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mercoledì 6 febbraio 2013

Lacrime pt. 6 - Fine


PAROLE PRONUNCIATE
AL CAMPOSANTO

I lieti eventi
Tardi – aspettati – giungono
E non sempre.
Presta soltanto è la sventura
Intraveduta appena
Ella ci è sopra
                      (Manzoni)

     Conterranei,
  La moglie di Giosofattino Furore è morta, dunque!
  Mattia Migliaccio non è più! – E’ volata in cielo – dicono le anime buone, i religiosi, tutti quelli che hanno una visione di là della tomba … sì è volata in cielo! Ma stavo per dire che è, anche, una sventura, - una di quelle sventure che non si riparano con le solite frasi convenzionali; una sventura per tutti noi, - per la famiglia in primo luogo – e per i poveri.
  Quando Mattia Migliaccio in Furore ebbe la chiara conoscenza de le miserie di questo popolo; quando d’intorno a lei vide una turba che le chiedeva soccorso, fu tutta a moltiplicarsi per tutti e si diede, col marito, a quella cristiana beneficenza che oggi le rende il contributo.
  Fu buona di quella bontà che non conosce infingimenti; fu d’una cristiana educazione, che non ammette particolarità di persone e fu mite ed umile di spirito – secondo il Vangelo.
-          Era, forse, un  Angiolo!
-          Dubito poco, veramente, ma se i meriti nostri fossero migliori non temerei di giurarlo.
  Voi che la conosceste da un anno, - ditemi – non vi sembrava di vedere una santa quando passava per le vie del paese, quando pregava in chiesa, quando beneficava i poveri!
  E voi, persone familiari, ditemi un poco, voi, - perché amavate la Signora Mattia Migliaccio siccome una madre, siccome una sorella?
-          Non è forse vero che la sua morte è una svenuta?
-          Non dicevo bene che l’abbiamo perduta tutti, tutti, indistintamente?
  O voi che siete venuti qui, per rendere l’estremo contributo di pianto su questa bara, - ditemi se certe ferite del cuore si possono sanare mediante un meschino elogio; mentre a quest’ora, si dibattono, nel dolore più selvaggio ed intenso, un marito, una madre ed una sorella?
  Io vorrei che queste lacrime fossero come quelle che il Nazareno, un giorno, versava sulla tomba del suo morto amico ed avessero la virtù di richiamare in vita questa madre, moglie, figlia! …
  Vorrei che tu, o popolo riconoscente, avessi ancora la tua buona fata, l’angiolo del soccorso la santa delle sventure!
-         Ma che ! ! …
  E’ la tragica ora della morte!
  Passa, trascinando dietro di sé i cuori lacerati! – Scopritevi  ! Salutate questa vittima che è pure una madre!
  Stringetevi intorno a questo cadavere;  e, quand’altro non ci resta, ricorriamo alla Fede.
  Un giorno, il Biondo di Nazaret alla desolata che gli chiedeva la vita del fratello estinto, rispondeva teneramente, soavemente così: “ Chi crede in me, anche se è morto, vive … Chi crede in me non morirà in eterno!”
  O parole, che avete la potenza di suscitare i morti, come di risvegliare nei cuori le più belle speranze; voi solo restate e potete essere profferite con cuore fermo ad occhio asciutto dinanzi ad una bara!
  Voi sole potete rimarginare i cuori; i cuori affranti e lacerati, che si fasciano solamente con le bende del conforto. E non fa bisogno pertanto, che in questa luttuosa circostanza, voi ripetiate le parole del Maestro a quello sventurato marito. – Egli la vede! Non so se sia con gli occhi della fede … La vede presente ne le notti insonni, ne le stanze deserte, nel vuoto che lo circonda! … Lo segue come un lieve frusciare di vesti, come una fiaccola che si spegne per accendersi di nuova luce … e la vede, la vede sempre, dovunque guarda e passa mestamente quest’uomo sventurato; finché non la raggiunge in una patria, che non è certamente terrena.
  Diceva il Grande Poeta di Bologna che i morti, passano una volta il guado del gran Forse, stanno troppo bene per non ritornare da noi.
  No, non è vero! Noi imbalsamando la memoria dei nostri cari defunti, li vediamo in tutte le nostre operazioni: gioiscono delle nostre gioie, come si dolgono delle nostre afflizioni e – se la fede non manca – sono le migliori guide che ci conducono in cielo.
  Concludo che quell’angiolo di cui vi parlava è sparito unicamente dagli occhi nostri, per vegliare invisibile sopra di noi.
  Volò ne la patria de le anime per ricevere dal Re della Gloria la risurrezione e la vita, volò, perché la terra è fredda e squallida e a traverso i cieli d’opale possano spaziarsi liberamente gli spiriti dei buoni. - Mattia Migliaccio in Furore era nata fatta pel cielo! …
  Addio dunque, o mite signora, che spandevi il miele ed il profumo dalle labbra, Addio fata benefica, Addio angiolo dei poveri esempio perenne de le signore, Addio!
  Riposa in pace la tua salma e ti sia madre la terra che ti riceve. Se di tutti i fiori di maggio ne facessimo un mazzo profumato, non basterebbe ad abbellire la tua tomba: Vincesti ne la purezza i gigli, fosti più modesta de le viole, le rose ed i gelsomini ti diedero il loro profumo – oh tu, certamente, non eri fatta pel mondo;
-         Muor giovine colei che al cielo è cara.
Sac. E. Gliozzi


