Chi è nato a Platì, come me, tra il 1955 e il 1965, ha sentito spesso parlare di quei giorni tra il 16 e il 18 ottobre 1951. Giorni di paura e timore per le persone come per gli averi: la casa innanzitutto e i poderi. Ci lasciarono la vita 19 persone.
Nello sgomento i più cercavano riparo altrove, chi poteva presso parenti. Papà e mamma con Saro di tre anni, scapparono, aiutati nella corsa contro il tempo e la massa d’acqua che arrivava dalla montagna, a salvare più roba possibile, dallo zio Pepé. Lasciarono la casa che era appartenuta al nonno Rosario e dove loro si erano sistemati subito dopo il matrimonio. Per fortuna il nonno, come ho già scritto, molto tempo prima aveva comprato dal nonno Luigi la casa in via 24 maggio e li si sistemarono per gli anni a venire, fino al trasloco in Messina.
L’avvenimento fu riportato da tutti i giornali, dalla radio e dai cinegiornali. I politici si riempirono gli occhi di lacrime da coccodrillo e le bocche di vane promesse. Allora il paese superava i 7.000 abitanti.
Oggi, fate un viaggio a Platì, se riuscite ad arrivare. Il territorio presenta, in netta evidenza le lacerazioni subite da quell’evento, come da quelli successivi. Ben poco fu fatto. In più i dissesti alle vie di transito si sono aggravati. Non chiedetemi di chi è la colpa; di tutti. Non possiamo tirarci indietro, e non è solo l’assenza, che peraltro continua, dello Stato e delle sue istituzioni. Ammettiamolo, è stata l’incuria, fiduciosi che niente poteva accadere.
In questo momento se imboccate la statale 112, quando appena state per lasciarvi alle vostre spalle l’abitato di Natile, dovete camminare come lumache se ci tenete alla vostra automobile. Più oltre, lasciato Platì, non potete arrivare al Crocefisso, al Sanatorio o allo Zomaro. Continue voragini si aprono nella strada, abbandonata dal 1951, i cui lavori di ripristino, cominciati, non sono mai stati ultimati. Si è voluto progettare ed appaltare un arteria che promette e mantiene solo guai, e questo solo perché quelli di Careri non vadano più a mare a Bovalino bensì a Bagnara, come quelli di Palmi non vadano a San Ferdinando, nel golfo di Nicotera ma a Bianco.
Ora questa non è una critica, come poteva essere quella che Bertrand Russell faceva a Gandhi, intorno al 1940, quest’ultimo non voleva in India ponti, gallerie e ferrovie, perché non erano “naturali”.
A Platì, che senso ha coprire ancora di cemento la fiumara ed ettari di terreno quando si potevano sistemare definitivamente le strade già esistenti?
Ancora oggi, da quest’altra parte, a Ciurrame, si sono festeggiate, loro dicono commemorate, le vittime del 2 ottobre 2009. Nei discorsi dei prelati e politici niente è cambiato dal 1951 a Platì.
Dopo l'alluvione Platì fu visitata da Alcide De Gasperi all'epoca Presidente del Consiglio il quale disse: "Deve finire l'Italia di Platì". Ma Platì fu ancora colpita in maniera violenta dalle alluvioni del 1953 e 1958, che portarono ad un abbandono del territorio con decine di frane imponenti e mai sistemate.
La Natura è come Vittorio Gassman, nelle opere migliori si ripete sempre.
Nella foto: De Gasperi, lo zio Pepé appoggiato alla parete della casa con gli occhiali da sole e lo zio Ciccillo
all'ombra.
Eccoti accontentato, Francesco.