BOZZETTO CALABRESEPOTAMIA
LA CITTA' FRA I DUE FIUMIrivive
nelle vecchie leggende calabresi Platì, 30 dicembre.Poco
lontano da San Luca, su un’altura, si trovano i pochi ruderi rimasti
dell’antica città di Potamia, il luogo e solitario, di tanto in tanto frequentato
da qualche pastore che vi porta il gregge.Potamia
derivò il suo strano nome dall’Essere posta tra due fiumi; ma non per questo bisogna
confonderla con la Mesopotamia. Questa infelice posizione determinò la sua immatura
fine. Immatura, certo, perché stando alle testimonianze degli storici, Potamia ebbe
solo dieci secoli di vita: pochini per una città. Ma in
Calabria non bisogna lamentarsi; i paesi calabresi, infatti, sono destinati a
fare prima o poi, la medesima fine di Potamia, grazie alle azioni coordinate
delle alluvioni e della incuria dei governi. Eppoi, Pandore, l’altra antica
città calabrese, non visse soltanto tre secoli e mezzo!La
tecnica che i due fiumi seguirono per levare di mezzo Potamìa fu semplice e tradizionale:
scavare lentamente alla base il monte su cui era posata la città; le frane, a
poco a poco, ridussero questa un mucchio di pittoresche rovine.Un
tentativo di estremo salvataggio i Potamioti
lo fecero, prima di abbandonare le proprie case: cercarono di tirarsele
altrove per mezzo di corde; ma le corde erano di lana e si rompevano prima che
la casa si muovesse dalla sua posizione.Questo,
naturalmente, lo dice la leggenda. Potamia era una graziosa cittadina, fornita
di sindaco e di assessori municipali. Il sindaco era, a detta di tutti, una
gran testa; ma neanche gli assessori scherzavano.Un bel
giorno di aprile dell'anno 1543 (ma può darsi che sia stato anche l'anno 1654,
o l’anno 1948) il sindaco e gli assessori si riunirono nel palazzo del Comune,
per prendere gravi decisioni. Fu una seduta laboriosa; noi lo abbiamo appurato
attraverso un nostro conterraneo che aveva il nonno del nonno di suo nonno che
esercitava a quei tempi la professione di Testimone Oculare.Tra
gli altri provvedimenti presi, fu in particolare stabilito: di nominare un
vice-sindaco che sapesse fare la firma con lo svolazzo, giacché quello in
carica riusciva a malapena a disegnare le “o”- col bicchiere.Di
dimezzare lo stipendio allo spazzino comunale, poiché aveva preso moglie ed era
pertanto diventato “la metà” di questa.- Di
costringere gli abitanti a trovare amici presso le città vicine, in modo da
rinsanguare l’erario (si sapeva anche allora che chi trova un amico trova un
tesoro).- Di
sovvenzionare un viaggio del sindaco e degli assessori, che dovevano andare in missione
segretissima presso la vicina città di X. E con quest’ultima conclusione, la
seduta si sciolse.Il
giorno dopo, il sindaco e gli assessori partirono per la loro missione
segretissima;la
popolazione pianse un po' di commozione, e qualcuno fece un breve elogio
funebre, giacché, si sa, “partire è un poco morire”.Ma i
nostri eroi, inforcarono fieramente gli scalpitanti ronzini, e si avviarono giù
per la vallata.Sulle
montagne c’era un metro e mezzo di neve; ma gli amici si erano premuniti e avevano
lasciato a casa i mantelli e i maglioni, dopo aver bene ascoltato le previsioni
del tempo, alla radio. Non si venga ad obiettare che a quei tempi radio non ne
esistevano; abbiamo detto, infatti che la vicenda si poté svolgere anche nel
1948.Durante
il viaggio, ognuno taceva e badava a battere i denti dal freddo (si intende,
che ognuno batteva i propri).A un
tratto, il più piccolo di tutti, Levantino, ruppe il silenzio per chiedere a
Donizò, assessore anziano:- “Comparuccio,
mi spiegate un pò le ragioni di questa missione?”- Non
l’avesse mai mai detto; gli rispose un tale coro di zittii, che l’asino,
imbizzarrito, per poco non lo scaraventò a terra.- “Scemo”
- gli urlò sottovoce Donizò - “se noi sapessimo le ragioni di questa missione, essa
non sarebbe più segreta e potremmo tomarcene a casa. Tu vorresti tomare a casa,
dì?”- Ma nemmeno per sogno, compare” - si affrettò
a chiarire il malcapitato - “se tomo a casa perdo l'indennità di trasferta!E la
comitiva riprese in silenzio il suo cammino.Dopo
alcune ore di marcia, i potamioti sentirono un urlo di dolore, lacerare l’aria:
era caduta la sera. Tentarono premurosamente di rialzarla, ma non ci riuscirono
e stabilirono di trovare un luogo dove passare la notte.Per
fortuna erano arrivati davanti alla porta della città X.Qui il
sindaco si fece anzitutto un dovere d'informare gli assessori che la missione
era troppo segreta, perché si potesse sapere la ragione della sua fine.
