ai genitori
NATALE 1980

Carissimi genitori,
Vi auguro tanta felicità e tanta salute. Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per rendermi serena e bella la vita. Prometto di essere più buono, più ubbidiente e più studioso per ricambiare tutte le attenzioni amorevoli che ogni giorno avete per me. Pregherò Gesù Bambino perché benedica la nostra famiglia, il nostro paese e il mondo intero.
Con affetto vostro figlio.


Immagini e testo tratti da:
IL CIANCIO PLATI'  Anno I  N. 1  ottobre-dicembre 1980

domenica 20 dicembre 2020

Un cuore in inverno [di Claude Sautet -1992]


 Tota (nata Maria Antonia) Zappia
di Pasquale e Caterina Lentini
10 maggio 1927 - 20 dicembre 2020
Maestra delle elementari

giovedì 17 dicembre 2020

Baci carezze e pugni [di Gregory Ratoff -1942]



Confraternita di Maria S.S. del Rosario in Platì 
ììììììììììììììììììììììììììììììììììì 

N° di Prot.
Oggetto – Deliberazione

Eccellenza Reverendissima, 

Onoromi umiliare all’approvazione dell’E.V.Rev.ma l’acclusa deliberazione dell’Assemblea della Confraternita, che fa obblicgo alle sorelle ascritte alla medesima d’intervenire solamente agli accompagnamenti funebri dei Congregati.
Bacion con devozione il Sacro Anello e chiedendo la S. benedizione per me e Congregati

Umilissimo 
Marando Domenico Priore 

Platì lì 12/ 5 1929 VII

Non approvata

Il documento, gentilmente concesso, è custodito presso:
Archivio Storico Diocesano “Mons. Vincenzo Nadile”
Diocesi di Locri – Gerace
ASDLG

 

martedì 15 dicembre 2020

I due sergenti [di Enrico Guazzoni -1936]



Gerace Sup. 5 (Caci) - Con ritardo m’accingo a mandare la mia nota sincera di plauso a quei bravi e volenterosi giovani del Seminario che nell’ ultima serata di carnevale si ebbero delle rappresentazioni teatrali assai gradite.
Si rappresentò la prima sera il dramma I due Sergenti e la parte del Valentino -tradotta in dialetto napoletano- fu splendidamente tenuta dal nostro «Scarpetta» Peppino Tedesco.
Anche il Vecchio Battezatore dramma eminentemente religioso – riscosse applausi l’ultima sera, massime la finale che fu proprio commoventissima. Ai drammi vennero dietro due farse «Lo stratagemma per pagare i debiti» e «Lo spauracchio della Poana». Prosit ai bravi e intelligenti giovani.
Di geniale e di bello in Seminario quest’anno va dovuta somma lode all’Ecc. mo Vescovo ed al Rettore Gratteri il quale -a tuttuomo- si occupa, perché questo sacro recinto fiorisca sempre nel campo de la virtù e de l’ingegno.
IL SOLE DEL MEZZOGIORNO Palermo-Anno III-N. 67 Direttore Francesco Parlati  Domenica 8 Marzo 1903

Inutile ricordarvi che sotto lo pseudonimo di Caci, per giunta su un foglio palermitano, si celava il seminarista Ernesto Gliozzi il vecchio e il dramma I due sergenti non derivava dal cinematografo, i fratelli Lumiere l'avevano sperimentato da poco, ma da una piece di Auguste Maillard e Théodore Baudouin d'Aubigny. Scandalosa, se non inconcepibile, la presenza di Scarpetta, al secolo Edoardo Scarpetta, don Giovanni dei palcoscenici napoletani e padre - tra i tanti - dei famosi Edoardo, Peppino e Titina De Filippo. E come dice Ghezzi Enrico: buona visione.

lunedì 14 dicembre 2020

Wedding Party [di Brian De Plama -1969]

28.06.1823  Calabria Domenico di Francesco - Carbone Anna di Giuseppe

Domenico, bracciale, il giorno dello sposalizio di anni ne aveva vent’uno e sua madre era Maria Garreffa; Anna era diciannovenne e sua madre era Caterina Cutrì. Mentre Anna si sposava col consenso dei due genitori, Mimmo aveva solo quello della madre essendo il padre defunto. In municipio i due sposi ebbero testimoni di tutto rispetto: Michele Oliva di Domenico, proprietario di anni quaranta; Don Stefano Oliva, sacerdote di quaranta tre anni; Giuseppe Gliozzi, civile di anni trenta tre e Michele Oliva anch’esso civile di anni vent’otto. In chiesa i testimoni furono due: Pasquale Zappia e Rosario Laria.

27.07.1823  Pipicella d. Giuseppe di Domenico -  Furore d. Francesca di Fortunato

Don Peppino Pipicella, natilotu del fu don Domenico e di donna Angela Ietto era di anni vent’otto; donna Francesca, di Fortunato e di donna Paola Portolesi, era diciottenne. I loro testimoni nella Casa Comunale furono: il sacerdote don Domenico Trimboli di anni cinquanta sei, lo spezziale don Domenico Zappia di anni quaranta sei, i civilì don Domenico Mittiga di anni trenta sei e don Antonio Oliva di anni trenta. Due i testimoni in chiesa: don Domenico Zappia e don Rosario Zappia.