martedì 5 febbraio 2013

La processione (reg. Carlo Campogalliani - 1941)

A prucessiuni

1
Eccu i.. brutti cosi
Chi succediru
Ndaju mu ciangiu
Ndaju m’arridu?
2
Quattru fratelli
Si mbrijiacaru
(chi meravigghia
Non vajii caru
3
Un vinu Addunca
Comu sapiti
Sti mbrijiacuni
Ficiru liti
4
E non è cosa
Mu t’impressioni?
Si sciarrijaiaru
Nta prucessioni
5
Unu, cu n’anima
I nu vastuni
Jiva rullandu
Comu Sansuni
6
A cani e porci
D’undi passava
Faciva ntendìri
Ca no scherzava
7
Nattru, nu vecchiu
Chinu di vinu
Diciva requi-ii
Pe San Martinu
8
Appressu nattru
Chi sbruffijiava …
E poi nu zocculu
Chi dormicchiava.
9
A nu mumentu
Chijiu cu palu
(chi era n’angelu)
Diventa malu
10
No, grida – cavulu…
(nattra kj iastima)
E’ ssa muzzetta
Ti cacciu a prima
11
E prima u dici,
l’aviva fattu
ca ceremoiii
non faci affattu

12
Allura currunu
Tutti pé ssusu
Cu si sciarrijunu
Forzi, cu stemmusu
13
Ma lu cchiu vecchiu
Comu nu cani
Si jetta n’terra
Pe mazzacani
14
E pe difendiri
Figghiu e vastuni
Cu na bestemmia
Sarta pajiuni
15
Pe cumbinari
Stu quatru serjiu
Vi chiumpì l’opera
Mastru Saveriu
16
Ijiu non parla …
Ma ti ragiuna …
Accussì parlunu
Forzi, nta luna! …
17
Ora ti vogghiu
Se mi sa diri:
                                                             Ndavi mu ciangìri
                                                                  Od arridìri?!
18
Fjà chi vidistivu
Nu pigghia pigghia.
Ch’erunu tutti
Patri i famigghia
19
Quandu nu previti:
vituperati
…. Facistivu
…. Scusati
20
Ma vi promettu
Non mi viditi
Fina cchi restunu
Chisti da liti.
21
Ora chi subitu
Si riuniru
 I Quattru apostuli
Tutti assorviru
22
Ritorna a predica
Cu cchiu speranza
Jivi brutti previti
Da fratellanza

Sac. Ernesto Gliozzi sen.

 Vi devo confessare che ho avuto dei problemi a trascrivere questa poesia, scritta a matita su un volantino riciclato, sbiadita dal tempo. Di sicuro Francesco non me ne vorrà e l'accoglierà come un fiore qual'essa è per conservarla nel suo sempre più voluminoso archivio.

lunedì 4 febbraio 2013

L'incarico (reg. Christian Duguay - 1997)



Al Molto Reverendo
Sacerdote D. Filippo Gliozzi
Parroco di S. Maria del Soccorso
Natile

L’ 20 Aprile 1885

Son lieto di partecipare a V. S. Ill.ma che il Signor Pretore di questo Mandamento in data sedici andante mese di Aprile con nota N. 128, mi scrive quanto segue “Per incarico superiore, partecipo a V. S. che in data 13 andante, l’Ill.mo Signor Procuratore Generale concesse il Regio Placet alla Bolla Diocesana che nomina il Sacerdote Filippo Gliozzi Parroco della Chiesa di Santa Maria del Soccorso in Natile. Nel pregarla di rendere di ciò edotto il Signor Gliozzi che la bolla placidata fu trasmessa all’Intendenza di Finanza di Reggio, per gli effetti della legge 13 settembre 1874. Mi accerti l’adempimento. Il Prefetto  Raso.
Prego poi S.V. di compiacersi accusarmi ricezione della presente
Il Sindaco
Stefano Barletta

venerdì 25 gennaio 2013

Il Diavolo (reg. Valerio Vella & Luigi Mittiga - 1995)

