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martedì 22 giugno 2021

L'albergo degli assenti [di Raffaello Matarazzo - 1938 ]

(…) Francesco Oliva istituì eredi, nell' usufrutto dei suoi beni il nipote ex frate Oliva Filippo e, nella proprietà, i figlii nascituri di lui, Filippo Oliva, prima di passare a matrimonio, con istrumento del 26 novembre 1903, assumendo la qualità di legale rappresentante dell'eredità, cede per L. 6233.85 a Mercurio Alberto, in pagamento di due debiti ereditari, il fondo denominato Sfalasi o Boschetto, compreso nell'eredità, ed il Mercurio con atto pubblico del 29 giugno 1919, vende lo stesso tondo per L. 15000 a Gliozzi Luigi, il quale, come le parti concordemente ammettono, dichiarò, mediante due scritture private in data di quel medesimo giorno di rimanere debitore di parte del prezzo, cioè di L. 2500, e di accettare il patto di riscatto, da esercitarsi nel termine di quattro anni.
«Con atto del 13 settembre 1919, il Mercurio dichiarò al Gliozzi che avendogli invano fatto premura, per mezzo del Notaio Ruffo, di addivenire alla stipula del riscatto, lo invitava a comparire nell'Albergo, Vergara Rosario, in Platì, dinanzi al Notaio che sarebbe stato all' uopo richiesto, per procedere al riscatto, previa ricezione delle L. 12500 e, pel caso di rifiuto, lo citava a comparire innanzi al Tribunale di Gerace, per sentirsi condannare all' immediato rilascio del fondo, al pagamento dei danni ed alle spese. Il Gliozzi non si presentò all'Albergo anzi detto nell' ora stabilita ed il Mercurio fece ciò constatare con atto notarile, dopo di che però non diè corso alla citazione dinanzi al Tribunale, trascurando di far iscrivere la causa a ruolo.
Successivamente Lentini Maria, vedova di Filippo Oliva, (il quale l'aveva sposata dopo la vendita del fondo Sfalasi e ne aveva avuto quattro figli, di cui tre viventi ed un altro a nome Pasquale Maria Raffaele morto il 21 luglio 1906) con atto del 16 ottobre 1919, tanto in proprio nome che in qualità di rappresentante i tre figli viventi, conveniva dinanzi lo stesso Tribunale di Gerace il Mercurio e il Gliozzi, e chiedeva che, in loro confronto, si dichiarassero nulle ed improduttive di effetti giuridici le due vendite anzi cennate del fondo Sfalasi pel motivo che, in quella da Oliva a Mercurio, mancava la necessaria autorizzazione del Tribunale, e nell'altra da Mercurio a Gliozzi mancava nel venditore la qualità di proprietario; sicché Gliozzi doveva essere condannato a rilasciare il fondo, in un termine perentorio da stabilirsi, a pagare i frutti percepiti, dal giorno della dimanda fino al rilascio ed a rimborsare le spese del giudizio.
«Gliozzi, con atto del 7 marzo 1920, chiamava in garenzia il Mercurio, chiedendo ch'egli fosse condannato a rilevarlo dal peso della lite, e, in ogni caso, a restiluirgli il prezzo di lire 15 mila ricevuto, e ciò sempre che l”istanza della Lentini, che anch'egli intendeva contrastare, venisse accolta.
(…)

- Estratto dalla relazione del Consigliere  Comm. ZAPPAROLI nella causa Gliozzi contro Broussard discussa il 17 novembre 1924 presso la Corte di Cassazione del Regno –2a Sezione.

- Ricordo ancora una volta che l'umiliante causa tra il nonno Luigi e l'avvocato Mercurio si trascino per oltre un trentennio.

- Da oggi ho inserito nel blog una nuova etichetta chiamata Storia dell Famiglia Oliva che a breve aggiornerò con quanto fin qui pubblicato.