24.11.1823  Trimboli Giuseppe di Nunziato -  Staltari Domenica di Domenico

Peppineiu Trimboli del fu Nunziato aveva diciassette anni, bovaro di professione, sua madre era Caterina Mavrelli abitanti in vico Chiesiola; Mimma di Mimmo e di Rosa Primerano di anni ne aveva sedici e con i suoi abitava nto vajuni. I loro testimoni furono il calzolaio di anni venti sei Giosofatto Zappia, massaru Filippo Caruso di anni quaranta, il vaticale Pasquale Giuseppe trimboli di quaranta anni e massaru Peppinu Sergi di anni trenta sei. In chiesa firmarono Michele Spagnolo e Rocco Agresta.

La data riportata è quella riportata nei registri della chiesa. In Comune ad officiare fu don Michele Oliva, in chiesa don Stefano … Oliva.

In quell’anno si sposarono anche:
il dieci febbraio Cusenza Rosario e Maria Vittoria Treccasi;
il quindici aprile Trimboli Giuseppe e Cufari Domenica;
il ventiquattro aprile Agresta Giuseppe e Audino Vincenza di Bovalino.
SDG

di seguito l'intro che usavamo con Valerio quando ci divertivamo a fare del cinema a spese dei futuri sposi:

domenica 13 dicembre 2020

I giovani leoni [di Edward Dmytryk -1958]

... una vita da eroi del cinema.
Willa Cather



NOTTE DEL 9 SETTEMBRE 1943: CRUENTA BATTAGLIA SULL’ASPROMONTE
Una piccola croce di pietra bianca a Zillastro
ricorda l’inutile sacrificio di giovani soldati
La guerra era cessata da 24 ore ma la notizia non era ancora giunta 
alle orecchie di quegli italiani e canadesi che 
si svegliarono al grido d’allarme
 
Platì, 11 marzo
Dalla contrada Zillastro, posta su uno dei punti più alti della cresta dell'Aspromonte, si un si aprono al viandante vedute senza confini: da un lato si vede la piana sterminata che si accende a sera delle miriadi di luci dei paesi in essa disseminati; da un altro lato lo sguardo scivola verso la visione vertiginosa del fondovalle solcato dalle strisce d'argento dei numerosi torrenti che si versano nel Ciancio.
Si discerne lontano la foce le di quest’ultimo nell'azzurro Jonio, e istintivamente ci si volta a guardare, stupiti, alle nostre spalle, la striscia azzurro pallida del Tirreno, confondersi con l'orizzonte. Appena velato dalla foschia, lo Stromboli emerge lontano dalle acque.
Quasi come in segno di rispetto alla bellezza ed alla grandiosità del panorama, in questi luoghi regna il silenzio: un silenzio assoluto, che neanche il soffio perenne dei venti incrociantisi sui pascoli verdissimi, riesce a interrompere.
Si vede su un lato della strada (la statale 112) l’edificio dipinto in rosso di una casa cantoniera, ma ci si accorge che solo le mura esterne di essa sono rimaste in piedi: all’interno non c'è che un cumulo di calcinacci sepolti tra le ortiche: Casello Zillastro.

  
Settembre 1943. Arriva a colmare per una sera la desolata solitudine di contrada Zillastro una compagnia di paracadutisti italiani.
Il panorama immenso che si offre da, ogni parte è il balsamo più gradito alle mille fatiche affrontate fino a quel giorno; gli italiani si accampano qui per passarvi la notte. Il sonno fa presto a venire, anche sdraiati sulla terra e senz'altra coperta che il meraviglioso cielo calabrese brulicante di stelle.
All'alba un ufficiale si alza e si allontana dall’accampamento. Cammina un po' trasognato, guardando l'oriente che trascolora a poco a poco... Inciampa in un uomo sdraiato per terra e cade. Si rialza: an-
che l'altro si è rialzato e bestemmia... in lingua canadese.
Si tratta di una compagnia di soldati canadesi attendati a qualche centinaio di metri di distanza dall’accampamento italiano: nessuno se n'era accorto.
L’italiano getta l'allarme: tutti si svegliano: i due eserciti prendono le armi. Per un momento la quiete profonda dell'Aspromonte è lacerata dal crepitio feroce della battaglia.
Infine una cortina di silenzio si posa pietosamente sui corpi di numerosi giovani italiani e stranieri rimasti inerti tra le erbe rosseggianti di sangue di contrada Zillastro.
E' la mattina del 9 settembre del 1943.