Levantino tacque pienamente convinto.Ora
bisognava accamparsi per trascorrere la notte; ma dove?Entrare
nella città non si poteva perché la grande porta era stata chiusa; gli
assessori si rivolsero al sindaco per avere il suo parere; il sindaco non li
deluse. Stabilì infatti, che stare da una parte o dall`altra della porta della
città era la medesima cosa; bastava solo immaginare che l'esterno fosse dalla
parte opposta.Gli
assessori seguirono il consiglio e, coricatisi ai piedi della porta della città
di X, immaginarono che l'interno fosse dalla loro parte, e l'esterno dall’altra.I nostri
assessori, dunque, stavano saporitamente dormendo, quando si accostò a loro un
bello spirito che, dopo averli osservati un pò, si divertì a rifare loro i
connotati con l’aiuto di un pezzo di carbone. Figurarsi quando, la mattina, i
nostri amici si svegliarono!- “Tu
non sembri più tu; devi essere qualche altro”, - disse il sindaco a ciascun assessore.
E ognuno di questi a sua volta, fu concorde nell'affermare che il sindaco non doveva
essere lui.Ebbero
un bel consultare le rispettive carte d'identità; non ci si raccapezzarono più.Come
fare per sapere se erano ancora loro, o non fossero diventate altre persone?C’era
un solo modo: chiederlo ai Potamioti. E così decisero di fare. Tomarono sui
propri passi, finché arrivarono ad una
collina donde si scorgeva il paese e li si misero a urlare con quanto fiato
avevano in gola:- “Oh
gente di Potamia!” -I
Potamioti udirono il richiamo e si affacciarono sulla piazzetta del paese:- “Che
volete? Che volete? “ - risposero.- “Il
sindaco e gli assessori sono costà?” - urlarono di rimando i nostri eroi.-
“Gnura no, gnura no! !”Fu la
risposta, (signornò, signornò).- “Ah,
Formaggio! (era il protettore del
paese) - Allora siamo noi!” esclamarono rinfrancati il sindaco e gli assessori; e se ne tomarono a zonzo per il
mondo.Quando
la sera cadde di nuovo, si rifugiarono in una caverna per dormire. In questa
caverna ebbero la ventura di trovare un sacco; tutti vi infilarono le gambe e
si addormentarono beati.Quando
la mattina dopo si svegliarono, in mezzo a tutto quel groviglio di gambe, ognuno
stentava a riconoscere le sue; e stava per succedere un parapiglia quando, per fortuna,
passò di lì un boscaiolo. Avvicinatosi e saputa la ragione della disputa, si
fece da parte e tirò sul sacco una gran bastonata.- “Ah!”
- urlò uno della comitiva. E tirò subito fuori le proprie gambe.Il
boscaiolo continuò a tirare bastonate sul sacco; e, a mano a mano, ognuno
ritirava le proprie gambe. A poco a poco con si efficace metodo, fu appianata
la controversia. E gli amici ringraziarono di cuore il boscaiolo prima di
rimettersi in cammino.Mentre camminavano, (o, per
meglio dire, mentre i poveri ronzini camminavano e loro stavano a cavallo),
smarrirono la strada.I Potamioti non si
scoraggiarono. Abbordarono una donna che passava. - “Ehi, buona donna, sapete
indicarci la strada?”- “Dove dovete andare?” -
chiese di rimando l’interrogata.- “Dobbiamo andare a Zonzo”
- la informò il sindaco. La donna si strinse nelle
spalle e confesso di non conoscere tale città. La stessa risposta, gli amici,
l’ebbero da decine e decine di persone. Infine decisero di trarsi d'impaccio,
affidandosi all'esperienza e alla accortezza dei loro ronzini.Si accomodarono quindi in
sella e abbandonarono le briglia. I ronzini capirono l'antifona
e scattarono come frecce verso le stalle di Potamia; vi arrivarono in men che
non si dica, che la fame gli spingeva e li faceva camminare come refoli. Fu
così che il sindaco e gli assessori del Comune di Potamia poterono rivedere la loro
patria; e se ne allontanarono di nuovo solo quando le frane lo resero
necessario. Questa è la leggenda che
racconta le gesta della gente di Potamia. Michele FeraGAZZETTA DEL SUD - 30
dicembre 1955e successivamente, PLATI’,
rivista di Mimmo Marando, nov. 1996Le foto in apertura sono una cortesia di Rosa Cusenza che ringrazio.