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venerdì 18 maggio 2012

Harvest, in fine


Sergio Leone a Taormina (foto Mittiga)


L’amore per Sergio Leone si intensificò irrimediabilmente dopo la visione di Giù la testa al Garden.
Prima di questo film, il regista cercò in vari modi di realizzare C’era una volta in America con viaggi inconcludenti negli States - posso dire di aver seguito passo dopo passo la gestazione di questo capolavoro del tempo perduto -le sceneggiature si susseguivano con gli sceneggiatori: la prima versione che doveva essere prodotta da Alberto Grimaldi portava il nome di Norman Mailer ed era completamente diversa e prevedeva tutt’altri attori.
Agli inizi degli anni ottanta il progetto si concretizzò, gli sceneggiatori erano quelli giusti, il nuovo produttore era ansioso di lavorare con Leone e l’attore era l’ideale per quel copione. Riuscite a immaginare quell’opera senza l’attore di Taxi Driver e Il cacciatore ?. Robert De Niro si può annoverare con tutti i diritti tra gli sceneggiatori del film senza aver preso parte alla sua stesura.
Il film arrivò nelle sale italiane in autunno. Lo vidi per tre volte all’Aurora di Gianni Parlagreco, lui conosceva la mia idolatria per Leone, e dopo lo rividi ancora per tre volte in altre sale. Misurando la sua durata posso dire di aver speso una giornata di ventiquatt’ore per la sua visione.
Il cinema era morto e sepolto e C’era una volta in America il suo necrologio.
Nel luglio del 1985, a Taormina il sogno diverrà realtà: una sera al Tout va, su segnalazione di Carlo Fichera, proprietario con i fratelli del locale, dove mi recavo con Adolfo per delle video proiezioni, potei incontrare Sergio Leone. Emozionato, come davanti al Messia, al momento di lasciare il locale, vi era giunto con la famiglia; avvicinandomi, gli sussurrai “Maestro!” e lui con un leggero schiaffo sulla guancia destra mi impresse il sacramento della cresima che ancora non avevo avuto, con buona pace dello zio Ernesto, dicendomi: “ come va caro ?”.
La sera successiva, al Teatro Greco, l’emozione si rinnovò: sempre per Carlo Fichera, riuscii ad avere il pass di fotografo e stando sotto il palco potei avvicinare, la prima di una serie di volte, maestro Morricone, dove assieme a Leone, Tonino Delli Colli e Carlo Simi, doveva ritirare il Nastro d’Argento per quel capolavoro.
Ci saranno ancora molti film da vedere, non più nella prima fila, al centro della sala.
Accanto alla persona amata ero un’altro, che stava per diventare un altro ancora, diverso dal bambino che entrava al cinema Loreto come per andare in chiesa, pieno di aspettative  su quanto avrebbe visto sullo schermo e uscendone, correva per le vie del paese per giocare al film visto.
Il cinema era l’immaterialità, era l’anima, l’amore e chi lo innescava mi hanno catapultato nella materialità della terra. Amore è la terra. Quella vaghezza delle immagini mosse che creava spiriti non esisteva più, oggi è ora, dove non esistono anime e non ne esisteranno. Domani saremo niente e niente rimarrà di noi, peggio, perché chiusi in una cassa di zinco non potremo scomporci, anche per l’immane ingestione di sostanze conservanti contenute nei cibi preconfezionati, e ritornare nuovi, come il film che arrivato alla fine, viene riportato, dal proiezionista, all’inizio di una nuova proiezione.
E’ stato bello sognare di sognare il sogno di Noodles.
Non ho smesso di andare  a letto presto.

“Di notte gli anni tornano e si mettono
appollaiati attorno al mio letto
Walker Percy L’uomo che andava al cinena




Fine

giovedì 17 maggio 2012

The Lovecats - The Cure






Le foto sono di Salvatore Carannante


mercoledì 16 maggio 2012

Prima di partire (reg. Amleto Palermi - 1938)



Platì  1 – Ottobre -  1966

Caro zio Peppino,

Caro zio Peppino, spero che la presente vi trovi in ottima salute, noi tutti in famiglia stiamo bene, il nonno e la nonna vi pensano sempre e sono in pensiero perché da tanto tempo non ricevono vostre notizie, anche mio papà aspetta la risposta della sua lettera.
Caro zio vi faccio sapere che parto per Messina per scrivermi nel seminario, io di la vi scrivo e vi  mando il mio indirizzo ora vi salutano la nonna e il nonno e vi mandano la Santa Benedizione, caramente vi salutano i miei genitori, Saro, Maria e Gianni ed io dicendomi vostro affezionatissimo nipote
GINO