Un episodio come tanti altri, come innumerevoli altri dell’ultima guerra: ma infinitamente più triste: perché mentre a Zillastro si combatteva, lo stato di guerra era cessato dal giorno prima. E a Platì, a pochi chilometri di distanza, sul fondo della valle, la popolazione si abbandonava a un delirio di gioia per la notizia dell’'armistizio arrivata la sera prima per radio.
Se il miracolo della radio si fosse rinnovato per quegli uomini, la mattina del 9 settembre 1943, essi si sarebbero abbracciati nella comune gioia del momento e tante fiorenti giovinezze non si sarebbero dolorosamente arrestate, lontano dalla patria, nella solitudine sconfinata dei piani dell'Aspromonte.
I corpi di quei poveri ragazzi furono gettati alla rinfusa in un crepaccio, presso il greto di un torrente e coperti di terra alla meglio. Le acque del torrente, dopo, scoprirono alcuni dei cadaveri, irriconoscibili e li trasportarono a valle. Vi fu qualche parola di compianto, ma nessuno, dopo, si ricordò della battaglia, inutile e sanguinosa, di contrada Zillastro.
Qualche anno dopo i resti di quei soldati furono ritirati dalle rispettive famiglie. Sul luogo della tragedia, ora coperto dal verde di una giovane pineta, solo una croce di pietra, piccola, fredda, anonima, che abbiamo scorto per caso sperduta tra la neve, sta ad indicare il luogo dove dodici anni fa i nostri umili eroi offrirono alla Patria l’inutile sacrificio della loro giovinezza.

Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 12 marzo 1955


In apertura (rubati alla rete) soldati della Divisione Folgore e Militari canadesi. 
La foto, recentissima, del Casello dello Zillastro è stata realizzata per queste pagine.
Un più recente scritto di Michele Fera sulla stessa tragedia si trova qui:




 

giovedì 10 dicembre 2020

Fatti corsari - da Molochio ad Agnana


-Cordea Pietro Paolo (Mo.30.8.1854) di m. o Vincenzo e di Vadalà  Maria, da Molochio - età 1 anno - era venuto per la solenne  festività  della B.V.M. di Loreto.
Il piccolo Pietro Paolo venne a mancare in casa dello zio Antonio Demaio, vaticale di anni trentadue.
-Trimboli Antonio di Francesco (Mo.28.9.1857) cadde da un albero di noce in località Ficarazzi.
Nel registro comunale Antonio è riportato come Domenico, figlio di Francesco e Antonia Trimboli, marito di Peppina Grillo.
-Barbaro Francesca (Mo.22.10.1857) cadde da una finestra della sua casa.
Francesca Barbaro era filatrice, quando cadde dalla finestra ne aveva quaranta di anni; i suoi genitori erano Antonio e Caterina Trimboli; era moglie di mastru Peppi Ciampa
-Barbaro Giuseppe (Mo.27.12.1857) di Rocco miroci, morì colpito da un macigno in località  Scapolanova.
Giuseppe Barbaro di anni ne aveva ventiquattro e faceva il bracciale, Rroccu u miroci invece era vaticale e sua moglie era Caterina Sergi.
-Ferraro Rosa Maria (Mo.25.5.1858) di Giovanni e di Nigro Antonia ruris casali novi de Africo.
Rosa Maria era un’infante di due mesi di Casalinovo di Africo; a dichiararne il decesso sono stati due suoi compaesani. Oscuro il perché si trovassero in Platì.  
-Larosa Caterina (Mo.10.8.1858) da Agnana, moglie di Cordì Giovanni, morì in località Lacchi.
-Leonardo Francesco Antonio (Mo.24.7.1858) di N. e Leonardo Maria da Bovalino.
Il piccolo Francesco Antonio era di sei mesi e Maria sua madre era una filatrice.
-Nirta mf Candida (Mo. 6.9.1858) moglie di Fera Michele - morta all'età di anni 90.
La signora Candida era originaria di Natile.
-Morabito d. Marianna (Mo. 11.12.1858) di d. Francesco e d. Rosa Oliva da Palmi. Morì a 36 anni ob partum difficilem.
-Sgrò Giuseppe Antonio (Mo. 27.12.1858) della città di Reggio - marito di Carbone Carmela.
-Lupis m. o Carlo (Mo. 2.1.1859) ruris Canoli, coriarius, venendo da Oppido, mentre attraversava la località  Emolumenti, assalito da un ladrone, fu derubato e ucciso a colpi di scure.
-Micò Francesca (Mo.12.2.1859) da Casignana
-Sansalone Giuseppe (Mo.20.2.1859) da Agnana, dimorava in località Mulino nuovo - morì a Platì.

 Notizie contenute nel V° Volume dei morti della parrocchia redatte da Ernesto Gliozzi il giovane. In grassetto quanto ricavato dai registri della Casa Comunale platiese. In apertura una lapide resistita alle alluvioni.

 

martedì 8 dicembre 2020

Lo sguardo di Ulisse - Argomenti







E' primavera, è domenica ... Ecco, ora con le foto dello zio Giuseppino ognuno di voi può inventarsi una storia a piacere, se conviene, cambiando anche la sequenza fotografica proposta. Fondale è il serro che volge verso Cirella, e come sottofondo sonoro va benissimo Astrud Gilberto assieme all'ormai mi(t)tico: