Frate Barlaamo*
Con ne l’anima il cuore di Basilio
E su l’omeri il saio, fra Barlaamo
Risalpa dal suo dolce e lungo esilio
Delle bellezze italiche al richiamo.
Reca soave idioma di Virgilio
Dall’Ellade superba, un verde ramo
Tolto ai sacri laureti, presso Samo,
usi ai Grandi d’ornar la fronte e l’ilio.
Di Fiammetta e di Laura agli amanti
Reca il tesor d’Euripide e d’Omero
E della dolce Saffo i freschi canti…
Poi, lasciando Avignone, il frate austero
L’infula di Suera – al greco colle –
cinge e per Locri il nome suo s’estolle.
*Barlaamo, greco, maestro di Petrarca, Vescovo di Gerace.
Sac. Ernesto Gliozzi sen
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Sac. Ernesto Gliozzi sen
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questa disgressione è dedicata a Francesco Violi di Raimondo che cerca soggetti per la sua tesi di laurea:
Abbiamo già fatto menzione di quel Barlaamo dal quale il Petrarca cominciò ad apprendere il greco. Greco di nascita egli non era, anzi era oriundo di Seminara, non lungi da Reggio Calabria e si chiamava in origine Bernardo, non avendo mutato il nome che quando entrò nell'ordine di San Basilio. Ma poscia era andato assai presto in oriente, non tanto per imparare il greco e poter leggere Aristotele nel testo originale, quanto per mettere in evidenza, divorato com'era dall'ambizione, la sua dottrina e farsi scala e salire alle maggiori dignità ecclesiastiche. Egli si recò nell'Etolia e poi a Salonicco, allora sede principale degli studi, e da ultimo a Costantinopoli, dove nel 1331 divenne abate di un monastero. Quivi iniziò una contesa durata molti anni coi monaci del monte Athos intorno alla grande questione di tutti i teologi greci sulla luce del Tabor, se fosse divina o mandata da Dio, e si tirò addosso tanto odio che dovette abbandonare Costantinopoli e tornare a Salonicco. Sino dal 1333 poi egli ebbe parte nelle trattative che furono condotte per la riunione della chiesa greca colla latina, e appunto in tale missione il Petrarca lo imparò a conoscere ad Avignone nel 1339 e si adoperò affinché Barlaamo venisse nominato vescovo di Gerace.
Barlaamo passava innanzi tutto per teologo. Non è facile determinare le sue conversioni e il loro tempo, specialmente perché i suoi scritti polemici non sono stati stampati che in parte. Sembra però che egli dapprima appartenesse alla confessione latina e che abbia anche scritto in difesa di questa contro le dottrine greche, che poi in Grecia abbia abbracciato queste ultime e scritto contro i latini, per poscia tornare, dopoché si trovò a contatto coi papi, a difendere con tutto l'ardore di un neofita la dottrina ortodossa di Roma intorno al primato della chiesa romana e alla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliolo. Ma oltre a ciò egli ha scritto anche parecchi libri di filosofia morale, di aritmetica, di geometria e di musica. Per tal modo egli era un vero dotto alla maniera orientale e le sue opere scritte in lingua latina o tradotte erano lette non poco, come appare dai manoscritti che si sono conservati.
Che un tal uomo e una tale dottrina ispirassero poca simpatia al Petrarca si capisce assai facilmente. Egli non si cura di far menzione veruna de' suoi scritti, e con indifferenza assoluta nota la circostanza che a questo mezzo greco non riusciva affatto di potersi appropriare qualche cosa dell'eloquenza latina e della rettorica. Dovette però confessare che egli pure fece ben pochi progressi nella lingua greca, tanto pochi che nelle sue opere non si scorge ombra di profitto delle lezioni di Barlaamo. Egli adunque non si cercò più alcun maestro dopo che questi lasciò Avignone e andò ad assumere il suo vescovato in Calabria. Non v'ha dubbio che egli avrebbe potuto apprendere a fondo la lingua da lui.. Ma si può dubitare con ragione che il famoso monaco fosse l'uomo più adatto per introdurlo nello studio della letteratura classica. Comunque sia, il Boccaccio apprese da lui qualche cosa, sia che l'abbia veduto a Napoli, o si sia valso delle notizie che Barlaamo comunicò all'accurato compilatore Paolo da Perugia. Più che per mezzo de' suoi scritti questo basiliano lasciò una traccia per questa influenza che esercitò sul Petrarca e sul Boccaccio.
Tratto da GEORG VOIGTLA LINGUA E LA LETTERATURA GRECA NEI SECOLI XIV E XV