Porgete i nostri saluti a Rosario Morabito e famiglia, e per parte mia a S. e fratelli

martedì 15 maggio 2012

Quando erano giovani (reg. Edward H. Griffith - 1941)

May your hands always be busy,
May your feet always be swift,
May you have a strong foundation
When the winds of changes shift.
Bob Dylan



Riconosco dei volti ma non i loro nomi, gli unici  a me noti sono quelli di un giovane 
don Umberto e papà, cui il vento sembra giocare con la coppola,il serro che scende gradatamente verso Cirella su cui i giovani sono sdraiati e l'Aria du ventu alle loro spalle.
Era certamente una domenica primaverile a Platì.

lunedì 14 maggio 2012

Il prefetto di ferro (reg. Pasquale Squitieri 1977)


Il Sotto Prefetto
Del Circondario di Gerace
Vista la domanda presentata dal Rettore Spirituale della Chiesa del SS. Rosario con la quale chiede il permesso di eseguire nel comune Platì una questua per assegnazione due dotalizi a due fanciulle povere del comune.
Poiché il richiedente risulta di buona condotta morale e politica:
Letto l’articolo 84 della legge
Concede
Al soprannominato Rettore Spirituale il permesso di esercitare nel territorio del comune di Platì ed a mezzo del nominato Rettore da colà una questua allo scopo suddetto.
Si fa inoltre obbligo al richiedente che tale questua non potrà essere fatta in tempo di notte per le vie pubbliche e che è vietato introdursi nelle case dei privati senza il consenso dei proprietari.
Tale questua è valida fino al 30 Aprile 1914 ed il presente permesso potrà essere revocato prima per misure d’ordine e sicurezza pubblica.
                                                                    Gerace 21 Ottobre 1913
                                                                                    Il Sotto Prefetto
                                                                                       Macrì

mercoledì 9 maggio 2012

La zia d'America (reg. Roberto Bianchi Montero -1956)




Genero Carissimo
Dopo tanto lungho silenzio abbiamo ricevuto la vostra gradita lettera. E nell’egerla ci siamo consolate molto che godete tutte ottima salute, e lo stesso vi possiamo assicurare da tutti noi.
Riguardo al matrimonio di Rachelina noi siamo tutte contente, perché conoscevo la famiglia, e a lue lo ricordo poco perché quando partì lo lasciai bambino.
Non potevo sognare mai che quel bene che lo volevo … dopo trascorse tant’anni mi si deve centuplicare.
Di più saremo contente che Ciccio a detto che sarà un bel giovane e molto d’abilità per il commercio.
Di questo eravamo sicure perché voi sarete uomo di molta esperienza. E se vi sembrava che non sara un giovane per come lo merita Rachelina, voi non avreste accettato a tutto ciò.
Poi ci affidiamo a Dio che lue sarà Padre di misericordia, e speriamo che le consola come desira il nostro cuore. Di sentire che avete messo la prima figlia a stato con le grandezze da noi desiderate.
Ma sentire che la dovete mandare fuore dal paese ma per il suo bene bisogna fare qualsiasi sacrificio.
Poi Bovolino non sarà molto distante. Veramente il vostro e nostro desiderio, era quello di averla anche vicina di casa. Perché noi lo sappiamo che Rachelina e Rosina saranno figli invidiate da tutte. Meglio essere invidiate. Per lo meno abbiamo questa grande gioia. Bensì che la lontananza ci a separate così di non aver la gioia di vederle di presenza, abbiamo questa grande gioia che tutte raccontano lode dai vostri figli, su tutti i punti di vista.
Siamo molto dispiaciute che dato i tempi che si attraversano, con tante migliaia di lire che avete fuori non possiate fare i vostri comode.
A noi ci dispiace molto che dato che fu un acclise mondiale, ne anche possiamo fre un dovere che ci chiamava. Di mandarve un  po’ di moneta di sollevarve in qualche modo, dato i tempi che si attraversano e dato che sarà la prima figlia che mettete a stato.
Vostro suogero sarà dal mese di marzo che si trova sensa lavoro, dato che sarà uomo grande, Perché se lue lavorava, potevo prendere a qualche parte qualche poco di moneta e di mandarvela.
Vi dico che giorni or sono abbiamo ricevuto un lettera di Sante. Che l’abbiamo molto gradita.
Ci siamo molto consolate che mi dite che qualche giorno manderete le fotografie. A desso sono contenta, perché a voi vi credo. Perché a Mariuccia sono anni che la prego come se fosse che prego a Dio e non si degnò a mandarmele.
No altro vi ricevete i salute di Antonio e famiglia di Rosario e famiglia, saluteremo tutte a Sante
Vi saluta Peppina e bacia tutte i figli e noi tutte baciamo caramente i nipoti, saluto la madre di Sante a voi assieme a Mariuccia vi abbracciamo di vero cuore dandove la S. S. N. e credeteme per sempre