- La foto in apertura ritrae la facciata della calzoleria del nonno Rosario trasformata nella metà degli anni 50 in bar. Attività che papà svolse fino alla metà degli anni 60 con annessa ricevitoria del Totocalcio.

giovedì 17 giugno 2021

Sette note in nero - Rivali in copertina


Devo le copertine in apertura al Gentilissimo Signor Saverio Liardo che continua con accanimento le sue ricerche su Mons. Mario Sturzo (1861-1941) già vescovo di Piazza Armerina EN e fratello del fondatore del Partito Popolare Italiano. Il Signor Liardo era intervenuto con un commento qui:
interessato alla recensione del libro Rivali da parte di Francesco Portolesi (1883-1951) apparsa sulla rivista  LA SCINTILLA di Matera il giorno di San Valentino del 1904.

 

venerdì 11 giugno 2021

Aspromonte la terra degli ultimi [di Mimmo Calopresti - 2019 ]

È tempo di demitizzare un’era e un luogo onde costruire un nuovo mito. James Ellroy

Signore oppure brigante?

Caci e il suo Aspromonte

 

Rachele Gerace

Non c'è ricchezza più grande dell’appartenenza e non c'è storia di platiese che possa essere descritta da altro sangue». Raccontare la storia di una terra - al di là dei luoghi comuni e di quei “pregiudizi” che rischiano di distogliere l’attenzione da una realtà fatta di tradizioni e suggestioni, fra colori, sapori e suoni – non è cosa semplice; ci vogliono passione e tanto coraggio. “Sull'onore nostro. Saluti da Platì Aspromonte" (Città del Sole Edizioni) è la seconda prova narrativa di Michele Papalia, avvocato 35enne di Platì con la passione smisurata per la lettura e la scrittura.
Quattro anni dopo la pubblicazione di “Caci il Brigante”, l'autore torna a 'raccontare del suo paese, Platì, nel cuore dell'Aspromonte, attraverso le vicende di Ferdinando Mittica detto “Caci” ricostruite grazie a una capillare ricognizione di documenti, saggi e poche testimonianze degli anziani del posto.
Protagonista di storie inverosimili, pronto a essere tutto e il contrario di tutto - signore o brigante, filoborbone o liberale, galantuomo o malandrino - Caci simboleggia la Calabria de- gli anni 20, del secolo scorso, un “topos” storiografico, sociale e letterario che l'autore tenta di trasfigurare. E sembra esserci riuscito attraverso un'attenta e rispettosa analisi, grazie alla quale riscopre luoghi e leggende, muovendosi abilmente tra i palazzi e le vie del paese, i passi e le rocche fra i boschi dello Zillastro.
Amante appassionato della letteratura, Papalia non fa mistero della sua devozione ad autori come William Faulkner e Roberto Bolaño, a cui cerca di ispirarsi per uno stile narrativo (soprattutto nei dialoghi) asciutto e senza orpelli. Come afferma l'amico e cultore Luigi Mittiga, “Sull'onore nostro” è «anche il diario del processo di emancipazione di un popolo che lascia il passato per affrontare l’integrazione nell'età contemporanea». Il sottotitolo, “Saluti da Platì Aspromonte”, incastonato in una cartolina, è il riscatto “in termini" di un paese simbolo della frugalità dell'epoca, con le classi sociali racchiuse nell'immagine dei signori “dal ventre grasso”, dai loro vizi privati e dalle virtù pubbliche, alla quale si antepone un popolo che sopravvive tra gli stenti. Eppure quell' “onore”, declinato in tutte le forme, onnipresente, faceva apparire ogni cosa straordinariamente normale.
GAZZETTA DEL SUD, 1 dicembre 2020

 

 

SULL'ONORE NOSTRO from gino on Vimeo.

mercoledì 9 giugno 2021

Avventura in montagna [di Charles Lamont - 1943]

Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla.
 