In contemporanea con




Così la critica:

“Un opera di notevole spessore comunicativo”. La Repubblica

“Acclamato ancora oggi” IL Gazzettino

“Da scaricare e conservare gelosamente”. La Nazione

“Vella & Mittiga con quest’opera all’avanguardia hanno superato se stessi”. IL Mattino

giovedì 24 gennaio 2013

Lacrime d'amore pt 5


In Chiesa e al Camposanto

  Fu portata nella chiesa maggiore fra un’onda di popolo riverente e commossa. C’erano le rappresentanze di molti comuni, la Società operaia di Cirella, le musiche di Gerace ed Oppido, tra una selva di corone e di bandiere. Sul sacrato della chiesa, parlò in nome del Municipio il consigliere Oliva, il quale rievocando l’apparizione e la breve vita platiese della morta, disse che l’irreparabile perdita si deve piangere amaramente e finì salutando la salma con parole sentite.
  Un tumulo maestoso sorgeva intanto nella navata di mezzo, nei drappi proiettavano le penombre nella Casa di Dio e, tra il salmodiare dei preti, Mattia Migliaccio dormiva nel Signore.
  Celebrava Monsignor Furfaro, Vicario Generale della Diocesi, e nel mezzo del Sacrifizio, saliva il pergamo quell’aquilia d’ingegno fra i sacerdoti, che è l’Arciprete Giampaolo, e con arte tutta propria, intesseva un magnifico elogio funebre. La tirannia dello spazio non ci permette di pubblicarlo per intiero e noi a malincuore rinunziamo al piacere di leggerlo su questo numero.
  L’imponentissima cerimonia non poteva riuscire migliore. Il Sac. Chiné ci fece sentire la sua magnifica voce e, alla consacrazione una mestissima marcia funebre intonuò la musica di Gerace.
  Finita la messa e la benedizione del tumulo, la mestissima processione sfilava verso il cimitero e seguivano la cara spoglia esanime, il fratello. I cugini ed il cognato Giacomo Tassoni.
  Qui altri discorsi, altre manifestazioni di dolore, finché tutto si spezzava; i ricordi, le speranze e le affezioni più care, per dare posto al silenzioso e terribile gelo della morte, per finire, con poche palate di terra, tutto un mondo di sogni tutti i sogni d’amore.
  Così finiva Mattia Migliaccio in Platì, la cui memoria resterà sacra nei petti di questi suoi buoni conterranei, che la venerarono in vita e l’adorarono in morte.
                                                                                                                            
NESTORE


Triste quel vespero di Febbraio! E tristissimo correva un infausto annunzio! Tenue, sommesso da pria, quasi bisbigliato nei crocchi, echeggiò poscia terribile, drappeggiato dalla solennità della Morte. Mattea Migliaccio Furore non era più! Parole, di cui l’eco angosciosa è ancora nell’animo di tutti i Geracesi, stretti dalla commozione, di questi Geracesi che seppero e compresero la loro conterranea, quando fioriva quassù e la seppero e compresero, quando chiamata dall’affetto corse fidente in braccio al suo destino – Ed ognuno di noi rivisse in quell’istante tutta la vita della povera morta, vita materiata di vicissitudini incessanti fino alla tragica fine! E tu, povera morta, passasti per le vie di Platì, mostrando sul tuo, grembo materno invano! La creaturina che tanto bramavi, e che tu non vedesti, e che non ti vide! Epilogo disastroso di due esistenze, cui tarpò le ali una misteriosa fatalità incombente! Ora nel piccolo cimitero, sotto la recente zolla, stanno unite la madre e la figlia; le due sventurate! Forse, sotto dei loro spiri aleggianti, le due spoglie avranno fremiti di tenerezza, forse sono felici a felice non è la famiglia della sventurata, che nel successivo grigio mattino compiva l’esodo doloroso dalla luttuosa Platì! Felice non sarà una madre dai capelli d’argento impietrita dal dolore! Oh! L’angoscia, lo strazio di quell’ora, quando lunghesso il greto del fiume, si volse verso i cipressi nereggianti del camposanto e ristette gemente: la novella Niobe chiamava invano la sua Mattea!
  Disastrosi epiloghi!
_______________
Fra le condoglianze pervennero quelle del Sotto Prefetto del Circondario Cav. Cardamone ed una infinità di carte da visita, lettere di persone di ogni ceto e di ogni luogo, ai quali tutti la famiglia intende rispondere particolarmente.
Dei telegrammi molti, nella confusione, si sono dispersi per cui non abbiamo potuto avere il piacere di pubblicarli, come vorremmo; e ci dispiace se per la tirannia dello spazio, non possiamo dare sul presente numero, pubblicità ad altri lavori pervenuti da innumerevoli amici. Lo faremo in prosieguo.  N. del G                                                                                                                    
               

martedì 22 gennaio 2013

Luci d'inverno (reg. Ingmar Bergman - 1962)

