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martedì 19 novembre 2013

La banda degli onesti ( reg. Camillo Mastrocinque - 1956)

OGGI
in contemporanea con


Il critico Johnny Carteri di Bovalino  su Calabria Forever,  che si pubblica a New York, ritiene poco probabile questa storia girata in anni in cui il neorealismo italiano trapassava in realismo di maniera. Noi non siamo d’accordo. Girato in un contrastato bianco e nero, la famosa Pancro  C. 7 della Ferrania, da Leonida Barboni alla fine convince più del precedente  Tacca del  lupo. Questa volta più che alle opere fordiane della frontiera la direzione di Germi si rifà a La via del tabacco ma soprattutto a Furore, con  Raf Vallone che molto bene sottolinea lo sradicamento del protagonista. Ferdinando diventa brigante perché destinato. Al destino danno una mano i notabili latifondisti ed i loro sgherri passati dalla parte del nuovo padrone piemontese. Ferdinando sceglie la tradizione non il progresso che risulta un voltafaccia, un rimescolare più che un rinnovamento a vantaggio delle classi più umili.
Gian Luigi Rondi sull’Osservatore Romano lo definì di propaganda populista mente Guido Aristarco sull’Unità lo bollò come nocivo per le lotte contadine della Calabria.

lunedì 18 novembre 2013

Una persona per bene (reg. William Wyler - 1927)

La notizia comunicatami da Francesco di Raimondo della morte di don Umberto Romeo all’età di centotre anni, più che generare la tristezza che avrebbe aggiunto sofferenza in questo momento critico della mia vita, provoca il senso di gratitudine più alta per un uomo divenuto il simbolo di un paese che non è più quello che mi sono portato abbandonandolo una mattina di quarantasette anni fa.
Don mbertinu è stato l’amico ed il compagno dei nostri padri come dei nostri zii nonché un volto visibile continuamente nella mia infanzia soprattutto per la stretta vicinanza delle nostre abitazioni lungo la via XXIV maggio.
A don Umberto non si addice il pianto bensì il ricordo della persona che appartiene al tempo perduto.

giovedì 7 novembre 2013

Corpo celeste pt.9 in-Fine, Ave Maria


                                                                                            Gerace Sup., 16 – 12 – 919
Carissimo Giacomo,

poche parole tanto per ringraziarti sentitamente delle gentilezze che hai creduto usarmi costà, quando, chiamato al letto dell’ottimo tuo Zio Arciprete, ho tentato tutte le risorse dell’umana scienza, a me note, per ricondurre alla vita Colui che Iddio voleva a Sé. Spero però che le mie cure, suggerite, più che dalla scienza, dall’affetto e dalla venerazione per quello Uomo buono, abbiano alquanto lenito le sofferenze degli estremi momenti di lotta.
  Mi duole non poco di averlo conosciuto al tramonto della sua vita: ma quelle poche ore  di conversazione con Lui mi hanno disvelato un animo squisitamente nobile, superiore alle frivolezze, ai capricci umani; una vita tutta consacrata a Dio, ed al suo letto di morte palesa i tesori di credente convinto, pria nascosti gelosamente dalla più vera umiltà. Egli già sentiva il distaccarsi degli affetti terreni e, mentre la natura lentamente si dileguava nell’infinito del passato, come una visione che svanisce nell’etere, egli sentiva il bisogno di udire per l’ultima volta uno squarcio dell’arte più pura e che più avvicina a Dio, sentiva il bisogno, dico, di gustare le note angeliche dell’Ave Maria del Gounod. L’arte e la Fede rendono quegli estremi momenti, altrui foschi e penosi, a lui soavi, si una soavità ineffabile. Quelle note infatti lo commuovevano, lo rapivano in un’estasi beata, ed in quell’estasi Egli sentiva ancora altre note più armoniose, più dolci, più sublimi, quelle della musica celeste. La sua Anima buona, nel separarsi dal corpo, ormai corroso e decrepito, passò da questa terra senza attraversare il livido Stige, ma cullata da un’onda luminosa di due armonie che s’intrecciavano, quella terrena, cioè, che si affievoliva e la celeste che sempre più si avvicinava. Caro Giacomo, quel momento non era la morte, il fitto velario del passato e dell’oblio che si stende lugubre nella maggior parte degli uomini che passano, era invece l’aurora dell’apoteosi del Giusto! Preghi Lui Iddio per noi e vegli sempre sul nostro periglioso cammino.
  Cari ed affettuosi abbracci
tuo aff. Compare
F. SPANO’

martedì 5 novembre 2013

Rapporto confidenziale (reg. Orson Welles - 1955)