BOZZETTO CALABRESE

Gita sull’Aspromonte

Platì, 21 aprile
 Dopo molti giorni di pioggia ininterrotta bruscamente spuntò il sole. Naturalmente ci ritrovammo tutti sulla strada a godercelo quel sole caldo che ti liberava dalla prigionia delle pareti domestiche e tutta la valle si beava con noi di quell’improvvisa inondazione di luce.
Seduto sul muro d’un ponticello Ciccio Donarom canticchiava tra sé con un perfetto senso del ritmo: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
A un tratto proruppe: farei volentieri una mangiata di funghi! E ci guardò in faccia illuminato; il dado era tratto: la gita ai funghi si organizzò lì per lì. Un’ora dopo eravamo in marcia verso le alture dell’Aspromonte. Superato il primo momento di stanchezza camminammo automaticamente sul ritmo che Ciccio Donarom ci segnava gentilmente: «Natatinni natatonni natatinni tonni tà». Ci arrestammo soltanto quando udimmo: il grido del maestro X che si accompagnava «- Rrigàmundi, cotrari, ca ncignaru a cumpariri!!». E si Ianciò con sacro zelo verso una grande macchia bianca, che si intravedeva nell'erba, a qualche passo di distanza, tornò deluso «- Era, nu pitaraci!». Non avemmo tempo di ridere del suo insuccesso perché già si era impadronita di noi la febbre del fungo.
La zona era infestata di quei; «Pitaraci. Si chiama così nei nostri luoghi una qualità di fungo che pur non essendo velenoso non è raccolto da nessuno perché di gusto sgradevole al palato; Cicclo Donarom per la stizza aveva smesso di canticchiare.
Ad un tratto lo vedemmo guizzare come un’anguilla verso un branco di mucche che pascolavano poco lontano: strappò qualcosa dal muso di una di esse urlando: «Pòsa, sdisonesta, pòsa!!». Intuimmo la tragedia e accorremmo all’arrembaggio; riuscimmo a ricuperare solo tre o quattro chili dell’enorme fungo porcino che la mucca aveva trovato e li distribuimmo equamente nei vari panieri, secondo il merito che ognuno di noi aveva avuto nel... combattimento.
Le mucche sono ghiottissime dei funghi e li scovano con un’abilità sorprendente. Avvistammo poco più in là un’altra del branco che mangiava qualcosa molto soddisfatta; ci precipitammo: era un enorme fungo, come avevamo previsto; solo che la presunta mucca era un toro il quale ci guardò con occhi tutt’altro che amichevoli: inducendoci a desistere da ogni tentativo bellicoso. Ci dovemmo contentare di assistere all’ingloriosa fine di quel povero fungo, standocene a rispettosa distanza. Quando le mucche abbandonarono il campo, questo era... sgombro nel vero senso della parola.
Continuammo il cammino verso mete più alte; arrivammo sui piani Aladi, e da qui ci trasferimmo sui piani di Zervò dalle fittissime faggete. Appunto in una cli queste faggete ci accorgemmo che nel gruppo non c’era più ’Ntoni Conio; lo cercammo per ogni dove sapendo che in mezzo a quegli alberi foltissimi era facilissimo spedersi ma senza risultato. Chiamammo; gridammo ma di ’Ntoni Conio nessuna traccia.
Ce lo vedemmo tornare tutto allegro dopo una mezz’oretta, e tutto... infungato dalla testa ai piedi: funghi gli spuntavano dalla giacca, dal cappello e perfino dai pantaloni, Aveva trovato una macchia letteralmente coperta di funghi q aveva pensato bene di non farne parola con nessuno; Ci promise di indicarcela solo se gli avessimo ceduto due delle nostre ceste per riporvi tutto quel ben di Dio dato che non sarebbe potuto tornare a Platì conciato in quel modo, che pareva una fungaia.
Dovemmo capitolare, sul luogo che ci indico erano rimasti molti funghi velenosi che riconoscemmo subito perché non erano morsicati dalla limaccia. Il segno inconfondibile dal quale noi riconosciamo la qualità mangereccia o no dei funghi, è il morso della limaccia che si trova solo sui funghi buoni; ’Ntonl Conio questo non lo sapeva e rimase molto male quando gli svelammo, tra le grandi risate che le sue ceste erano piene di funghi avvelenati. Dovette vuotarle tutte e tre; e noi per vendicarci lo lasciammo tornare a Platì con la cesta vuota.
Una fame impreveduta, intanto comincio ad attanagliarci le budella; dovemmo fermarci presso un recinto di capre a chiedere qualcosa ai pastori. Ci diedero del pane nero e secco che c'i sembro ambrosia e continuammo il cammino addentandolo con avidità.
S’era fatto tardi, ma chi se ne accorgeva? Si badava solo ai funghi; era come una specie di competizione, a chi ne raccoglieva di più.
La sera ci sorprese a molti chilometri di distanza dal paese e solo alle dieci di notte potemmo rientrarvi; Ma prima di salutarci, dividemmo fraternamente tra noi gli ottimi funghi che Ntoni Conio aveva buttato via dalle ceste credendoli avvelenati.
Ciccio Donarom canticchiava soddisfatto: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 aprile 1956
 