'dic, age, frigoribus quare novus incipit annus,
     qui melius per ver incipiendus erat?               
omnia tunc florent, tunc est nova temporis aetas,
     et nova de gravido palmite gemma tumet,
et modo formatis operitur frondibus arbor,
     prodit et in summum seminis herba solum,
et tepidum volucres concentibus aera mulcent,              
     ludit et in pratis luxuriatque pecus.
tum blandi soles, ignotaque prodit hirundo
     et luteum celsa sub trabe figit opus:
tum patitur cultus ager et renovatur aratro.
     haec anni novitas iure vocanda fuit.'               

Orsù, dimmi perché il nuovo anno comincia con il freddo,
Mentre sarebbe cominciato meglio con la primavera?
Allora tutto è in  fiore, allora la stagione si rinnova:
e nel pregno tralcio si gonfia la nuova gemma,
l’albero si riveste di fronde già ben formate
e alla sommità del suolo si schiude il seme dell’erba,
gli uccelli con vari canti addolciscono l’aria tiepida,
e gioca il gregge ruzzando nei prati. Allora
il sole è mite, riappare la rondine, prima invisibile,
e sotto un’alta trave fissa il nido di fango,
il suolo si lascia coltivare e rinnovare dall’aratro.
Questa doveva giustamente chiamarsi apertura dell’anno.
Ovidio, op. cit.


lunedì 21 gennaio 2013

I cavalieri delle tenebre (reg. Giuseppe Pinto - 1914)


Tre cavalieri.

Per antri i vecchi muri sonnolenti,
Fantasmi di castella e di manieri!
Tra le raffiche e l’impeto dei venti,
Salirono quassù tre cavalieri.
Ed il primo lasciò l’oro e gli argenti
Posò gli sproni e i nobili cimieri
Io son la Carità - disse ai presenti,
Batto in mio nome e dei miei due guerrieri.
Seguirono l’Ingegno ed il Lavoro,
Abbracciati, così come fratelli!
E le macerie rifiorir per loro.
Oggi, rifatti i diruti castelli,
Cercano il riso di Maria Sovrana,
Come sul volto de la Castellana

Sac. Ernesto Gliozzi sen.

mercoledì 16 gennaio 2013

Lacrime d'amore pt.4


In amaritudine

Permettetemi, o buona e bella signora, che io ricordi l’espressioni eloquenti di amarezza e di spasimo – prorompenti dal vostro cuore esacerbato …! – permettetemi che io raccolga le gemme che cadevano dagli occhi vostri nerissimi e ne componga una corona.
  O Dio, Dio! …
  L’umida terra spalanca le sue viscere! La nera bocca si schiude in un momento! … - Sei tu, sorella, ricchezza e mia vita, che ti nascondi? ! …
*
**
  Oh non, forse, ti ho venerato come una madre, adorato come una santa, amato più che una sorella? Tu eri la luce degli occhi miei, la gioia de la mia vita, l’istessa anima mia. .. tu eri tutto: il mondo intero … e te ne vai, perché?

*
**
  Com’è triste la terra!
  Non ci produce più fiori, il sole è illanguidito, d’intorno spira una raffica come di morte! … Eri tu, dunque, che infondevi la vita e l’eterna giovinezza nelle cose?
*
**
Ho pregato tanto, sai? Ho detto alla Vergine che mi facesse morire … Ho detto delle cose intime, delle parole appassionate a Dio, che mi ascoltasse … Stavo per credermi indegna … stavo per disperare stavo … ma poi, quando ti ho visto volare lassù, lieve, lieve, tra una turba di angioli … ho asciugato il pianto, ho rinvenuto la fede ed ho pregato ancora, o Mattia.
  *
 **
Così, così … ho pregato – con le ginocchia, su la terra, che ti rinchiude cadavere, appunto losguardo ne l’alto, che ti riceve meteora, mentre tu volavi, volavi tra le curve dolci, ne le melopee soavi del firmamento! …
*
**
Deh! Appariscimi ancora, o sorella, appariscimi nei cieli, sempre, al mio sguardo, e non ti eclissare, finché non ti raggiunge la desolata Carolina.
                                                                                                                                                             CRISANTEMO