S. Ninfa 5 – 2 – 950

Preg. Sig. Gliozzi,
ho ricevuto la sua lettera e tosto mi sono interessata d’inviare a mio cugino il Console, le richieste che tanto l’interessano.
Abbiamo scritta una lettera assieme allo zio Peppi, pregandolo di sollecitare quanto noi gli chiediamo. Son sicura che mio cugino ci risponderà presto, dandoci tutte le notizie che possano rassicurare lei e la sua famiglia. Una volta il professor Marando aveva scritto a mio zio dell’accoglienza ricevuta da mio cugino e dell’interesse di trovargli quel posto nella Banca. Mio cugino voleva indirizzarlo nelle scuole italiane di Buenos Aires ma siccome era periodo estivo, allora, l’aveva collocato nella banca d’Italia.
Ad ogni modo voglio sperare che le notizie siano soddisfacenti e la cara e buona Iolanda possa andare incontro alla sua felicità. Questo glielo auguro di tutto cuore.
Mio zio che ricorda a tutti di sua famiglia mi incarica di porgere cordialissimi saluti a tutti e deferenti ossequi al Rev.do
La prego di voler porgere da parte mia saluti alla Sig.ra Rosina, Alla Sig.ra Caterina a Iolanda e Amalia. Alla Gent Donna Bettina i miei più cari pensieri. A lei al Rev.do e al Sig. Peppino cordiali saluti, mi creda
Dev
Maria Biondo


Santa Ninfa 21 marzo 1950
Gentilissimo Signor Gliozzi
Mia nipote Maria Biondo, mi ha dato incarico di scrivere a mio nipote Gaspare, a Buenos Aires, per chiedere notizie confidenziali sulla situazione di Michele Marando. La risposta di mio nipote mi è pervenuta ieri, ed oggi mi sono premurato di darle le notizie ricevute.
Per informazioni assunte direttamente dal direttore della Banca, il Marando guadagna mensilmente 470 pesos, che al cambio con la nostra lire, corrispondono a L. 20000, somma insufficiente per poter mettere su una casa e costituire una famiglia. La carriera non ha felice prospettiva, avrà dei piccoli aumenti annuali, ma non si arriva a pareggiare i bisogni familiari. Per vivere modestamente occorrono a Buenos Aires 1000 pesos mensile, che il Marando può avere quando avrà raggiunto dai 15 ai 20 anni di servizio prestato nella Banca.
Se il Marando vuole sposare, la moglie dovrebbe lavorare, come cucito, ricamo ed altri lavori simili, per poter tirare avanti.
Attualmente coabita con la sorella perché trovare un appartamentino di sue stanze e una cucinetta occorrono 400 pesos al mese, causato dalla crisi degli alloggi.
Questo è quanto mi ha scritto mio nipote, però la prego di non fare il nome di mio nipote su quanto ho scritto, perché sono buoni amici.
Distintamente la saluto con tutti i suoi familiari
Devotissimo
Gaspare Biondo fu Gaspare


Preg. Sig. Gliozzi

Mi permetto di aggiungere due parole alla lettera di mio zio. Anch’io ho letta la lettera di risposta di mio cugino il Console, il quale si scusa di non avere risposto subito perché è stato alcuni giorni in vacanza a Rio De La PLata per i bagni, con i figlioli. Oltre a parlare delle condizioni del prof. Michele, che si trova alloggiato in una stanza con la sorella per la penuria degli alloggi, parla delle condizioni poco floride del commercio e delle industrie argentine.
Michele avrebbe fatto bene a seguire la sua carriera in Italia adesso che il governo ha dato tanti aiuti ai maestri e istituito tante scuole
Fatelo rimpatriare, così Iolandina si troverà sempre in mezzo ai parenti e non abbandonerà la sua cara patria.
Mi ricordi ai suoi familiari e porgo cordiali saluti a tutti. Distintamente l’ossequio
Dev
Maria Biondo

lunedì 4 novembre 2013

L'ultima fiamma (reg. Benito Perojo - 1939)

Quest'autunno la fiamma si è elevata per Gianni, per il signor La Rocca ed il signor Nino Trimboli
insieme maestri per uno scolaro che molto spesso dimentica.