Ciccio Donarom era già apparso qui:

sabato 5 giugno 2021

Una visita [di François Truffaut - 1954]




Accompagnata dai miei due “Virgilii” Mimmo Catanzariti e Mimmo Criaco, ho visitato alcune case di Africo Nuovo per fare delle interviste. Ho così conosciuto delle persone squisite: Andrea Stilo, classe 1932, e sua moglie Giovanna Criaco, classe 1936; Antonia Leggio, classe 1939; Gian Battista Strati, classe 1946 e infine Costantino Criaco, professore di matematica, che ha insegnato anche a Platì, appassionato poeta e storico del proprio paese. Abbiamo conversato e ascoltato il professore per più di un’ora durante la quale ci ha mostrato anche i tre libri che ha scritto sulla storia antica e recente del paese:

“Africo - Storia e tradizioni, leggenda e fantasia, per amore e cortesia, di Africo terra mia”, storia in versi.

“Africo: terra mia”, storia del paese.

“Africo: terra mia. Parte Seconda” con racconti, storia e ricordi.

Con mia grande sorpresa, ha voluto omaggiarmi dei tre volumi che ho scorso velocemente e che leggerò con grande interesse. La storia di Africo che certamente risale al neolitico, visti alcuni interessanti reperti ritrovati dopo l’alluvione del 1972 fra cui un rosone di pietra, si ferma, almeno nel suo sito originale, nel 1951 a seguito dell’alluvione.

Testo Rosalba Perri

Le foto di apertura e quella di Africo Vecchia appartengono a Costantino Criaco e sono incluse nei testi citati.

En Regalia le pesche di Frank Zappa

martedì 1 giugno 2021

Addio mia bella signora [di Fernando Cerchio - 1954]

“Gino ... ci perdiamo da vivi e poi ci andiamo a cercare tra le carte impolverate... non è strano???”. Marilisa 



 La storia di Mariolina Mittiga, venuta a mancare la sera del 30 maggio, scorso è comune alla maggior parte del diffuso popolo platiese che vive fuori dalle mura native. Oggi il vero paese è altrove e il cordone ombelicale che unisce quel popolo alimenta soltanto ricordi mediatici. Mariolina era nata in seno ad una famiglia talmente importante quanto dimenticata da chi a Platì oggi vive. Ultima in ordine di arrivo su questa terra, con la maturità ebbe in sorte quell’ esodo quasi obbligatorio che colpì anche le sorelle e il fratello e non risparmierà in tarda età i genitori. Rispetto gli altri non andò lontano avendo sposato un rinomato oculista bovalinese: il dott. Rosario Catanese. Per essere più chiari Mariolina era nata da Giuseppe Epifanio Mittiga e Maria Antonia Zappia. E volendo essere ancora più aperti dirò che Giuseppe Epifanio Mittiga, zio Giuseppino, è stato un luminare della medicina ed in paese esercitò come nessun altro la professione di chirurgo, ginecologo, ortopedico, ufficiale sanitario doti unite a quelle di musicista e primo fotografo platiese. Le sue specializzazioni in medicina gli servirono a salvare numerosi feriti, anche in modo anche grave, fra gli scampati al disastro che colpì il paese nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1951, trasformando la sua abitazione in un vero e proprio ospedale da campo. Caterina (Nella), Lisa, Rocco e Mariolina quel genitore lo hanno adorato, come anche lo hanno adorato i suoi nipoti.

Nella foto in apertura Mariolina è alla vostra sinistra, accanto a lei Pina Miceli.