Di quando ero piccola e stavo al mio paese
non ricordo i ricchi o quelli che erano meno ricchi, ma ho in testa i proprietari
terrieri, e chi, di questi ultimi, coltivava i terreni. Li coltivavano
con tutta la passione che era in loro, come fossero terreni di loro pertinenza. Soldi in giro non si vedevano, c'era la
fratellanza e lo scambio dei prodotti; i signori davano al contadino le terre e
in cambio avevano un terzo del prodotto. E questo era quello che faceva un mio
zio, Antonio Scarfò. La signora Fera aveva dato a questo mio zio in gestione un
pezzo di proprietà che si chiamava “a
cabeia bella“. Non era lontano dal paese e mia cugina - sua figlia - mi
portava spesso con lei. Partivamo dal paese lei, con una cofana in testa col
cibo per il papà ed io che le trottolavo dietro, spesso prendendo la rincorsa
per starle al passo. Le mie gambette non erano come le sue e lei andava; non
si girava mai per vedere se c'ero oppure no, e tanto meno mi diceva mai: sei stanca? vuoi venire in braccio? – no
- ma andavo volentieri, il posto mi piaceva assai. Era una grande proprietà con
la casa circondata da muri; fuori nell'aia le galline, il maiale, una pecora e una
capra e anche un cavallino; un carretto, i covoni del grano e poi pentole e
pentolini col mangiare delle bestie. Era bravo mio zio, un gran lavoratore;
c'era di tutto perfino i carciofi, ma guai a chi toccava le primizie, erano per
la signora che lui rispettava molto.
Testo e foto sono di PAOLA VIOLI