giovedì 31 ottobre 2013

Forza G (reg. Duccio Tessari - 1972)





… lavorare per mettere ordine nella nostra casa interiore. La guida di cui abbiamo bisogno per questo lavoro non può essere trovata nella scienza o nella tecnologia, il cui valore dipende totalmente dai fini che servono. Ma può essere trovata ancora nella saggezza tradizionale dell’umanità.

mercoledì 30 ottobre 2013

Corpo celeste - pt. 8

So che è un documento lungo, spezzandolo avrei sminuito la sua sincerità


Discorso pronunziato nel Trigesimo della Morte del fu
ARCIPRETE OLIVA
NELLA CHIESA DI PLATI’
DA MONS: CAN: D. ALBERTO TOSI
Segretario del Vescovo di Oppido Mamertina

              Signori,

il mondo seguendo la sua abitudine di tutto corrompere non ha risparmiato l’idea della grandezza umana. Le linee grandiose di un sistema dottrinale costruito da una mente profonda e sottile; la vasta mole di un edificio politico elevato da una volontà ferrea, cui nulla resiste, sia pure con tutte le arti più raffinate della corruzione e del despotismo; una vasta produzione artistica dovuta alle risorse inesauribili di un genio potente: ecco per il mondo i segni infallibili della grandezza umana.
  Illusione, o signori! Non i doni di natura, ma l’uso loro ad un nobile fine; non le vittorie dell’ingegno o di una volontà sopraffattrice fanno l’uomo grande, ma i trionfi ch’egli riporta su se stesso. E se dinanzi alla figura di un Bonaparte la coscienza di un Alessandro Manzoni rimane esitante, nessuno oserebbe discutere la figura di S. Vincenzo de’ Paoli.
  Gli è perciò che il cristianesimo – sintesi suprema di tutto ciò che può esservi di più puro, di più santo, di più grande – per bocca di San Paolo invita i suoi figli a considerarsi “ come morti al mondo ed a vivere la propria vita appartata con Cristo in Dio” Mortui enim  estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo.
  Sopprimere in noi ogni principio, sentimento, abitudine mondana e poi, nell’ombra e nel silenzio di una modestia che solo Cristo può ispirare, far convergere tutte le nostre energie ai più nobili fini della vita: ecco, o signori, quanto Dio esige da noi – come opera della natura ed insieme della grazia – ecco quanto egli esige in particolare dal sacerdote cattolico: qui sta la ragione vera di ogni sua grandezza, di ogni sua gloria.
  Ed è  un raggio di questa gloria tutta cristiana ch’io veggo riflettersi sulla fronte intemerata dell’uomo che commemoriamo. Don Saverio Oliva, Arciprete di Platì e Vicario Foraneo di questo distretto ecclesiastico.
  Invitato a parlarvi di lui in questa mesta circostanza, io trovo nella sua semplice ed umile vita di sacerdote e di pastore un eco fedele dell’Apostolo, una grandezza ignota agl’eroi clamorosi del nostro mondo contemporaneo. Mortui enim  estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo.