Vostra affem suogera
Rosa Cosenza
Rosa Cosenza era la la mamma di nonna Mariuzza ed il genero nonno Rosario la lettera dovrebbe risalire ai primi anni '40


martedì 8 maggio 2012

La Vergine della montagna


Questo filmato, molto rimaneggiato per l’occasione e tinteggiato da una musichetta che segue quella folla festante attorno al simulacro della Vergine, è dedicato alla memoria di don Giosofatto Trimboli di Platì, Superiore al santuario di Polsi, morto un po’ di anni addietro. Altri sacerdoti platioti ricoprirono quella carica tra cui don Giosofatto Mittiga ai primi del novecento. Presso il santuario prestò servizio nei primi anni ‘50 anche lo zio Ciccillo, che coadiuvava mons. Pelle allora Superiore, e in vario modo anche gli zii Ernesto senior e junior.
Qualcuno vide in quelle espressioni di giubilo forme di idolatria e paganesimo e cercò di censurare tanto ardore con bolle e privazioni, non conoscendo, per non essere figlio della nostra terra, il dramma interiore di quanti vi accorrono per cercarvi soccorso.
Prima della sua scomparsa don Gesufattinu  aveva cercato, con studi, convegni e mostre fotografiche, di far uscire il santuario dal suo circoscritto territorio aspromontano e ricollocarlo in un ampio contesto che abbracciava tutti i luoghi dove avvenivano tali manifestazioni di fede.
Certamente il suo maggiore obiettivo era quello di rispondere a quanti continuano a bollare quel luogo come il santuario del crimine e dei criminali.
Malauguratamente  questa reputazione negativa la fece sorgere Mario Camerini quando alla fine de Il brigante Musolino,  Amedeo Nazzari fa la festa ai suoi nemici proprio in un improbabile Polsi che aveva le fattezze, invece, di quelle del santuario di Paola.
A nord di Ciurrame,  e precisamente nella chiesa di san Nicola di Bari, di fronte il lago grande di Ganzirri, si trova una copia della statua della Madonna di Polsi e da lì ogni anno un nutrito numero di pellegrini partono in barca fino a Scilla per recarsi a Polsi, valicando a monte di Bagnara.
Termino consigliando alcuni testi per capire quanto accade o è accaduto a Polsi : innanzi tutti Il ramo d’oro di John G. Frazer e Totem e tabù di Sigmund Freud, quindi, Emigranti del carerotu ( di Careri) Francesco Perri ed i racconti del cosentino Nicola Misasi. Il libretto di Corrado Alvaro, Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia del 1921, mia impressione questa, è troppo infarcito di misticismo adolescenziale e per niente assimilabile alle opere della maturità del santulucotu ( di San Luca), tutte piene di sfrenati ardimenti giovanili e senili.
 


lunedì 7 maggio 2012

Non solo chiacchiere - atto secondo

 a gentile richiesta anonima, le fave




e la loro giusta fine

venerdì 4 maggio 2012

Chiamami Aquila (Michael Apted - 1981)



Al Reverendissimo Sacerdote Ernesto Gliozzi

Di monte in monte la tua sacra lira
De l’aquila il gran volo sospirando
Di là de l’Orsa col suo volo a spira
A l’infinito giunge, a Dio cantando

Di gloria gl’inni a cui salire aspira
L’alma tua eletta degna d’Ildebrando
Pel tuo rigor nel tempio, cui ammira
Popolo e Dio, sempre Te lodando.


Tra quei monti torreggia il tuo Parnaso,
su cui dai vanni d’oro la tua musa
gl’increduli in credenti ha persuaso.

Così di diva luce circonfusa
L’etica poesia senza occaso,
onde Te rinomanza non ricusa.

