E dire che se fossimo rimasti qui
tutti noi giovani e ci avessero dato lavoro e gli strumenti necessari, avremmo
creato di questa terra il più bel giardino del mondo. Basterebbe costruire
bacini per irrigare i campi: potremmo fornire agrumi e ortaggi a tutta
l’Europa, e olio e vino; profumi e latte e miele. Invece ora è tutto
abbandonato a se stesso.
A pensare la vita di anime morte
che abbiamo vissuta, provo l’impulso di urlare. Non c’è stato un cane che ci
abbia dato una mano, che ci abbia indicato una strada. Abbiamo dovuto fare
tutto da noi: svecchiarci, trovarci una sistemazione, diventare uomini di oggi
mentre eravamo vecchi di mille anni. Abbiamo creato benessere, abbiamo
introdotto nuovi fermenti in questo mondo decrepito. Tutto abbiamo fatto
noi,tutto è uscito dalla nostra pelle. Potremmo cantare vittoria a gola aperta
dal piacere di aver vinto nel breve giro di vent’anni … Ma quei brutti giorni,
interminabili, scuri come la pece, sono dentro di noi.
Saverio Strati, Noi Lazzaroni, Arnoldo Mondadori
Editore, 1972
NOTA: Penso che, a dispetto delle citazioni, il libro di Strati, come
le riflessioni e, peggio, la scrittura, siano invecchiati. Sarebbe giusto
chiederne conto agli interessati soggetti del libro, gli emigranti, dal momento
che si trovano in vacanza nelle loro contrade in festa; e forse, su tutto, ci
starebbe bene un convegno sull’attualità di Strati: del suo narrare, del suo
evolversi (se c’è) dopo tanto tempo.
Nella foto la famiglia della zia Iola, sposata Tripepi, in Mishawaka e dello sceneggiato, cui riportano le note, vorrei ricordare il grande Mico Cundari.
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