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  Quando, o Signori, nel dicembre del 1835 Saverio Oliva apriva gli occhi alla luce sotto l’incanto di questo cielo, in mezzo al verde pallido di questi olivi decrepiti,l’Italia gemeva sotto il piede dello straniero.
  Ma già da tempo i sintomi di un’era nuova si andavano manifestando: erano tendenze, voti, aspirazioni che da prima ristrette a pochi circoli intellettuali dovevano pi comunicarsi alla nazione intiera ed impegnarla in una lotta mortale per la sua libertà.
  Queste aspirazioni, questi voti, queste tendenze dovettero ripercuotersi nella giovane anima di Saverio, fiera ed appassionata come in tutti i figli della Calabria, ed a seconda delle liete o tristi vicende dell’impari lotta, abbeverarla di fiele e di gioie tumultuose, attenuate solo da un senso vivo e profondo di pietà e dalle mura di un sacro asilo.
  Giacché , o signori, appena dalla fanciullezza, in omaggio ad una antica consuetudine calabrese, l’educazione di Saverio veniva affidata alla Chiesa nel seminario diocesano di Gerace.
  Quattordici anni più tardi, egli ne usciva sacerdote.
  Che era avvenuto,? Come si spiega questa vocazione?
  Gli occhi e l’anima di lui erano ripieni del dolce fascino che emana dal cielo e dal mare di questa terra, sotto molti aspetti anche vergine; egli ne aveva percepite le voci divinamente armoniose  e tutte soffuse di mistero …
  Di più: le prime impressioni da lui raccolte fra le pareti di una casa, nella quale l’agiatezza non era mai stata di ostacolo alla professione franca e sincera della vita cristiana, dovevano pur’esse contribuire a spingerlo sulla via del Santuario.
  Ma, signori, le grandi opere della grazia richiedono sopra tutto la corrispondenza eroica di una volontà generosa.
  E questa non fece difetto al giovane Saverio: Fin da fanciullo, aveva imparato ad abbandonarsi con perfetta confidenza a quelle che gli sembrassero manifestazioni della volontà divina, ed anche in quel momento critico della sua vita non si smentì.
 E al mondo che offrivagli un serto di rose, fiammeggianti di tutte le lusinghe che possono allettare un’anima giovanile, rispose col gesto della suprema dedizione a Dio.
  Una mano pontificale si posò sulla sua testa di adolescente e – qualche fiocco di capelli recisi annunziò alla famiglia e agli amici era morto ormai al mondo e aveva scelto Iddio per sua eredità: Mortui enim  estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo.

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  Ma quale fecondità, o signori in questa morte mistica dell’anima!
  Mentre tutto che nell’uomo è volgare egoismo rimane bruciato sull’altare del sacrificio, dalle ceneri erompe la scintilla di una vita novella, nella quale l’anima non è più guidata da altro sentimento che non sia quello della carità-
  O carità, divino ineffabile dono principio e ragione di tutte le virtù che infiorano l’anima cristiana; è da te che dovrebbe prender le mosse ogni forma di umana attività: è per te sola che l’uomo di Sato dovrebbe vegliare le lunghe notti tormentate; è da te che il padre e la madre di famiglia dovrebbero attingere ogni loro energia, è a te che l’operaio dovrebbe chiedere la forza animatrice del suo lavoro, contributo necessario e magnifico al benessere sociale: principi e popoli, ricchi e indigenti, ignoranti e dotti tutti, tutti a te dovrebbero ispirarsi!
  Si: dalla morte dell’egoismo erompe la vita nella sua più pura espressione, nel suo significato più emesso e più completo: la vita vera in un sentimento d’amore che non conosce confini: Translati sumus de morte ad vita, quotiamo diligimus frateres.
  Seguiamo, o signori le manifestazioni di questa novella nel giovane Saverio. Ecco la prima: è una sublime rinunzia – il celibato.
  Per il mondo è un controsenso; per il mondo la Chiesa è nemica della vita, torturatrice della natura e delle coscienza; è ingiusta, snaturata crudele.
  Facciamo grazia al mondo: egli non ha compreso mai nulla delle cose di Dio. Il mondo non comprende . perché non lo sente – che il celibato ecclesiastico, s’è rinunzia, è pure libertà gioconda per lo spirito, fonte inesauribile di operosità, esempio salutare, titolo incomparabile di prestigio.
  Sublime istituzione questa, per la quale il sacerdote cattolico rinunzia al diritto di vivere per se; ed i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue preoccupazioni, le sue gioie e i suoi dolori cominciano ad appartenere a Dio e al polo cristiano.
  Tutto ciò è di una elevatezza morale che quasi sgomenta: nessuna meraviglia quindi che il mondo non lo comprenda affatto.
  Orbene, o signori, questa rinunzia del sacerdote cattolico a quelli che sarebbero diritti naturali e sacri del suo cuore è la prima grande prova della carità che lo investe verso il popolo che gli sarà affidato, la prima manifestazione di un amore che il gelo degli anni non riuscirà ad affievolire.
  Con questi sentimenti Don Saverio Oliva nel 1859 per la prima volta – salì -  “ l’altare di quel Dio che allietava la sua giovinezza “, nel monastero di S. Anna a Gerace, ove due sorelle vivevano in educazione.
 