                                                                     Vicenzo Papalia

Un giorno dovrò pur scrivere sul dottor Vincenzo Papalia, autore di poesie e dell'unico romanzo autobiografico uscito da Platì, amico dello zie Ernesto sen., nonché medico della famiglia Gliozzi tra la fine dell'800 e i primi del 900.

giovedì 3 maggio 2012

Primo maggio rosso (reg. Chris Marker - 1967)



She wore a red ribbon

Il 1° maggio passoi* come tanti altri primo maggio.
Anni addietro si partiva per manifestare accanto alla classe operaia, ora che anche questa passoi si parte per invadere montagne, campagne e qualche marina.
Negli anni della mia infanzia a Platì si usava celebrare questa festa.
Platì nella vita quotidiana era due paesi, ancora adesso è così: quello della Chiesa di Maria SS. Di Loreto e quello del Municipio, due entità distinte che non collaborano, se non per gli atti di matrimonio.
In quella mia lucente infanzia il municipio era condotto dal Partito Comunista che aveva per simbolo una spiga: “ spica, spica ta iettammu a ressccia “. Non ho mai capito a cosa si riferisse , ma era un detto che circolava per le strade del paese in bocca ai sostenitori della spiga. La Camera del Lavoro era un po’ la lunga mano dei reggenti il municipio.
Municipio e Camera del Lavoro per la ricorrenza del 1° maggio si sostituivano alla chiesa imitando quella che era la festa  della Madonna du ritu o di santu Rroccu.
La banda, i cui musici portavano attorno al collo un fazzoletto rosso – she wore a red gibbon per chiosare John Ford -, faceva il giro del paese  alternando nelle sue esecuzioni  Brunetta, la mia preferita di sempre, Bella ciao, Andiamo a mietere il grano, L’internazionale, Bandiera rossa. Secondo me Mira il tuo popolo era pure molto appropriata se eseguita bene in forma di marcia, per via della parola popolo compresa nel titolo, se non per il fatto che per quella ricorrenza vi era stato fatto coincidere un improbabile San Giuseppe lavoratore;  di certo il motivo sarebbe apparsa blasfemo a quelli della spiga.
Compariva anche qualche bancarella di giocattoli o calia.
A sera dopo una sommaria processione,  in testa i rappresentanti la giunta comunale e la Camera del Lavoro, per la via XXIV maggio, con la banda che strombazzava Bandiera rossa ci si recava alla “cresiola” dove sorgeva un palco che ricordo con molto incanto: non era quello tutto colonnine, merletti, luci ed un luccicante lampadario al centro,  su cui si esibiva la banda in uniforme di gala, la sera del sabato o della domenica nella ricorrenza della Madonna o di San Rocco e da cui provenivano le note di famose sinfonie o arie d’opera, era molto più modesto ma abbellito con gusto popolare.
L’impalcatura, di forma rettangolare,  era di neri tubi innocenti , il piano di tavoloni lunghi quattro metri, provenienti da qualche cantiere portavano tracce ben visibili di cemento e calce. Un semplice addobbo lo rivestiva: alti rami fioriti di oleandro  recisi lungo “u drittu filu”. Il rettangolo era illuminato da normalissime  lampadine appese alla piattina che portava la corrente per accenderle.
Li sopra  all’imbrunire si esibivano i portavoce della Camera del Lavoro e del Partito che venivano dai comitati provinciali reggini. Come in tutti i tempi, solo promesse e buone intenzioni.
In fine per allietare il popolo  se non era la banda che saliva per intonate canzoni popolari e tarantelle ci pensava qualche urlatore/urlatrice, anch’essi reggini,  con altre promesse e buone intenzioni di tutt’altro genere e contenuto.
Anni prima, nel buio dei miei primi anni, subito dopo i comizi c’era la proiezione cinematografica in piazza mercato. Le immagini, di sicuro film sovietici in rigoroso bianco e nero, come il ricordo,  uscivano, incantandomi , da un furgoncino adibito per questo scopo su cui era montato il proiettore. Le immagini andavano a riflettersi sul bianco telone montato sopra la piccola bassa costruzione  che recava la scritta mercato.  La piazza mercato era gremita unicamente di uomini, i più fortunati erano appoggiati alle inferriate dei balconi che circondavano la piazza e da cui si affacciava  qualche rara donna.
Anche quel cinema passoi , e quell’ indimenticabile piccolo mercato.

 * passoi è termine in uso nella provincia tirrenica messinese per indicare materia e tempo ormai svaniti irrimediabilmente.