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  Il ministero pastorale, o signori, è la sintesi più completa della vita sacerdotale; e vi sono non poche ragioni perché noi, uomini di studio, dobbiamo considerare il nostro tempo come purtroppo, almeno in parte, perduto.
  Trovarsi a contatto diretto con le anime, studiarne i bisogni, alleviarne i dolori, dissiparne i dubbi, sollevarne nel momento dello sconforto, illuminarle, sorreggerle, dirigerle nel difficile cammino della vita: ecco il ministero pastorale, ecco un compito che non ha l’uguale, e che richiede quindi, più di qualsiasi altra, abnegazione, discrezione, grande bontà. E’ una forma di vita oscura che all’amor proprio offre ben poche soddisfazioni.
  Ma non fu il desiderio di soddisfazioni d’amor proprio che condusse Don Saverio in mezzo a voi: la sua bontà, il suo amore alla pace, la sua beneficenza occulta, ve lo dimostrarono fino all’evidenza.
  Disse egregiamente un illustre accademico francese che “ il prete è un condannato alla dolcezza, alla bontà”. Tutt’al più si potrebbe aggiungere “ un condannato volontario”. Di fatto non vi è persona nella quale un atto violento ripugni come nel sacerdote cattolico.
   Orbene ogni atto che sapesse anche lontanamente di sopraffazione ripugnava pure al vostro Arciprete: le sue parole, i suoi atteggiamenti, tutto ciò che emanava dalla sua persona; tutto era ispirato a quel sentimento di delicata carità che dev’essere proprio del sacerdote, e voi sapete come nulla lo allietasse tanto, quanto il vedervi felici.
  Egli amò la pace. Voi tutti ricordate quanto egli si adoperasse per sedare le vostre discordie e come avesse l’abitudine di troncare le questioni con un motto arguto, non appena minacciassero i diventare troppo ardenti.
  Ma una cosa certamente vi sfugge: la sua beneficenza, nota solo a pochi … Don Saverio la intendeva nel suo senso più alto: nessuno doveva arrossirne, neppure la sua modestia e “ la sua mano sinistra non seppe mai quel che la destra prodigava “. E’ la beneficenza evangelica, o signori, quale può essere esercitata solo da un uomo, il cui cuore sia infiammato della carità di Cristo.
  E’ questo carattere di modestia e di riservatezza non si limitò alla beneficenza, ma estese su tutta la sua vita come un velo discreto per cui ci appare più alta, più spirituale, più conforme al concetto dell’apostolo: Vita vestra est abscondita cum Christo in Deo.

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Ma, signori, i pensieri e gli affetti del sacerdote cristiano non possono essere costretti nei limiti del gregge a lui affidato, che forma la sua famiglia spirituale: come per qualunque cittadino, anche per lui, al di là e al disopra della famiglia vi è la patria.
  L’amore per la patria è per il cristiano un dovere religioso; è parte di quel sentimento di carità che, pur trovando il suo oggetto in ogni creatura ragionevole, si esplica tuttavia in tre sfere concentriche e l’una a l’altra subordinate: la famiglia, la patria, l’umanità.
  E Gesù, che alla vigilia della sua passione versa lacrime divine su Gerusalemme ingrata, che non aveva voluto conoscere la sua ora “ e che cieca e insensata l’avviava alla catastrofe più spaventevole “, Gesù è l’ideale di questo santo amore che avvince il cristiano alla propria terra.
  Don Saverio, che trepidando aveva seguito giorno per giorno le vicende dell’Italia dal ’48 in poi, doveva nell’ultimo crepuscolo della sua lunga vita veder come condensate in due momenti tutte le amarezze e le gioie del passato.
  Caporetto! Chi non ricorda le ore angosciose dell’ottobre 1917? Fin dalle prime notizie comprendevamo che un disastro si delineava:
  “ Il nemico ha forzato lo stretto di Saga … ha varcato il confine … tutti i depositi sono in fiamme – la 2.a Armata è in sfacelo – il nemico è arrivato al Tagliamento . al Piave – Treviso è tutta una rovina – Venezia è in pericolo.
  Ebbi la triste ventura, o Signori, di assistere dagli spalti di Venezia, al formidabile duello delle opposte artiglierie, che incrociavano i loro tiri sopra le acque argentee del fiume sacro. Il cielo fiammeggiava, come per un immane cataclisma. Venezia sussultava come se tutte le furie degli elementi si fossero scatenate, ed io pensavo con la morte nell’anima:
  “ Ma è dunque una maledizione questa che grava sulla patria nostra? Novara – Custozza – Lissa – Adua – una storia interminabile di umiliazione e di dolore.
  Ed ecco anche il disonore: Caporetto! Ecco l’ignominia: la gioventù italica che fugge dinanzi al nemico, mentre la patria è invasa! “
  Come dovette soffrirne il cuore di Don Saverio! Ma egli, o Signori, fu uno dei pochi che non disperarono: “ Vinceremo ugualmente “,  andava ripetendo,  “ Vinceremo ugualmente! “ Quanta fede , quanto pensiero, quanto amore in questa semplice parola!
  Vinceremo ugualmente! Si, Dio ci volle umiliati nella polvere, ma è in questa umiliazione ch’Egli ci attende per condurci al trionfo.
  Vinceremo ugualmente! Lo straniero calpesta il sacro suolo della patria: ma non ci voleva di meno per scuotere il nostro torpore, per rinnovellare le nostre anime.
  Vinceremo ugualmente! E’ vero! Il nemico è sceso dalle vette alpine come valanga; tutti i nostri baluardi sono perduti, la riconquista è impossibile … Impossibile?
  No: non esiste questo termine per la potenza di Dio e per il valore italico. L’Italia non può perire! Madre venera tana tutte le nazioni civili, il mondo ha bisogno di lei: la sua missione non è compiuta ancora!
  E i cuore di don Saverio fu profeta, o signori,: il prodigio si avverò.
  Nell’anniversario di Caporetto l’esercito italiano attaccava il nemico secolare. Otto giorni bastarono e il tricolore ricomparve sulle vette del Trentino e della Carnia e sulle rocce insanguinate del Carso – poi, come per incanto, sventolò sulle enormi giogaie del Brennero – sulle marine di Trieste e Pola – della Dalmazia e delle isole adriatiche.
 “ Uno dei più potenti eserciti del mondo aveva cessato di esistere “ – l’Austria era crollata – il miracolo si compiva: Vittorio Veneto cancellava il ricordo di Caporetto e ci dava un senso altissimo di sicurezza nazionale. La tradizione romana non era spenta in noi.
  Don Saverio non trovava parole atte ad esprimere la piena dei sentimenti che tumultuavano nella sua anima: “ ora sono contento – diceva – Nunc dimittis servum tuum Domine “ gli sembrava di essere vissuto abbastanza.
  Non sopravvisse che un anno e la sua morte fu il suggello eloquente della sua vita: la stessa calma serena, la stessa confidenza in Dio, la stessa umile rassegnazione alla sua volontà.
  Dal letto delle sue agonie – con la semplicità di un patriarca antico – volle intrecciare la sua voce a quella solenne della Chiesa, che nella preghiera liturgica implorava per lui la pace eterna – e nel suo ultimo sguardo e nell’ultimo bacio al Crocifisso i circostanti poterono leggere l’espressione vivissima di una speranza immortale.
  Quel velo tenue e discreto di cristiana modestia, che aveva contraddistinta la vita umile e laboriosa di sacerdote e di pastore, avvolgeva per l’ultima volta la nobile figura di Don Saverio come in una penombra piena di mistero e di significato, Mortui enim  estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo!
 

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                SIGNORI,

  Don Saverio Oliva vi ha amati: è questa la conclusione con la quale desidero porre termine a questi brevi cenni biografici.
  Egli vi ha amati, non come vi ama il mondo, ma come sa amare il sacerdote cristiano. I suoi 34 anni di vita pastorale ne sono una prova luminosa.
  Egli vi ha amati, e forse il suo ultimo pensiero fu per voi, per voi suoi figli.
  Orbene “ amor che a nulla amato amar perdona “ vi stringa unanimi intorno a questo tumulo in un plebiscito d’affetto e di filiale pietà: e mentre da quel santo altare sale ai cieli il profumo divino della Ostia Immacolata, la voce possente di tutto un popolo echeggi; echeggi la preghiera cristiana: “ la luce eterna fra gli splendori dei Santi, brilli o Signore, a quella anima pia – in eterno – in eterno!
  Lux aeterna luceat ei, Domine, cum sanctis tuis in Aeternum!
IMPRIMATUR
Hieraci, tertio kalendas Februarius 1920
+ GEORGIUS EPISCOPUS

                                       Nihil obstat quominus imprimatur
Can. HECTOR MIGLIACCIO,   Censor

lunedì 28 ottobre 2013

Comeback story ( I pugni di Rocco)- Kings of Leon

Manufatti scolpiti da Roccu da Rocca in Platì